MARVELIT presenta
Di Valerio Pastore
Episodio 1 – Nuovi Eroi, Vecchi Problemi
Las Vegas...
Flying Griffin! –
Plumber & Fixer, proclamava l’insegna
che occupava l’intera parete del camper. Uno stilizzato grifone in picchiata era
stato aggiunto fra ‘Flying’ e ‘Griffin’.
In piccolo, era stato aggiunto fra parentesi Spettacoli Teatrali per scuole a
richiesta.
Questo, in sintesi, il curriculum del proprietario del
camper.
Musiche di Rossini in sottofondo, spaparanzato sul
lettino, totalmente concentrato su un libro della ‘Carmen’, stava Griffin
Gogol.
Il vostro tipico ometto, una persona così vistosamente lisa che neppure gli abiti di un re l’avrebbero
messa in risalto fra la folla. Era infatti più facile
notare i suoi abiti –camicia a quadri, giacca frusta verde di uno stile non
meglio identificato, pantaloni di velluto a coste marrone, scarpe finto
italiano- che non la persona in sé.
Griffin Gogol era nato ebreo, e questo si vedeva
eccome –naso camuso, stempiatura già pronunciata, lineamenti marcati...Inutile
ogni tentativo di mantenersi rasato e di sfuggire al suo retaggio culturale.
Era come se gli avessero tatuato addosso zucchetto e Torah.
Professionalmente, non stava molto meglio: ci si
ricordava di lui solo quando, esaurito ogni altro tentativo...
...faceva squillare il suo telefono, preferibilmente,
come ora, facendogli venire un mezzo accidente dalla sorpresa!
Ad ogni modo, i riflessi di Griffin furono
prontissimi: fu giù dal lettino e addosso al cordless (durante l’ennesima
ricarica di una batteria che sarebbe dovuto essere stata cambiata da molto
tempo) alla parete opposta in un solo movimento.
“Griffin per te, chiunque tu sia!” esclamò giulivo.
“Serve l’attore o il riparatore?”
Quasi divenne completamente calvo, al torrente di oscenità che lo investì dalla cornetta! Ancora
leggermente disorientato, riuscì a cogliere delle frasi di senso compiuto da
una voce improvvisamente diversa. “Le chiedo scusa, Mr. Gogol. E’ stato di
nuovo quell’altro, che...”
“Non ti preoccupare, figliolo. Ne ho incontrati di
peggiori, di individui. Cosa non va,
stavolta?”
“Ah...il quadro elettrico, temo. Stavo guardando la
TV, e di colpo...”
Griffin sospirò. “Arrivo subito, e non toccare
niente...E non chiedere di nuovo aiuto ai vicini inesperti.”
Il tempo di prendere la cassetta degli attrezzi, e
Griffin uscì dal camper. Era fortunato, ad avere quel ragazzo come cliente
quasi fisso: abitava abbastanza vicino da non perdersi, in quel tremendo
labirinto che era il parco roulotte ‘Il Vagabondo’.
Avvicinandosi alla anonima,
piccola abitazione su ruote del vicino, Griffin si chiese per l’ennesima volta
chi fosse l’irritabile strambo che gli rubava il lavoro –fortunatamente,
riuscendo solo una volta su dieci. Erano sempre insieme,
quando Chip lo chiamava, e l’altro era sempre sparito quando Griffin arrivava.
Anche se era a portata del campanello, Griffin non
suonò, ma si mise davanti alla porta...E voilà,
Chip Martin
era lì, sulla soglia, un largo sorriso stampato in volto. Era come essere sposati, tanto era diventata meccanica, quella
sequenza di eventi.
Chip era il tipico sottoprodotto di
una civiltà nevrotizzante –era un giovane simpatico, capelli castani
lunghi e ribelli, moderatamente atletico, laureato...E un fascio di nervi.
Prendeva tranquillanti come fossero caramelle, a meno
che quella volta che si era rotto il sacco per la spazzatura, non stesse
buttando via una bella collezione di flaconi. Era riservato al punto che un Maccartista avrebbe aperto un file su di lui, e stava
bene attento ad evitare gli assembramenti superiori alle 2 persone.
A parte questo, era un bravo ragazzo. Soprattutto, non
ti negava una bella tazza di caffè con pasticcini a lavoro finito. Chip diceva
che li faceva da sé, e c’era da credergli!
“Mi dispiace di averla
chiamata così di colpo, Mr...”
Come al solito, Griffin lo
interruppe garbatamente mentre entrava. “Figurati, figliolo. A
che serve un professionista, altrimenti?”
“A chiedere una parcella salata, per esempio?” era
pietosa, lo sapevano entrambi –ma era un miracolo, ottenere delle battute da
Mr. Timidezza.
Griffin si diresse al quadro
elettrico, e, individuato il guasto, iniziò a lavorarci sopra. C’era
ancora la luce del tramonto, e ci vedeva abbastanza. “C’era roba interessante,
in TV?”
Il profumo di caffè iniziò a diffondersi per la
roulotte, seguito al volo da quello dei pasticcini nel
microonde. Preparando la tavola, Chip disse, “Il notiziario. Stanno
scoppiando disordini intorno all’Ambasciata di Zilnawa. E dato che lì
c’è anche la sede della Talon Corporation...”
“Non ci perderesti molto, figliolo,”
disse Griffin, assorbito dal lavoro. “Se ci tieni tanto a fare l’uomo delle
pulizie, puoi farlo ovunque.”
Chip versò il caffè nelle tazze. “Neanche a te piace
tanto, quel posto, eh?”
Griffin levò la testa...e diede una craniata sullo
spigolo del portello! Diede in una breve bestemmia in Yiddish, e disse, “Solo
perché ha un nome che daresti a un cartello criminale,
e perché si vocifera che sia una sussidiaria di qualche famiglia criminale,
e...Bah!” Detto ciò, spinse l’interruttore.
La luce artificiale rimpiazzò quella ormai quasi
estinta del giorno con intensità quasi dolorosa per gli occhi. La televisione
riprese a trasmettere sulla CNN, e la scena era ora preoccupante.
L’Ambasciata di Zilnawa era un palazzo di due piani,
all’interno di un enorme complesso privato alla periferia est di Los Angeles.
Il complesso apparteneva alla Talon, una neonata corporazione di dubbia
reputazione ma che già era riuscita a reclutare numerosi giovani talenti in svariate
discipline scientifiche d’avanguardia.
La Guerra dei Mondi aveva distratto
l’attenzione pubblica, per un po’. Ma, passati quei giorni, i più conservatori
estremisti al governo USA avevano ripreso a puntare
l’indice sugli ‘ambigui’ rapporti fra lo stato sudafricano, una democrazia
interamente nera, nato dalla disintegrazione del dominio bianco in quella
porzione di mondo, e la Corporazione.
Dai cartelli branditi da alcuni manifestanti, tutti
bianchi, si capiva cosa pensassero dei ‘Niggers’ che
se la facevano con i mafiosi, e di ‘quelli’ che ‘tramavano per pugnalare la
democrazia alle spalle’.
Era altrettanto chiaro che solo le massicce
fortificazioni del complesso edilizio avevano prevenuto
finora la degenerazione della manifestazione. I protestanti erano come
contadini che volessero usare i forconi per abbattere i muri. Non c’era bisogno
della polizia, per ora.
La donna in doppiopetto, in piedi davanti alla
telecamera, sembrava pensarla diversamente.
“Parla Tanya Veil, in diretta dalla Talon Corporation.
“Qui la situazione non accenna a
migliorare, anzi, i manifestanti sembrano farsi sempre più aggressivi
col passare del tempo. La Talon Corporation, più volte contattata da noi e
dalla polizia, continua a chiedere il non-intervento di forze esterne,
confidando, riferisce il loro Ufficio Stampa, ‘sul
buonsenso che alla fine prevale su ogni umana considerazione’.
“Be’ per ora non sembra essercene molto, di buonsenso.
Il guaio è che ad aizzare i manifestanti non c’è una figura sola, ma un intero
gruppo, e bene mescolato.” Una nuova immagine sostituì
quella della reporter: quella di due individui vestiti completamente di lunghe
toghe bianche, il simbolo di un sole fiammeggiante inciso sul petto, i volti
deformati dall’odio, che anche senza il sonoro sembravano urlare al di sopra della massa.
Stacco su Veil. “Ne sono stati
contati una ventina. Si fanno chiamare Luciferi, i Portatori
della Luce. Un movimento nato in sordina, e vissuto
nell’ombra, fino a quando l’ambasciata di Zilnawa non è stata eretta sul
territorio della Talon.
“Il problema più grave è che, sull’onda di questa
manifestazione, stanno scoppiando disordini razziali un po’ dappertutto a Las
Vegas. Forse, alla Talon temono che l’intervento delle autorità dia benzina al
fuoco dei Luciferi...”
Griffin e Chip seguivano lo
sviluppo con espressioni cupe.
“Ecco un caso in cui un supereroe potrebbe dare tanti
cazzotti e non risolvere niente,” disse Chip,
scuotendo la testa. Bevve un sorso di caffè. “Vorrei tanto credere che anche da
fatti come questi possa venire fuori qualcosa di
buono, ma...” e lasciò la frase in sospeso.
Griffin annuì. La sua stessa gente, in Palestina,
stava facendo cose di cui vergognarsi –loro, che avevano subito l’onta della
prepotenza per millenni, ora non stavano facendo meglio dei loro avversari.
Stava per dire qualcosa, quando “Porca miseria!”.
Anche sullo schermo, Tanya Veil sembrava di sale. “Hanno
eretto una croce,” stava dicendo, la voce a stento
ferma. “E sulla croce...”
Zoomata sulla croce, un oggetto
massiccio, di legno, lucidato fino a risplendere nella luce della luna piena.
Sulla croce, fissato con delle robuste corde, un uomo.
Un uomo, un nero. Era inerte, con indosso i brandelli
di una T-shirt e black jeans. Se c’erano lividi, erano
invisibili.
Le corde che lo reggevano alla croce erano fissate in
modo tale che ogni movimento di lui lo avrebbero
implacabilmente strangolato.
E già alcuni manifestanti con in
mano delle torce stavano intorno alla croce.
“Non possono volere fare questo,” disse Chip. “No, davvero, signor...Griffin?”
Ma stava già parlando all’aria.
“Forse il caffè era troppo forte?”
“Ci avete sentito!” urlava uno dei Luciferi. L’ira
trasformava quello che doveva essere un bel volto in una maschera,
ironicamente, quasi demoniaca. “Sporchi cospiratori, venite fuori
da lì, consegnate l’ambasciata, o questo vostro simile animale farà la
fine che merita!”
La folla lo accompagnava con un ruggito terribile.
Dentro l’Ambasciata, il Console scuoteva la testa rassegnato. Aveva una folta criniera crespa,
d’ebano, e il volto quello di un giovane non oltre i 35 anni. Lo Zilnawa era
uno stato giovane, e voleva trasmettere al mondo un’immagine di
energia.
Il Console Raawa era il figlio di una stirpe di
guerrieri della politica, di gente che aveva combattuto
contro l’Apartheid con un vigore ineguagliato, senza mai abbassare lo sguardo.
Molti suoi amici erano morti combattendo, sapendo di stare costruendo le basi
per il futuro migliore sognato per generazioni.
Non si era mai trovato nella posizione di scegliere
fra l’immolazione, adesso, o il sacrificio di un innocente...
Oltre ad alcuni addetti, nella segreteria
dell’Ambasciata era presente un’altra figura, un uomo
bianco dai tratti orientali. Costui era vestito di un gessato nero, dagli
angoli così definiti che sembrava essergli stato disegnato addosso. Tutto, in
quell’uomo, rivelava un essere affilato, di corpo e di logica.
Il Presidente della Talon Corporation guardava dalla
finestra del secondo piano con sommo disprezzo. “Che creature stolte,” disse, la voce priva di inflessioni, come una divinità
che guardi gli sforzi delle formiche. “Credono di potere dare ordini a uno stato a colpi di torce e randello...Signor
Ambasciatore, mi dia il permesso, e le mie forze disperderanno quei bigotti, e
recupereranno quel giovane mentre la polizia...”
Raawa scosse la testa. “Devo ancora chiederle, signor
Presidente, di trattenere la mano. Per quanto possa
essere difficile ammetterlo, la violenza non risolverà nulla. La giustizia
colpirà comunque quegli esaltati. Ma non possiamo né
arrenderci né cedere ai loro bassi istinti.”
Nessuno vide Alexander Thran socchiudere
impercettibilmente gli occhi, e serrare le mani sul pomolo del suo bastone.
Invece, lo videro fare un cortese inchino e dire, “Rispetterò la sua decisione,
signor Console. Sa dove trovarmi, se dovesse avere
bisogno dei nostri servigi.” E, detto ciò, si voltò ed
uscì.
In corridoio, fu affiancato dalla
sua segretaria, una donna in doppiopetto che invece non sarebbe stata male
sulla copertina di Vogue.
La donna teneva in mano un notepad da fantascienza, e sembrava distaccata come
il suo principale, il quale fondamentalmente odiava i leccapiedi.
“Kristen,” disse
Thran, mentre procedeva a larghi passi, “si prepari a contattare l’agente Saki.
In un modo o nell’altro, voglio quel ragazzo libero immediatamente. Prima che
la polizia arrivi, visto che a questo punto la situazione ci
è sfuggita di mano. Questa manifestazione è spontanea come una
bustarella, e non posso permettere che...hm?”
La donna gli porse il notepad. Attraverso il
collegamento con le telecamere esterne, Thran capì il perché di quel gesto. Lo
capì, e gli sfuggì un’imprecazione.
La folla si era acquietata come per magia, il silenzio
interrotto da poche voci isolate.
Sopra di esse, letteralmente,
quella di un uomo.
“Sapete, gente, la democrazia è bella perché vi
permette di esprimere qualunque idea, liberamente. Anche se si tratta di
scempiaggini come le vostre.”
L’uomo stava in piedi, sospeso a mezz’aria, le braccia
incrociate severamente, e vestiva del costume più colorato che si fosse visto –rosso, giallo, verde e blu in una disposizione,
incredibilmente, ordinata.
“Ma la democrazia non
vi dà la libertà di uccidere altri esseri umani. Meno che mai per il loro
colore di pelle!”
Fu solo a quel punto, che uno dei
Luciferi, quello in testa ai manifestanti, levò il braccio, indicandolo. “Chiunque tu sia, sei solo
un traditore della razza umana! Prendetelo!”
Si levarono dei fucili, ma prima che un solo grilletto
potesse essere premuto, la figura colorata del super-essere divenne una macchia
indistinta.
Una macchia che andò ad afferrare la pesante croce
come fosse stata di cartapesta!
Il super-essere andò a posare la croce al sicuro,
dentro le mura della Talon. Borbottava. “’Chiunque tu sia’...hmpf, ignoranti.”
Subito tre jeep e un’ambulanza della Talon andarono a
circondare l’eroe. Da due jeep e l’ambulanza emersero
addetti ed infermieri che andarono ad occupare di quel singolare ‘carico’.
Dalla terza jeep emersero il Presidente della Talon,
la sua segretaria ed il Console.
Il Console allungò la mano, e l’eroe gliela strinse.
“Le siamo molto grati per il suo intervento, signor...?”
“Capitan Ultra, signor Console. L’eroe che sa fare tutto meglio di te,” rispose Cap, con un sorriso
smagliante. “Se posso essere di aiuto per disperdere
quella gente senza spargimento di sangue...” e, come a
sottolineare le sue parole, già si udivano delle sirene in distanza.
Thran si fece avanti. “Un intervento auspicabile,
Capitano. La velocità è di fondamentale...”
“Non può fare niente,” disse
qualcuno dietro di loro.
Era l’uomo della croce. Stava mettendosi a sedere,
l’espressione ancora leggermente stordita. Era un armadio, pieno di muscoli e
senza un capello in testa. “Sono centinaia, e il morto ci scapperebbe.
Bisogna concentrarli e distrarli. Solo così si può disinnescare quella bomba
collettiva.”
“Bene,” fece Ultra, “si
accettano suggerimenti.”
“Mi basta ricambiare il favore,”
disse l’uomo, ormai in piedi.
Ci fu uno scambiarsi di occhiate
perplesse. Ultra disse, “Prego..?”
Per tutta risposta, l’uomo assunse un’espressione
concentrata...
...Poi, di colpo, i suoi lineamenti furono
attraversati da un bagliore di energia...
E quello che emerse era decisamente
più che umano! “Però!” disse Ultra.
Al posto dell’uomo, c’era una figura
coperta in parte dal ghiaccio e in parte dal plasma, come se avessero mescolato
l’Uomo Ghiaccio e la Torcia Umana.
La sua fronte si apriva in due placche congelate, in mezzo alle quali la
calotta cranica bruciava di plasma.
“Andiamo, Capitano,” disse il
super-essere, con voce più profonda, minacciosa. “Io e quegli esaltati abbiamo
un conto da regolare!” Ma, invece di entrare in azione, si ritrovò una mano
colorata sul petto ardente, a fermarlo.
“Non lo sentite anche voi?”
fece Ultra, guardando verso il muro. “I Luciferi sono spariti. La folla...”
In quell’istante, anche Thran fu contattato
attraverso il notepad. “Signore, la folla si sta disperdendo. Ordinatamente.”
Thran chiuse la comunicazione. Poi, ad Ultra,
“Immagino che questa sua cognizione di causa...”
Ultra annuì. “Ultra-udito, e Ultra-vista. Tornano
comodi, ogni tanto...Hmm, ragazzo..?” fece poi l’eroe,
all’uomo di fuoco e ghiaccio.
L’essere disse, brusco. “Equinox l’Uomo
Termodinamico, per te. Cosa c’è?”
“Be’, non c’è più bisogno che tu stia
così. Voglio dire, adesso ci pensa la polizia,
giusto?”
Equinox annuì, con un curioso sorrisetto. “Questo lo sapevo già, Ultratonto. E’ che non ho vestiti a molecole
instabili!”
Capitan Ultra capì, e arrossì.
Thran si avvicinò loro. Il suo sorriso sarebbe potuto
essere stato scambiato per cortesia, ma chi conosceva l’uomo sapeva
di dovere temere, in quel momento. “Se lo desidera, Equinox, la Talon la
rifornirà di un intero stock...E, signori, se la cosa dovesse essere di vostro
gradimento, vorrei fissare un appuntamento per una proposta di...lavoro.”
Confusi, i due super si scambiarono un’occhiata.
Thran estrasse un biglietto da visita dal taschino
della giacca. “Oggi è Lunedì. Potete pensarci su tutta la settimana; il Console
Raawa tornerà in Zilnawa solo Domenica.”
Altro scambio di occhiate.
Pochi minuti dopo, i due super erano in volo. Equinox
affiancava Capitan Ultra grazie al plasma emesso dalle gambe congelate.
“Mi piace quel trucco, Equinox...Ma credevo che ci
volesse il calore, per generare calore.”
L’Uomo Termodinamico disse, “Puoi anche chiamarmi
Terry, se vuoi. Ad ogni modo, il ‘trucco’ è che
ottengo calore da un intenso scambio di energia. Il ghiaccio è il risultato
dello scambio. Così come posso emettere gelo sottraendo calore e diventando
caldo io stesso.”
“Capisco,” fece l’eroe, che
non ci aveva capito un’acca, ma proseguì. “Mi sembravi un po’ nervoso all’idea
di avvicinare la polizia. Hai avuto problemi con loro?” non lo chiese per scortesia, ma in base al fatto che alcuni eroi
tendevano ad avere modi un po’...bruschi.
Per un attimo, Equinox digrignò i denti, mostrando dei
canini da vampiro. Poi, con amarezza nella voce, “Ero
piccolo, quando mio padre, un fisico, fu sbeffeggiato dalla comunità
scientifica. Lui divenne un alcolista e iniziò a picchiare me e mamma.
“Papà aveva cominciato a fare
esperimenti in casa, e uno di quegli esperimenti, alla fine, gli scoppiò
letteralmente in faccia. Io tentai di salvarlo, ma restai contaminato dalle
radiazioni del suo apparecchio. E divenni quello che sono.
“Mamma fece quello che poté per aiutarmi, ma ci
mancavano i mezzi, ed io iniziai a rubare quello che le serviva per guarirmi.
Durante un furto, fui quasi catturato dall’Uomo Ghiaccio
e la Torcia Umana. A quel punto, avevo anche cominciato ad
impazzire...e poco tempo dopo, abbandonai la mamma.
“Odiavo tutto e tutti, e in tale stato attaccai l’Uomo
Ragno, il Calabrone e Wasp.
Fui fortunato, però. Il Calabrone trovò un modo di neutralizzare
i miei poteri, e dopo un periodo di prigionia, fui confinato al Ravencroft
Institute per le cure psichiatriche necessarie.
“Quando fui dichiarato sano
di mente, e potei uscire, la mamma era morta per avvelenamento da radiazioni.
Cercare di curarmi l’aveva uccisa. Ed era stato
invano, perché i miei poteri erano stati resi solo latenti.
“Giurai sulla tomba di lei
che non mi sarei mai più dato al crimine, che l’avrei resa orgogliosa di me.”
Capitan Ultra avrebbe voluto avere un fazzoletto
sottomano. “Per questo eri stato catturato così facilmente? Avevi scelto di non
usare i tuoi poteri anche se eri in pericolo di morte?”
Equinox fece di nuovo quel sorrisetto. “No. Mi avevano
preso di sorpresa e sedato ben benino. Non le ho giurato che non mi sarei mai
difeso.”
Ultra trattenne un sospiro, poi disse, “Pensi di andare a quel colloquio?”
“Male non farà. Devo ammettere che mi diverte, l’idea
di usare i miei poteri senza dovermela fare con un branco di supereroi a caccia
di gloria. E tu?”
Ultra disse, “Ho sempre sognato di dare una svolta
alla mia vita, ma sembra che nessuno avesse voglia di
un nuovo supereroe...Pensa, cercai addirittura di esordire fingendo di unirmi
ai Terribili Quattro. Pensavo che se li avessi sconfitti, sarei
diventato qualcuno...Ah, eccolo,” si fermò, ed indicò
il campo roulotte. “Abito lì, Terry. And*”
L’Uomo Termodinamico seguì lo sguardo di Ultra, e capì perché si era messo a tacere di colpo.
Fiamme consumavano un’area del campo!
Griffin se ne andato da un
minuto, e Chip stava pensando che ormai avrebbe fatto meglio a rimettere in
ordine, quando vide Tanya Veil passare dalla preoccupazione all’eccitazione.
“E’ intervenuto un super-essere. Sta sospeso
nell’aria, parlando alla folla...E, sì, ha preso tutta la croce, e ora la
sta portando al sicuro, dentro il complesso Talon. I
manifestanti sembrano sinceramente sorpresi, confusi...Anche i Luciferi
tacciono improvvisamente. Ma chi è questo nuovo
super? E’ un mutante, un eroe...Come, Dan?” qualcuno le stava
parlando da dietro la telecamera. Poi lei si riprese. “Mi dicono che è Capitan
Ultra, un eroe di secondo piano, che ha brevemente militato nei Difensori
e insieme a Thor una volta. Adesso la folla si sta disperdendo, ma...non
si vedono più Luci*”
Chip aveva spento la TV. Tutta quella storia era
diventata un tale casino!
Chip guardò l’orologio al polso. Hmm, fra un minuto
avrebbe dovuto prendere una nuova dose. Era preoccupato: le ultime non avevano
avuto quasi praticamente effetto...e il suo metabolismo
non era di quelli che si assuefacevano.
Chip prese un flacone dall’armadietto, studiando attentamente
l’etichetta. Anni di esperienza gli avevano insegnato
a riconoscere le contraffazioni a colpo...
“Oh, no.”
Il flacone era genuino, nuovo.
Ma era scaduto!
Chip barcollò, lasciando cadere il flacone,
sparpagliando pillole su tutto il pavimento. Si sentiva preso
in trappola, il respiro gli si fece corto.
Panico!
Lui guardava sempre la scadenza,
sempre! Un farmaco scaduto era senza efficacia, acqua fresca...Quel dannato
farmacista se ne era approfittato, lo aveva truffato!!
Perchénonseneeraaccorto? PERCHè??
La realizzazione venne insieme a
una nuova ondata di panico.
L’Altro. L’Altro aveva aspettato pazientemente,
studiato ogni sua mossa. Tutte quelle improvvise esplosioni per distrarlo,
mentre in realtà lo manipolava sottilmente,
distraendolo.
Chip si mise seduto a terra. Gli sfuggì un gemito. “Ti prego, non farlo. Abbiamo vissuto bene,
nessuno ci ha notato...Per favore, resta dove sei...”
All’esterno della roulotte, delle figure erano in
posizione tutto intorno ad essa. Nelle roulotte
vicine, gli inquilini stavano chi zitto zitto, pregando
che finisse presto, chi chiamando la polizia.
Suoni di armi ad energia in
carica si mescolò all’etere...Poi, una voce dalla roulotte di Chip. Una voce
chiara, attraverso le pareti sottili.
Una voce crudele. “Tu puoi restare nel tuo
cantuccio, se lo desideri, perdente! Io, ho voglia di divertirmi, e sai come, per cominciare?”
Sofisticati fucili al plasma furono puntati....
La roulotte esplose!
Gli aggressori, vestiti di uniformi/armature,
le teste avvolte da pesanti caschi, furono sparpagliati disordinatamente.
Dal globo di fuoco che era stata
la roulotte di Chip Martin,
emerse, illeso, un individuo.
Un individuo che di Chip Martin
aveva il corpo. Un
corpo ora avvolto solo da un aderente costume diviso per la lunghezza in beige
e blu.
La stessa testa di Chip era per la perfetta metà nera.
La sua espressione era improntata alla gelida furia.
“Comincerò ammazzando questi patetici Cacciatori di Mutanti, ecco come!”
Gli aggressori stavano cercando di rimettersi in
piedi. Il capogruppo disse, freneticamente, “Caliban ad Appoggio! Il
soggetto è attivo, ripeto, il soggetto è attivo. Urgono rinforzi...YYEAARRRGG!”
Il grido di morte dell’uomo si spese nell’ondata di
proiettili telecinetici che lo investì, riducendolo
letteralmente a brandelli!
Gli altri cinque componenti
della squadra erano pietrificati.
Il mutante si voltò verso di loro, gli occhi due scintille.
“Sorpresi? Chip credeva davvero di avermi tenuto sotto controllo, mentre in
realtà affinavo le mie capacità. Sapevo che sareste venuti, vi ho sentiti dalla prima volta che ci avete messo gli
occhi addosso. E tanta dedizione merita una ricompensa...”
Ci fu un tentativo di fuga. Poi si udirono le
esplosioni, come se avessero fatto scoppiare dei frutti marci dentro i
caschi. I Cacciatori si irrigidirono allo stesso
tempo, e caddero come sacchi flosci, ancora in preda a spasmi post mortem.
Il mutante scosse la testa. “Che fessi,
gente. Diventa quasi quasi troppo...hm?” Voltò la testa in alto,
e si scansò appena in tempo, mentre un raggio di plasma
divorava il punto dove si era trovato un attimo prima!
Ovunque nel campo si era scatenato
il panico, ma il mutante aveva occhi solo
per i tre Dreadnought
Mark II sopra di lui.
“Carini,” disse il mutante.
“Meglio delle solite Sentinelle, direi.”
“Chip Martin, aka Schizoid
Man, arrenditi o sarai terminato. L’offerta non sarà
ripetuta.”
Schizoid Man scrollò le spalle. “Immagino che non si
possa proprio dire di no, vero?”
I tre robot blu si avvicinarono.
La terra esplose incontro a loro in una compatta
ondata!
I robot si concentrarono su quel nuovo ostacolo,
disperdendolo con colpi al plasma. I colpi attraversarono il
‘muro’ e distrussero roulotte fortunatamente già abbandonate, creando
nuovi focolai di incendio!
La nuvola di polvere, fiamme e nerofumo che seguì confuse i loro sensori.
Schizoid Man, apparentemente, era sparito!
“Soggetto apparentemente non
presente in area. Ampliare raggio di scan*squark*”
La testa del robot fu distrutta da un colpo
telecinetico. Le altre due macchine levarono la testa, lanciando raggi di energia dagli occhi!
Schizoid Man stava già volando a terra, maledicendosi
per la sua ‘brillante’ idea. Si era sforzato troppo con quel primo
ferrovecchio, e avvertiva già il familiare mal di testa...Chip voleva tornare a
guidare le danze...*tsk* quell’inetto non sapeva neanche cosa volesse dire
“ARGH!”
Colpito! Il suo fianco destro urlava
di dolore, l’odore di carne bruciata gli riempì le narici. Schizoid Man
rovinò a terra.
I due Dreadnought si prepararono a sferrare il colpo di grazia...
Uno di loro fu tranciato in due da un raggio di energia dalle sue spalle!
Schizoid Man levò lo sguardo. Nella nebbia di dolore,
vide Capitan Ultra ed Equinox lanciarsi in picchiata..
“Ottimo quel Raggio Ultra, Cap. L’altro è mio!”
disse Equinox.
Il robot superstite valutò rapidamente le opzioni di quel nuovo sviluppo...e decise di optare la
ritirata.
Dalle braccia ardenti di Equinox
scaturì un getto congelante, di una intensità prossima allo zero assoluto,
tanto che l’aria intorno al Dreadnought si liquefece.
Il robot andò a pezzi peggio di un puzzle.
Quando Equinox raggiunse Capitan Ultra, questi era intento a
verificare i danni sull’inerte mutante.
“Povero Chip,” disse l’eroe,
scuotendo la testa. Lo prese in braccio. “Ustione di terzo grado. Se non lo porto subito all’ospedale, morirà. Chissà che diavolo sarà successo...Terry?”
Era la volta di Equinox, di
avere una espressione allibita, fissa sul giovane. L’Uomo Termodinamico si
riprese in fretta, e disse, “Niente ospedale, uomo. Conosco un posto migliore,
dove curarlo senza ficcanaso in mezzo.”
Sotto la visiera azzurra, Ultra sbarrò gli occhi.
“Stai scherzando? Chi credi di essere, George Clooney?
Questo...”
Equinox lo interruppe puntandogli un dito ghiacciato
sotto il naso. “Stammi a sentire: 1) tu non hai
voglia di finire accusato di connivenza con i mutanti ,e 2) io non ho
voglia di finire di nuovo nello schedario della polizia. Allora?”
Schizoid Man respirava irregolarmente, a fatica. La
sua ferita puzzava di carne bruciata e siero.
Ultra, riluttantemente, annuì.
Equinox disse, “Sei veloce, a
volare?”
“Ultra-veloce. Dove si va?”
“New York. Ti spiegherò tutto lì...E smettila di
pensare al campo, ci penseranno le autorità a loro.”
Su
suggerimento di Ultra, Equinox si aggrappò all’eroe
color arcobaleno. Un attimo dopo, un campo di energia
si diffuse intorno al terzetto, e Ultra decollò da fermo a una velocità pari a
quella di fuga!
Tutto quanto
fu accuratamente registrato dai sensori del Dreadnought
MKII che Ultra aveva fatto a pezzi, ma non completamente disattivato...
Tutte le informazioni furono viste in diretta dal
proprietario dei robot.
L’uomo sedeva davanti a un
vasto schermo panoramico a muro. Una mano guantata di verde tamburellava sul
bracciolo della poltrona. Delicate spirali di fumo si mescolavano all’aria.
“*tch* così imparo a fidarmi di database governativi,” disse l’uomo, che parlava con un leggero accento tedesco.
“Quei piccoli burocrati non saprebbero tenere aggiornata neanche la propria
patente.” E ridacchiò della
sua stessa battuta. Poi, sospirò.
“Sehr gut, meglio ripulire, prima che lo faccia
la polizia.”
La mano guantata digitò un pulsante sul bracciolo.
Sullo schermo, tutti i rottami dei
Dreadnought, tutte le armi, tutte le parti metalliche degli sfortunati
cacciatori di mutanti –tutto questo andò letteralmente in briciole.
Altro pulsante, e questa volta lo schermo mostrò il volto di una donna.
La donna, una caucasica dai capelli neri cortissimi,
indossava una divisa militare e berretto. I suoi occhi erano celati da Ray-Ban
che sembravano brillare di luce propria.
“Guten Abend, Frau Kapitan. Sono
spiacente di informarla,” ma mentre lo diceva, l’uomo
aveva un retrotono sarcastico, “che il collaudo della Squadra Caliban abbia
subito uno spiacevole imprevisto: mancanza di collaborazione da parte della
preda designata. Devo inoltre, con rammarico, segnalarle l’inopportuna presenza
di due super-esseri improvvisatisi buoni samaritani. I dati dovrebbero esserle
già arrivati.”
La donna aveva un volto duro, l’espressione di chi ha
lottato con le unghie e con i denti per guadagnarsi i galloni sulla giacca.
“Non posso dire di essere soddisfatta, naturalmente, Barone: ma l’imprevisto è
purtroppo una parte rilevante di questo lavoro. Sai dove si è diretto il bersaglio?”
Una mano agitò svogliatamente il bocchino che reggeva
la sigaretta. “New York City. Di più non so.”
La donna sorrise. “Ottimo. Con i dati che mi hai fornito, dovremmo essere in grado di localizzare il bersaglio e
finirlo. Prepara una nuova squadra Caliban, Barone. E, Barone, cerchi di essere più discreto, questa volta. Mi sono
spiegata?”
Lo schermo si spense, mostrando ora, su campo nero, un
logo: due frecce incrociate a X, con uno stemma al centro che recitava “PAX”
Quartiere di
Harlem.
L’edificio era uno dei tanti in attesa di
ristrutturazione. Facciata di mattoni, coperta di murales fino a sembrare una tela
astratta. Finestre malamente sbarrate da assi di legno. Una struttura,
tuttavia, insospettabilmente solida.
Per tale ragione, un eccellente ‘dormitorio’ per gli
sbandati del quartiere e i vagabondi di passaggio.
Ufficialmente.
L’invasione aliena aveva aggiunto un tale carico di
lavoro alla polizia, che ormai il controllo delle piccole attività criminali
era sfumato come fumo in una tempesta.
E chiunque poteva essere un re.
Come un uomo chiamato Steel.
Steel, un nero robusto come uno scaricatore, pelato
come un uovo, indossava sempre un paio di occhiali da sole e il suo giubbotto
da motociclista, con sulla schiena un teschio fiammeggiante quale mozzo di una
ruota –il suo marchio di fabbrica.
Gli ‘uffici’ di Steel occupavano l’intero secondo
piano del palazzo. Entrare da Steel era come entrare in un altro mondo. Steel
aveva fatto impiantare una bisca completa in metà del livello, mentre
nell’altra c’era uno dei bordelli più rinomati della città.
“Dunque,” stava dicendo Steel, consultando i rapporti
della settimana passata, “cosa è questa storia di metterci con ‘sto Morgan Jr.,
gente?”
Steel non aveva bisogno di guardare in faccia il suo
interlocutore: aveva un vocione che non avrebbe sfigurato all’Opera. Quando lui
parlava, era difficile fare finta di essere sordi.
E i presenti nella stanza non sembravano desiderare di
ignorarlo. Molti occhi erano puntati su un ragazzo, un nero vestito ‘hip-hop’,
pantaloni enormi e flosci, felpa spiegazzata.
Il ragazzo avrebbe voluto scomparire sotto il
pavimento. “Ecco, Steel...Morgan ritiene che sia ora, adesso che il sindaco ha
la ricostruzione a cui pensare, che le...” deglutì “...piccole bande uniscano
le forze per formare una nuova coalizione contro gli attuali cartelli...”
“Sotto il comando di Morgan Jr.,” disse Steel. L’uomo
allungò una mano a un sigaro acceso. Inspirò una boccata, e soffiò in faccia al
ragazzo dall’altra parte della scrivania.
Il ragazzo lacrimò e tossì. Steel disse, “Morgan Jr.
va matto per l’oro bianco, mi pare, giusto? E anfe, e sinte, pillolette e tante
altre caramelline, giusto? Un merdoso tossicomane.”
Il ragazzo arretrò di un passo. “Ehi, piano, capo. Non
sono io che...”
Le mani di Steel erano perennemente coperte da guanti.
Una scattò ad afferrare il braccio del ragazzo.
Il pizzetto di Steel seguì il suo terribile sorriso.
“Di’ a quel tossicomane del cazzo che se prova solo a portare un atomo
di merda nella mia zona, o solo a proporlo, come ora, gli faccio...” la
mano strinse.
Nella bisca, ci fu un momento in cui ogni gioco si
interruppe quando un urlo di agonia riuscì a trapassare la solida porta
piombata dell’ufficio di Steel.
Un attimo dopo, il corpo esanime del ragazzo venne
portato a spalla fuori dalla stanza. Gemiti incoerenti uscivano dalle labbra
del malcapitato. Fin troppo visibili erano le sue mani, i polsi devastati come
da una morsa.
Steel tirò una boccata soddisfatta dal sigaro. Alla
sua sinistra, improvvisamente, si aprì una porta scorrevole mimetizzata nel
disegno barocco della parete.
Come un sol uomo, le sue guardie del corpo puntarono
le pistole. Quella era l’entrata segreta, e nessuno senza appuntamento...
Il volto cupo di Steel si aprì in uno schietto
sorriso. “Terry, fratellino! Ma tu guarda che...” il sorriso divenne stupore in
un baleno. La tensione tornò di colpo al massimo.
Terry, che ora indossava un’uniforme bianca e verde
della Talon, con tanto di logo –un’aquila Reale posata ad ali spiegate sul
globo terracqueo- sul petto, indicò un esterrefatto Capitan Ultra, con il suo
paziente.
“Loro sono a posto, fra’. Il tizio mezzo morto ha
bisogno delle apparecchiature della mamma, e subito. Non badare all’altro.”
Steel si fece da parte, lasciando entrare Ultra. Il
capobanda aveva una mentalità pratica, e lasciò da parte i convenevoli. “In
cantina. Sono pulite come se fossero uscite di fabbrica ieri. Quel tizio..?”
Terry fece un cenno di diniego “Nahh, ha un po’ la
puzza, sai come sono i musi pallidi, ma non ti darà fastidio. E ora,
scusaci...”
“OK, OK.” Steel indicò una specie di botola in un
angolo. “Prendi l’ascensore. Mi spaventate i clienti, se vi vedono con
quel...coso lì. E come si chiama, quella specie di arcobaleno su due gambe?”
aggiunse, ghignando.
Ultra mormorò qualcosa di poco carino in Yiddish, che
fortunatamente nessuno dei presenti capì.
Ultra e Terry salirono sul montacarichi, che iniziò la
sua lenta discesa.
Il viaggio terminò in un’ampia stanza riempita di luce
al neon. Sarà stata non più ampia di 100mq, ma ovunque c’erano apparecchiature
che, sebbene per i canoni di Reed Richards non sarebbero state l’ultimo
grido, erano comunque abbastanza sofisticate da mandare in estasi un tecnico
del MIT.
“Mettilo sul lettino,” disse Terry, andando subito ad
attivare l’hardware.
“’Fratellino’?” fece Capitan Ultra, appena eseguito l’ordine.
“Mi dici che avremmo avuto problemi ad andare in un ospedale, quando mi hai
portato nel covo di un gangster? Ho sentito quello che è successo
prima che arrivassimo, e ho anche visto! Quel tizio è un...” fu
interrotto dal suono delle macchine, che tornavano ad essere operative dopo
così tanto tempo.
Terry andò a una consolle, e iniziò a digitare su una
tastiera. “Taci, bacchettone. Faccio già fatica così a ricordarmi i comandi...”
“Tu mi devi delle spiegazioni, mister. E
subito!”
Apparentemente, l’immissione dati era riuscita, perché
Terry annuì soddisfatto, ed andò al lettino dove giaceva Chip. Avvicinò al
corpo una specie di piccolo cannone, puntandolo sulla ferita.
Un attimo dopo, un bagliore smeraldino andò a riempire
la ferita, a pulsazioni intermittenti.
“Fatto,” disse Terry. “Fra poche ore dovrebbe essere
come nuovo...o quasi.” Poi, sembrò ricordarsi, e si voltò verso il suo
riluttante amico. “Scusa, cosa stavi dicendo?”
Un furgone nuovo di pacca, senza insegne, avrebbe
attirato l’attenzione come se avesse avuto FBI stampato sopra.
Un semplice U-Haul usato era il mezzo ideale,
soprattutto in un’area che di ‘traslochi’ ne vedeva non pochi.
Dentro il furgone, l’atmosfera era alquanto tesa.
Cinque persone in uniforme/armatura stavano studiando su un monitor le schede
relative a Chip, Equinox e Capitan Ultra.
“Un’azione diretta è fuori discussione,” disse il
caposquadra, un orientale. “Sarebbe come tentare un’azione di setacciamento in
una giungla piena di guerriglieri ostili.” Suo padre aveva fatto il ‘Nam in
appoggio agli Americani. sapeva di cosa stava parlando. “Troppi danni e troppo
chiasso. Voglio i Meerkat e i
Dreadnought in pattugliamento continuo. Attaccheremo quei furboni appena
metteranno il muso fuori dalla loro tana. Domande?”
Nessuno prese la parola.
Il caposquadra annuì. “Bene, adesso*” fu interrotto
dall’allarme! Cinque teste si voltarono all’unisono.
Un monitor stava fornendo dati come impazzito. In una
sua finestra, il radar segnalava una posizione intermittente, su una mappa tridimensionale
di un vicolo vicino.
“Altri due
intrusi,” fece uno dei soldati, sconsolato. “Dio, questa città dovrebbe
diventare uno stato a parte, con tutti questi…eh?”
Anche gli altri se ne accorsero.
“Non sono nel Registro,” fece un altro, una donna.
“Ci mancava solo questa,” disse il caposquadra.
“D’accordo, aspettiamo di vedere cosa fanno…Numero 20, prepara il
Neutralizzatore. Se vengono verso di noi, li catturiamo senza colpo ferire.”
Dopo, non poterono fare altro che aspettare, mentre,
lentamente, faticosamente, i due puntini sul radar –uno dei quali così piccolo
da risultare quasi invisibile- si muovevano.
La cosa curiosa era, che per quanta energia venisse
rilevata dall’intruso più grande, essa quasi veniva eclissata dalle emissioni
del compagno!
La cosa più frustrante era non potere usare alcun
sistema attivo di scansione, o avrebbero attirato l’attenzione delle loro
prede.
“Procedono così irregolarmente…” fece la donna
“Possibile che siano entrambi feriti, o disorientati?”
“Possibile,” rispose il caposquadra. “La loro
improvvisa apparizione suggerisce il teletrasporto.”
Nessuno aggiunse altro, ma la tensione salì di
parecchio ancora.
E se fossero
stati Marziani?
Secondo le fonti governative più ‘nere’, i Marziani
erano stati annientati in massa da una Bomba-Betatron,
un residuato bellico ideato dall’Hydra. Un residuato che poteva non essere
operativo al 100%…erano pur sempre passati almeno 10 anni senza manutenzione…
Gli uomini del PAX erano addestrati. Nel giro di pochi
secondi, ognuno era già pronto a schizzare fuori dal furgone in pieno assetto
da battaglia…
“Cavoli,” disse invece uno di loro.
Ora la telecamera li inquadrava.
Uno era un lupo
–un maschio, dalla pelliccia color d’argento. Era visibilmente ferito, il
sangue a formare chiazze nere alla luce lunare. La zampa posteriore destra
doveva essere rotta, la teneva sollevata nel suo zoppicare.
Sulla testa del lupo, stava una creatura uscita dritta
dalle fantasie di Sir Conan Doyle: una fata,
una donna minuta, scintillante, con delle ali da farfalla. Lei stessa non
sembrava messa meglio; era riversa, esausta, le sue scintille di una
intermittenza opaca, malata.
Non si può dire che quegli uomini e donne fossero dei
sentimentaloni. Erano soldati, addestrati, induriti alle emozioni…Eppure,
quella vista riuscì a toccare proprio quelle corde che dovevano ignorare.
“E adesso che si fa?” chiese il più giovane del
gruppo.
Sullo schermo, l’animale era tutto tranne che
aggressivo o abbastanza forte per tentare una qualsivoglia azione. Sembrava
solo avere bisogno di un veterinario.
Il caposquadra sospirò. “Pronti ad usare il
Neutralizzatore. Settaggio corrente confermato.”
“Potrebbe ucciderli!” esclamò la donna.
L’appello cadde nel vuoto. Il loro era un lavoro che
non doveva lasciare spazio a sentimentalismi. Mai!
Finalmente, il lupo era a tiro. Nessun testimone.
La donna e un altro uomo uscirono dal furgone.
Il tetto del furgone si aprì in due, lasciando uscire
un cannone.
Il cannone sparò una rete. Una rete costruita con la
stessa tecnologia che il mutante Forge
aveva usato per la pistola già usata per ‘cancellare’ i poteri dei mutanti. La
vittima designata sarebbe stata inoltre privata delle sue forze attraverso dei
biosifoni nelle maglie.
Il lupo poté solo sollevare la testa, piegare le
orecchie all’indietro, ed emettere un debole ringhio, mentre la rete lo
avviluppava. Come previsto, la rete gli risucchiò buona parte delle forze
rimaste…
Come non era
stato previsto, in virtù del fatto che sia il lupo che la faerie non appartenevano a questo piano della
realtà, la mente di lei riuscì ad emettere un lamento terribile.
“Conosco Chip Martin da quando era anche lui
un…’inquilino’ del Ravencroft Institute. Venne ricoverato dopo di me, a causa
di un grave disordine schizofrenico. Doppia personalità.”
Terry e Ultra stavano seduti a un tavolo, due grosse
tazze di caffè fra le mani.
Terry bevve un sorso. “E’ un mutante. Sua madre si era
presa non so quali medicine per portare a termine la gravidanza invece di usare
il cesareo e farlo nascere prima. A causa di quella roba, Chip è andato in
sballo fin da neonato. I suoi poteri si manifestarono fin dall’infanzia, e più
andava avanti, più le sue due personalità si separavano.
“A un certo punto, suo padre, che allora era Senatore
di New York, gli fece dare un farmaco sperimentale, e il problema sembrò
risolto…fino a quando, durante una festa, Morbius
fece irruzione. Lo stress fece emergere la seconda personalità di Chip, e per
poco non fece fuori tutti, incluso l’Uomo Ragno, che stava lottando contro
Morbius.
“Sotto le cure della Dottoressa Kafka, Chip fece grandi progressi, anche se continuavamo
a temere che in realtà il suo lato oscuro fosse solo sepolto…e sembra che la
Dottoressa avesse ragione. Quello che ha addosso Chip è il costume che aveva
quando si presentò al mondo come Schizoid Man.”
Ultra afferrò una ciambella calda dal piatto al centro
del tavolo. “Se c’erano sospetti sul suo stato, come mai era libero come
l’aria?” Solo per educazione, non aggiunse che sospettava che suo padre avesse
fatto pressioni, nella migliore tradizione politica.
Quello che rispose Terry lo fece vergognare di tali
pensieri. “Il vecchio Ravencroft fu distrutto durante una evasione di
supercriminali. Chip, o forse l’’Altro’, decise di approfittarne e darsi alla
macchia. Suo padre era già morto di infarto, e la madre è ricoverata in un
altro istituto psichiatrico.” Terry sospirò, spostando di nuovo lo sguardo
sull’esanime mutante. “Evidentemente, non avevano smesso di cercarlo. Ma che
volessero addirittura eliminarlo…”
Cap annuì. “I mutanti hanno attivamente contribuito a
difendere la Terra dai Marziani. Uno si aspetta che il governo sia più
comprensivo…”
Terry disse, “Credi che fossero del Governo?”
“Non vedo chi altri potrebbe volere investire una
forza così consistente e sofisticata contro un mutante.”
Terry tacque, mentre immaginava una dozzina di nomi di
gruppi privati che avrebbero potuto fare la stessa cosa.
“Parliamo invece di tuo ‘fratello’,” disse
improvvisamente Ultra, con un sorriso sfottorio. “Non mi sembra il tipo di
persona che renderebbe tua madre ‘orgogliosa’. Ho dato una scansione al
palazzo, sai, e ho visto delle cose…”
Terry levò una mano a fermarlo. Sospirò, e poi disse,
“La mamma era una scienziata famosa, ma è da qui che è venuta. Steel nacque
prima che lei si sposasse; era praticamente una ragazza. Purtroppo, lei non
ebbe modo di occuparsi di suo figlio come doveva, era troppo impegnata a
costruirsi un futuro. Cercò di non fare mancare nulla a Steel, ma alla fine,
quando conobbe papà, fu lo stesso Steel ad andarsene. E lei non lo seguì.
“Fu solo dopo che divenni Equinox, che mamma fu
costretta a tornare a Harlem. Fu a Steel, nel frattempo emerso a capobanda, che
dovette rivolgersi per trovare spazio per il laboratorio e per noi.
“Steel fu molto comprensivo. Credo che fosse fiero di
avere una madre che aveva fatto strada, anche se ora era in disgrazia. Ci diede
molti soldi, e mamma poté tentare di curarmi…”
Ultra si mordeva il labbro inferiore. “Terry, non è
questione di biasimo…Ma questo tuo fratellastro possiede un racket, una bisca,
e nel palazzo ci sono delle prostitu…”
Terry gli rivolse uno sguardo severo. “Non sto
cercando di giustificarlo, Cap. Ma, a suo modo, Steel è in gamba: nella sua
zona non circola droga, e la prostituzione non coinvolge minorenni o animali.
Vive fuori dalla legge, ma ha una sua morale. E non ti permetterò di…”
Un urlo terribile echeggiò nella stanza. “PER FAVORE,
AIUTATECI!”
I due si voltarono a guardare
Chip, che ora stava seduto sul tavolino. Si guardava
intorno con occhi sbarrati, la pelle velata di sudore gelido. La sua
espressione era un insieme di paura, angoscia e dolore. Poi, riprese a parlare,
con una flebile voce…femminile. “Vi prego. Lui sta morendo…Non è giusto, per
favore…Perché ci volete fare del male?”
I due super gli furono subito vicini. Interpretando
l’espressione di Terry, Ultra disse, “Non ha mai fatto così, vero?”
Cenno di diniego. “Una terza personalità, femminile…no
di certo.
“Vi prego…lui muore…” la voce di Chip, come i suoi occhi,
erano opachi. Stava per perdere di nuovo conoscenza.
“E’ un telepate,” disse Terry, sorreggendolo. “Credo
che sia stato ‘agganciato’ da qualcuno là fuori, e sta condividendo il suo
stato fisico. Cap, puoi vedere..?”
“Detto fatto,” disse l’eroe, e attivò l’ultra-visione.
Di fatto, non c’era ostacolo per i suoi occhi, quando usava quel potere che
sfruttava il flusso di neutrini cosmici…
“Trovati!” esclamò, alla vista del lupo preso nella
rete e dei soldati in costume/armatura che lo stavano portando via. “Tu resta
con Chip, Terry. Faccio in un attimo!”
Terry lo vide spiccare il volo…e attraversare il
soffitto come fosse stato un fantasma!
“Cristo, ma cos’ha quello, la Coscienza Cosmica?” fece uno dei soldati che stavano portando il
lupo, alla vista di Capitan Ultra che emergeva dal pavimento. Si chiese anche,
di sfuggita, da quando quel buffone avesse il potere di intangibilità…Era ovvio
che il Registro andava aggiornato!
Ultra atterrò di fronte ai due soldati del PAX. A mani
nude, incurante degli effetti del neutralizzatore, strappò le maglie metalliche
come fossero state di carta. “Non posso dire di apprezzare l’omicidio, anche se
per autodifesa…Ma voi proprio le lezioni non le capite, vero?”
Dentro il furgone, il caposquadra bestemmiò. “Missione
abortita! Numero 83, dispositivi Stealth, ora!”
Ultra prese il lupo in braccio. “Se muore, ve lo
faccio vede…eh?”
Improvvisamente, i due soldati, ed il furgone da cui
erano venuti scomparvero.
Se Cap ne avesse avuto il tempo, avrebbe usato la sua
ultravisione, ma il rantolare del lupo lo convinse altrimenti. Rese sé stesso e
l’animale intangibili, e sparì nel sottosuolo.
“Mia carissima Kapitan,”
stava dicendo l’uomo misterioso, “se lei desidera discrezione, in una città
satura di super-esseri, il massimo che una Squadra Caliban può fare, se
individuata, è nascondere la coda fra le gambe e fuggire. fatevi dare l’avvallo
del Governo, e le farò avere dei risultati significativi.”
Dallo schermo, la donna mormorò “Dannato Comma 22…”
Poi, a voce più alta, “In un modo o nell’altro, prima dobbiamo ottenere dei
risultati, o continueranno a lasciare tutto nelle mani di quell’incapace di Henry Peter Gyrich…E sia, Barone. Usi
ogni mezzo necessario, ma consegni almeno un
cadavere di super-essere. Più è potente, meglio è. Ma non coinvolga la comunità dei supereroi, o dovrà cavarsela da
solo.”
Lo schermo si spense, e l’uomo esalò uno sbuffo
soddisfatto.
Era andata come lui voleva. Adesso, ci sarebbe stato
da divertirsi…
Episodio 2 - Confronti e scontri
Quando si pensa al potere, è difficile non immaginare
la persona che lo detiene. Sia un uomo o una donna, che nelle sue mani ci sia
uno scettro o un mandato elettorale, che sieda su un trono o su una poltrona
ministeriale, o alla scrivania in un ufficio all’ultimo piano di un lussuoso
grattacielo –inevitabilmente, si finisce con l’associare il potere a due mani e
una testa.
Non sempre, tale visione è fondata.
Oggi, il potere non è più concentrato nelle mani di
uno. Anche se le multinazionali hanno sostituito efficacemente le oligarchie
nobiliari, e i nuovi baroni e conti vestono Armani anziché portare il mantello,
persino i creatori delle più potenti corporazioni sono costrette a rendere
conto a quel branco compatto che è il Consiglio
di Amministrazione.
Alexander
Thran era l’eccezione alla regola. Il
diritto di voto dei presenti, in quell’assemblea destinata a cambiare il corso
della storia, era una mera formalità. Lui era il padre e padrone dell’azienda e
loro le sue estensioni. Senza di lui, non sarebbero stati nessuno!
Thran era un predatore aziendale, un animale da
corridoio. Aveva sacrificato molte vite innocenti nelle trincee delle borse di
tutto il mondo, per fondare la sua Talon
Corporation. E il branco radunato davanti a lui, nella stanza foderata di
quercia, era frutto di una selezione spietata, un organismo capace di portare
avanti la volontà di Thran con la massima efficienza, ma altrettanto capace di
tranciare la mano che lo nutriva.
Thran, in un gessato dalle linee geometricamente
perfette, ben rilassato in una poltrona automodellante, teneva d’occhio i suoi
soci seduti intorno al tavolo ovale. Niente supporti di carta o penne, per
questi dirigenti del 21° secolo: solo tastiere e monitor al plasma che
emergevano da nicchie nella superficie nera.
Diversi dei soci della Talon, osservando quei
monitori, manifestavano evidente perplessità.
In un certo senso, Thran li capiva. Il suo monitor
mostrava quello che gli altri stavano vedendo: le schede, a intervalli
regolari, di tre metaumani, tre uomini. Uno indossava il costume più colorato
che si potesse vedere. Il secondo non aveva costume, ma un corpo in parte
coperto di ghiaccio e in parte di plasma ardente. Il terzo era un caucasico con
indosso un aderente costume per metà beige e metà blu-nero. Metà del volto di
quest’uomo, capelli inclusi, era blu-nera.
Finalmente, uno dei soci, una donna che non avrebbe
sfigurato come top model nonostante il completo di taglio mascolino, levò lo
sguardo e disse, “Ammettere questi tre individui nelle operazioni di difesa
dello Zilnawa senza averci
consultato, Alexander, è stato a dir poco impulsivo. Questo…Schizoid Man è addirittura un mutante.”
Alexander annuì. Bevve un sorso d’acqua, e disse,
“Esattamente per questo, che ho deciso di assumerlo, Esther. Un mutante, un
nero,” ed evidenziò la scheda dell’uomo di ghiaccio e plasma, Equinox, “e un perfetto sconosciuto ma
con un’evidente tendenza a fare l’eroe,” e indicò l’uomo nel costume colorato, Capitan Ultra.
Lo sguardo di Alexander, fino a quel momento
improntato a un’espressione di paterna serenità, si fece severo. “Signori, il Progetto Exodus deve avere la priorità.
E l’unico modo per farlo diventare realtà è difendere lo Zilnawa nella sua vita
di neonata democrazia.
“I Campioni
dello Zilnawa, come la Pantera Nera
per il Wakanda, devono essere un team
apprezzabile nell’ambito della comunità dei supereroi: un gruppo di
supermercenari alle nostre dipendenze sarebbe inevitabilmente visto come
l’equivalente della guardia personale di Magneto
a Genosha, o di un branco di
criminali al soldo della Roxxon.
“No, noi dobbiamo avere campo libero: e questo
significa che un equipaggio misto come questo gruppo avrà il sufficiente
impatto sociale, per riscuotere l’approvazione che cerchiamo. Già Capitan Ultra
ha contribuito a sedare un linciaggio nei pressi dell’Ambasciata dello Zilnawa,
sotto gli occhi dei media. Sarà un eccellente capogruppo.”
Uomini e donne meno forti di cuore dei presenti
avrebbero avuto un accidente. Invece, la reazione fu una serie di occhiate
indagatrici che non nascondevano pensieri frenetici.
“Quindi, i nostri
agenti..?” fece il membro più anziano del consiglio, un uomo con l’argento nei
capelli.
Thran li aveva in pugno! Appoggiando i gomiti sui
braccioli della poltrona e incrociando le mani, disse, “Faranno parte del
gruppo, naturalmente: abbiamo pur sempre bisogno di garanzie, giusto?”
La tensione scese visibilmente. Solo allora, Esther
chiese, “Possiamo quindi passare al secondo punto all’OdG?”
Thran annuì,
insieme agli altri. “Nulla in contrario. Anche portando a compimento Progetto
Exodus, non farebbe male tentare di risolvere i nostri problemi comunque.
Signori, procediamo.”
Da qualche parte nel sottosuolo di Harlem, New York
City.
“Sei sicuro che non sia una mutante?”
Le crude luci al neon non contribuivano a migliorare
l’atmosfera, in quel piccolo laboratorio improvvisato..
I tre oggetti dell’attenzione del CdA della Talon
stavano in piedi, intorno a un tavolo operatorio, intenti a cercare di capire qualcosa
delle creature che vi giacevano. Una era un lupo, un
maschio dal pelo folto e argenteo. L’altra era avvolta da un bozzolo
translucido, compatto; dentro a quel bozzolo, fino a prova contraria, fino a
poche ore prima, c’era stata una donna, o meglio, una Faerie. Non sarà stata più grande di Janet Van Dyne nella sua forma
di combattimento di Wasp, ed aveva
delle delicate ali da farfalla sul suo corpicino avvolto da pallide scintille.
“Matematico,” rispose Schizoid Man, la voce quella
gentile della personalità di Chip Martin. Il mutante portava una leggera
bendatura sul fianco, nel punto dove un Dreadnought
l’aveva colpito il giorno prima. “Quando lei mi ha agganciato mentalmente, ho
ricevuto delle immagini…credetemi, c’erano mostri, orchi, nani, giganti di
ghiaccio. Peggio del regno della Strega Cattiva dell’Ovest.”
Gli risposero due paia di occhiate incuriosite.
Intervenne Terry, ancora vestito dell’uniforme
bianco-verde della Talon. “Te l’ho chiesto perché l’apparecchio di mamma ha
funzionato solo sul lupo. Il suo raggio stimola i processi biochimici di
rigenerazione…ma su di lei non ha funzionato. Forse proprio…perché…ma sto
dicendo una stupidaggine ,vero?”
Chip, mutante DOC, appena curato dallo stesso
apparecchio, roteò gli occhi.
Capitan Ultra scosse la testa. “Temo che non ci resti
che attendere. Se è bastata una breve esposizione a generare quel bozzolo, non
voglio dovere scoprire quale sarà il prossimo stadio...Non prima di avere
capito chi sono quei pazzi che hanno deciso di riaprire la stagione di caccia
al mutante...Chip?”
Chip abbassò lo sguardo. “Non posso essere di aiuto:
era l’’altro’, ad avere letto le loro menti. Io non so neanche come si comincia
a fare una cosa simile.”
Affermazione che aggiungeva un altro tassello al problematico
puzzle: quale affidabilità dava un perfetto schizofrenico, per giunta potente
come lui?
Terry andò a prendersi una tazza di caffè –aveva ormai
perso il conto del numero consumato. “Forse possiamo risolverlo in fretta, il
problema degli acchiappamutanti: la Talon potrebbe darci una mano, se
accettiamo quella proposta di lavoro.”
Guardando Chip sollevare un sopracciglio, Ultra ebbe
una mezza idea di strangolare Terry –ma al mutante disse, “Non sappiamo neppure
di cosa si tratti in particolare...Forse hanno bisogno di guardie del corpo per
il Presidente dello Zilnawa. Sai, la manifestazione di ieri...”
Chip andò a unirsi a Terry per il caffè. Stava già
allungando una mano verso una tazza...quando la ritrasse più in fretta che se
avesse rischiato di toccare una bomba! “Scusami,” disse poi a Terry, “me ne
stavo dimenticando: temo che gli eccitanti non siano la cosa più indicata, per ora...Non
è che hai dell’Hypnocil[1]?”
Terry aggrottò la fronte. “Scusa, ma non è quello che
serve a sopprimere i sogni?”
Chip annuì. “Già. L’’Altro’ si scatena soprattutto
quando dormo. I miei strizza hanno scoperto che l’Hypnocil funziona meglio dei
tradizionali sedativi, che non hanno effetti sufficientemente incisivi sulle
mie aree più nascoste.”
Terry sembrò pensarci su, mentre guardava verso il
soffitto. “Dubito che il mio fratellone possa esserti di aiuto: lui, di droga,
non ne vuole vedere l’ombra. Se gli chiedo ‘sta roba, è capace di sbatterci
fuori a pedate...E non possiamo neanche andare a comprarne: ci vuole la ricetta...”
Ultra diede un colpetto di tosse. “Ehm, a questo posso
pensare io.”
Chip lo guardò in un modo curioso, come l’eroina di un
romanzaccio rosa guarda l’arrivo del suo fusto su un cavallo bianco. Era
imbarazzante!
Ultra levò un indice ammonitore a entrambi i suoi
amici. “A una condizione: voi state qui e vi assicurate che i nostri
ospiti si riprendano.”
Come un fantasma, ma a una velocità tale da risultare
poco più di una macchia indistinguibile, la figura di Capitan Ultra emerse dal
manto stradale, verso la sua destinazione.
Una macchia indistinguibile...almeno all’occhio umano.
Non a quello elettronico di un gadget volante,
una sfera che, grazie alle sue avanzate tecnologie stealth, era
effettivamente invisibile. Stava sospesa nel cielo, in ricognizione in quel settore
di Harlem nei cui sotterranei stava il laboratorio di Terry.
La sfera era un Meerkat...
...e il suo proprietario stava gongolando fra sé, alla
vista della partenza del supereroe.
Il ‘Barone’, come si faceva chiamare negli ambienti della
misteriosa organizzazione PAX, schiacciò un pulsante sulla tastiera nel
bracciolo della poltrona. “Capo Caliban,” disse, in un inglese appena
inquinato da un accento tedesco, “potete procedere come da piano 3...E
cerchiamo di essere veloci, questa volta.”
“Lo odio,” disse Terry. Sedeva su una sedia d’acciaio,
intento a fissare il lupo addormentato come fosse stato la classica pentola che
non bolle.
Chip stava tracciando un dito sulla superficie del
‘bozzolo’ della faerie. Al tatto, quell’oggetto sembrava fatto di plastica; era
leggermente cedevole, ma solo quel tanto, apparentemente, per assorbire una
caduta o il colpo di un sasso. Ed era caldo. Non c’era dubbio che l’essere nel
bozzolo fosse tutt’altro che inattivo...
“Lo odio,” ripeté Terry. Poi, sembrò ricordarsi del
suo compagno d’arme. Lo guardò con curiosità. “Se hai tanta paura di questo tuo
‘Altro’, perché non torni dalla Dottoressa Kafka? E’ una donna che sa
fare miracoli...Almeno, con me ha funzionato.”
Chip serrò le labbra; poi, con riluttanza, “Ha
funzionato perché tu volevi che funzionasse: in caso contrario, potresti
solo essere condizionato, ma non curato.
“Io...l’’Altro’ è incontrollabile. Sono sicuro che,
alla prima opportunità, cercherebbe di uccidere la dottoressa Kafka. Per
questo, quando il Ravencroft fu distrutto, io fuggii: non volevo che le
succedesse qualcosa...”
“Sicuro che non sia stato l’’Altro’ a convincerti a
fuggire, inconsciamente voglio dire?”
Chip ebbe voglia di dire di no: all’epoca, prendeva
l’Hypnocil...
E l’’Altro’ era rimasto lì lo stesso, erodendo il suo
controllo un po’ alla volta, fino a quando, ieri...
Come aveva fatto? E perché aveva agito così lentamente nel tempo, quando avrebbe potuto
liberarsi, a questo punto, molto prima?
Chip si portò una mano alla tempia. Il familiare mal
di testa stava tornando; si accorse di stare respirando un po’ più in fretta.
Che Cap facesse presto!
Per quanto concerneva l’arrivare a destinazione,
Capitan Ultra aveva fatto presto. I suoi poteri gli consentivano di raggiungere
almeno gli 11 Km/s, cioè la velocità di fuga. Raggiungere quella villetta in
Florida era stata questione di pochi minuti.
Quando vi atterrò davanti, ebbe la precisa sensazione
che la vera perdita di tempo sarebbe iniziata fra poco...Ma era una prospettiva
davvero accettabile, se l’alternativa era rubare il farmaco necessario.
Cap premette il campanello –di passare alla propria
identità civile non se ne parlava...soprattutto, perché aveva avuto la
sciagurata idea di atterrare nel mezzo della strada, sotto gli occhi
esterrefatti di una dozzina di pensionati di lusso! E già qualcuno
borbottava...
La porta si aprì, e Ultra se lo ritrovò davanti: un
uomo che, nonostante gli anni, era ancora solido come una quercia, la grigia
barba ben curata, e una pipa in radica fumante in mano. A differenza di Griffin
Gogol, quest’uomo portava il suo retaggio ebraico con grande dignità. Per tale
ragione, alla vista del supereroe, l’anziano emise solo un grugnito e si
riaggiustò i pience-nez.
“Anche io sono felice di rivederti, papà,”
disse Ultra.
Jeremiah Gogol
tirò una boccata della pipa, senza spegnere la luce severa nei suoi occhi.
Mentalmente, Ultra sospirò: sarebbe stata dura...
Ufficialmente, il laboratorio che un tempo era
appartenuto alla dottoressa Amanda Sorenson non esisteva. Era una
struttura concepita durante la clandestinità della ricercatrice, mentre suo
figlio, contaminato dalle radiazioni di un esperimento impazzito, perdeva
sempre più il controllo.
Amanda non aveva avuto molta scelta. Aveva i fondi, ma
la copertura doveva venire da qualcuno di cui potersi fidare –e quel qualcuno
era suo figlio di primo letto, una persona a lei cara ma sacrificata alla
carriera...
...Ma l’uomo oggi chiamato Steel non se l’era
presa più di tanto. Lui stesso aveva lasciato sua madre, per non pesarle. Il
suo scopo era sempre stato quello di dare una mano ai fratelli e sorelle di
quel gigantesco ghetto che era Harlem –e non avrebbe fatto a modo dei bianchi,
per poi doversi sentire debitore.
Per questo, Steel era tornato da suo padre, ed aveva
imparato il ‘mestiere’ da lui...Ma con una differenza: suo padre non era mai
emerso dal ruolo di galoppino.
Seduto alla poltrona del suo ufficio, Steel osservava
la strada sottostante attraverso la finestra, ben protetto da un cristallo anti-bomba
di quelli usati per gli uffici della Stark Solutions.
Steel serrò le mani, coperte da spessi guanti di
pelle. Le aveva sacrificate durante una rapina, ma, almeno, ci aveva guadagnato
abbastanza da fondare il suo piccolo regno. Oh, sì, la legge poteva non
approvare la prostituzione ed il gioco d’azzardo, ma nessun poliziotto metteva
il naso nel regno di Steel, dove non circolavano droga e pervertiti. E
l’eventuale trasgressore ‘spariva’ più in fretta che comporre il 911.
Senza contare la sicurezza: nessuna ragazza di Steel
era costretta a lavorare per lui. Lui offriva il posto fino a quando lei lo
desiderava...Era impressionante, il numero di ragazze che, scoperto il gioco
dei ‘grandi’, tornavano a casa con la coda fra le gambe!
Sulla scrivania di Steel giacevano cartelle di
rapporti, fatture e scartoffie generalmente inutili. Bisognava esaminare,
firmare, approvare o meno...
Fortunatamente, Steel doveva ancora accendersi il
primo Avana della giornata, altrimenti lo avrebbe già usato per dare fuoco a
quel mucchio. La sua mente era presa dal suo fratellastro, Terry, e da quegli
altri due balordi...senza contare quel lupo che si erano presi in casa ieri
notte, senza dirgli nulla!
Steel non avrebbe mai cacciato o offeso Terry –il
poverino ne aveva già avute abbastanza dalla vita, a partire da quell’ubriaco e
violento di suo padre...senza contare, che almeno questo, alla mamma lo
doveva...
Ma porca miseria! Coinvolgere quei due gli sarebbe
potuto costare di brutto! Quelle specie di super-soldati di ieri potevano
rifarsi vivi da un momento all’a*
Con un colpo secco, la porta del suo ufficio si
spalancò!
Per Steel, pensiero e azione erano diventate un’unica
cosa; prima ancora di cercare il bersaglio, la sua automatica era già in
mano...
Solo che il bersaglio non c’era. L’ufficio era
vuoto. “Ma che diavolo..?”
Poi, Steel avvertì un grande dolore e un brivido lungo
il corpo. Poi, più nulla...
“Ti avevo detto di stare lontano da me, fino a quando
non avessi capito.”
Stavano nel salotto, una camera semplice senza
orpelli. L’unica concessione al lusso era l’apparecchio radiotelevisivo che ne
dominava il centro, uno scatolone foderato in legno di una foggia vecchia di 30
anni.
La madre di Griffin Gogol, ora nella sua identità
civile, stava versando del tè per il figlio. Decisamente, era da lei che l’eroe
aveva preso i tratti somatici più rilevanti.
Griffin sentì tutto il veleno riemergere. “Papà, devi
proprio continuare su questa strada? Non puoi accettare che questi poteri siano
una benedizione, invece di...”
Fu interrotto da un’occhiataccia degna di un laser.
Jeremiah disse, la rabbia controllata a stento, “Le sole benedizioni possono
venire da Javeh, e da Lui soltanto. E tu mi hai detto che è stata una...razza
di alieni a darteli.”
Griffin serrò la mascella, desiderando di avere Doc
Samson al suo fianco. Era così difficile, controbattere non solo a un uomo,
ma agli insegnamenti di una vita –per questo, per un certo periodo
dall’acquisizione dei suoi poteri, Griffin aveva avuto paura del fuoco.
Inconsciamente, si era sempre visto destinato alle fiamme della Gehenna...
Griffin bevve un sorso di tè. “Papà, con questi poteri
ho fatto e sto facendo del bene...E se tu continui a pensare che io sia
diventato una specie di agente del male, ebbene, devi provarlo.
“Ma non sono venuto per litigare: ho bisogno di un
favore.”
Jeremiah si appoggiò allo schienale. “Di cosa si
tratta?”
Una volta di più, Griffin si maledì per il modo
sciatto in cui vestiva, per sembrare una caricatura malriuscita di un ebreo.
Gli sembrava di accattonare. “Una persona che conosco...ha bisogno di una, di
diverse ricette per l’Hypnocil.”
Jeremiah fece per parlare, ma Griffin lo interruppe
sul nascere. “Ti prego, non farmi domande: ti posso solo giurare che non si
tratta di tossicodipendenza...Papà?”
L’uomo si era alzato, solenne, e stava uscendo dalla
stanza!
Griffin fece per seguirlo, ma sua madre, che fino a
quel momento era rimasta in disparte sulla soglia della cucina, si fece avanti,
un sorriso di incoraggiamento sulle labbra. “Lascia che gli parli io, caro. E’
un brav’uomo, basta ricordarglielo.”
Di colpo, alle luci al neon si aggiunse
un’intermittente luce arancione.
Terry fu in piedi di scatto. “L’allarme! Siamo stati
scoperti, ma come..?”
Fu interrotto dalla voce femminile proveniente
dall’intercom. “Attenzione, Terry Sorenson e Chip Martin: abbiamo in ostaggio
gli occupanti di questo edificio. L’intera area è isolata per quanto concerne
le comunicazioni. Presentatevi di sopra adesso, e non in modalità da battaglia,
o sarete responsabili delle loro morti. E non dimenticate di portare con voi i
vostri nuovi ‘amici’. Questa richiesta non sarà ripetuta.”
Inutile dirlo, un paio di minuti dopo, grazie al
montacarichi, i due metaumani furono nell’ufficio di Steel. Terry portava il
lupo, ancora inerte, sulle spalle. Chip teneva in mano il bozzolo della Faerie.
La donna, nell’uniforme-armatura del PAX, teneva la
canna di un fucile al plasma puntata a contatto con la testa dell’inerte Steel
–il quale non sembrava avere subito ferite di sorta.
L’altro soldato del PAX presente si avvicinò a Chip.
In mano, teneva una siringa pneumatica. “Il braccio, mutante.”
Chip obbedì. Appena il liquido gli fu iniettato in vena,
avvertì la familiare sensazione dell’Hypnocil...e di un altro farmaco. Si sentì
venir meno. Un attimo dopo, crollò fra le braccia del soldato, che se lo caricò
in spalla come un sacco.
Il soldato si diresse verso la porta. Con la testa, la
donna fece cenno a Terry di seguirlo.
Con la coda dell’occhio, il giovane nero la vide
mettere un oggetto sferico sulla scrivania, prima di lasciare la stanza a sua
volta. Poi, fu lei stessa ad anticipare la domanda. “Quella bomba detonerà solo
se tentate scherzi. Seguiteci senza fare storie, e la disattiveremo. A meno che
sia necessario, non abbiamo voglia di lasciarci dietro una scia di cadaveri di
civili, che siano teppaglia o no.”
Terry fece un mezzo sorrisetto. “Mio fratello ha più
dignità in un capello che voi in una vita. E lui è calvo.”
Invece di uscire in strada, i prigionieri furono
portati sul tetto dell’edificio. Ad attenderli, c’era un elicottero nero –o,
meglio, un apparecchio che dell’elicottero aveva la forma, ma dotato di ali e
di un propulsore a razzo.
Quando tutti furono saliti, l’elicottero si sollevò,
spinto dalla turbina sulla pancia. Un attimo dopo, stava schizzando via,
invisibile ai radar.
“Dovresti vergognarti, Jeremiah! Puoi non apprezzare
le idee di tuo figlio, ma rifiutarti di ascoltarlo è indegno di te. Dai più
retta a un paziente per una visita superficiale.”
Jeremiah Gogol stava in piedi alla finestra, nella
camera che tanto tempo prima era stata del loro piccolo figlio. L’uomo non si
voltò, nel rispondere alla moglie, “Ascoltarlo, Anja? E’ il mio più grande
fallimento: quei suoi ‘poteri’ sono il culmine del suo rifiuto del nostro
retaggio. E’ un estraneo! Quanto tempo passerà, prima che cominci anche lui a
dubitare del pogrom?”
Anja si sedette sull’immacolato letto, accarezzandolo
come se ancora il suo bambino vi stesse dormendo. “Marito, puoi essere talmente
ottuso, a volte...” parlava con condiscendenza, avendo da tempo accettato che
il suo uomo non avrebbe mai ceduto in un confronto diretto. E il loro figlio
doveva proprio prendere questo tratto..! “Nostro figlio, come tutti gli ebrei
della sua generazione, è nato lontano da quegli anni terribili. Come potrebbe
dare per scontato quello che noi abbiamo passato? L’unica cosa che ci è rimasta
da tramandare sono vecchie foto sbiadite e un numero sul braccio. E bisogna
ammetterlo, Sharon non sta dando una buona immagine del nostro popolo, in
questo periodo. Cosa vuoi che pensi, di fronte a due verità così contrastanti?
Cosa dovrebbe pensare, di Javeh?”
Le spalle di Jeremiah sembrarono scendere di due
spanne.
Anja proseguì. “Ma, religione o no, lui ti ama,
marito, e vorrebbe essere ricambiato. E non credo che la Torah abbia da ridire,
su questo.”
Passò quasi mezz’ora, prima che Jeremiah tornasse in
salotto. In mano, aveva non una, ma almeno una dozzina di ricette. Griffin si
alzò in piedi, un sorriso di gratitudine sul volto.
Allungando le ricette, Jeremiah disse, con la sua
ormai usuale severità. “Due cose, figlio: le ricette si usano una alla
volta, o quel tuo amico nei guai ce lo lascio, e te con lui. Secondo, voglio
che tu e questo tuo amico veniate a farci visita. E parleremo più a fondo, di
questa tua vita da ‘eroe’.”
Griffin prese le ricette che gli erano porte, e non
disse niente. Non ce n’era bisogno. Gli occhi parlavano da soli.
Griffin si diresse verso la porta... “Shivek?”
La madre gli stava gentilmente indicando il retro
della casa. “Un po’ di discrezione, almeno, caro.”
Alla faccia della privacy! La stessa cabina
dell’elicottero era interamente nera. I piloti dovevano essere collegati a
telecamere esterne, per vedere dove stessero andando.
Terry aveva perso la cognizione del tempo. Forse un
minuto fa, forse un’ora, l’elicottero era atterrato, e quando si era aperto, si
trovavano in un hangar, insieme ad altri cinque identici elicotteri e diversi
velivoli da combattimento, su diversi ripiani –una portaerei. Per quello che il
giovane ne sapeva, doveva essere ferma, visto che non aveva percepito
movimento.
Erano stati portati ognuno in una cella –a parte il
lupo e il bozzolo, trasportati altrove su una lettiga scortata da due soldati.
E in cella erano a tuttora. Ad attendere...
Sopra la porta, si accese un monitor. Mostrava il
volto di un uomo, un individuo di mezza età, stempiato, i lunghi capelli
ondulati, e una barba e baffetti che, insieme al monocolo, gli davano un che di
aristocratico.
“Benvenuti in questa umile base mobile, miei giovani
soggetti: io sono il Barone Ludwig von Shtupf.”
“Chi?” fece Terry.
L’uomo sospirò. “A parte colui che vi ha catturati, il
vostro riconoscente esecutore. Ecco chi.”
“Riconoscente...?”
“Vedete, ragazzi, tu e quel mutante mi sarete molto
utili, per comprendere la natura metaumana. Sorprendentemente, i governi del
mondo si erano impegnati alquanto poco a capire ‘come’ funziona un membro della
vostra specie. Quando io, modestamente, avrò decifrato il mistero, la
razza umana potrà dormire sonni tranquilli, non più minacciata dalla vostra
presenza.”
Terry disse, “Con ‘non più minacciata’ vuoi dire che
avresti in mente una ‘soluzione finale’?”
Von Shtupf fece spallucce. “Sai come si dice, a mali
estremi. Ma visto che voi siete i miei primi soggetti, e vivi, cercherò di non
farvi soffrire quando verrà il vostro momento. Per ora, mi basterà il vostro
materiale genetico...Oh, e per favore, non cercare di forzare la cella: è tutta
foderata di adamantio, un metallo indistruttibile per tua conoscenza.”
In tutta risposta, Terry Sorenson gli mostrò
l’inequivocabile dito. “Per tua conoscenza, vecchio, quando ti avrò fra
le mani ti farò pagare per avere fatto del male a mio fratello.”
Von Shtupf spense il collegamento. “Giovane
irriverente,” borbottò, poi si fregò le mani, e si voltò.
Il lupo giaceva sul tavolo operatorio, ben fissato da
solide cinghie, il muso non esentato da quel trattamento. Von Shtupf accarezzò
il manto, soddisfatto. “Ahh, che cosa meravigliosa, il progresso –un corpo così
sano da potere analizzare senza dovere più passare per la vivisezione...Quasi
mi dispiace, di doverlo uccidere alla fine.” Si rivolse a uno dei tecnici in camice
bianco, che si tenevano a rispettosa distanza. “Numero S-12, vogliamo iniziare?
Oh, a proposito, che ne è del bozzolo?”
Il tecnico prese una siringa dal carrello degli
attrezzi, e iniziò a riempirla di un liquido ambrato. “Nessun cambiamento,
Barone...La cosa più curiosa è che nessuno strumento di scansione riesce a
penetrarlo.”
Altra fregata di mani. “Wunderbar. Se riesco a
penetrare anche questo mistero, potrò sviluppare uno scansore perfetto, a prova
di metaumano. Non potranno più...eh?”
Appena lo schermo si era spento, Terry aveva iniziato
ad esaminare la cella. La cella stessa era un cubicolo claustrofobico,
ermetico, assolutamente nudo, a parte la branda. Niente finestre. L’unica aria
veniva dal condotto di aerazione, e quello non era a misura d’uomo. La luce,
dai pannelli fissati alla parete. La serratura era sicuramente elettronica,
nascosta nella porta. Una telecamera garantiva la sorveglianza, ma Terry era
materialmente certo che se avesse finto di stare male, nessuno gli avrebbe dato
retta.
Poteva andare peggio.
Terry si concentrò, e in un lampo di energia, la sua
figura fu sostituita da quella di Equinox, l’Uomo Termodinamico.
Equinox puntò la mano alla porta. Se lui fosse stato
il Barone, avrebbe fatto in modo da non fare bastare l’aria, in caso di uso dei
poteri...Sorrise –chissà se il buon Barone aveva studiato bene la sua
fisiologia.
L’intero corpo di Equinox fu coperto dal plasma
ardente, mentre dalla mano scaturiva un getto criogeno! C’erano dei vantaggi,
ad avere vissuto con una coppia di scienziati per genitori: fra le tante cose
che si imparavano, era che per quanto saldi potessero essere i legami atomici e
molecolari, tale forza dipendeva non solo dalla configurazione spaziale, ma
anche dal movimento degli elettroni...
Di fatto, la stanza aveva esaurito l’ossigeno. Il
plasma bruciava di energie che non richiedevano il prezioso elemento. Lo
schermo televisivo e i pannelli luminosi erano fusi. In quell’inferno, in cui
Equinox era una figura troppo abbagliante per essere distinguibile, la porta
della cella era coperta da ghiaccio!
...Quindi, sarebbe stato sufficiente raggiungere
quella temperatura alla quale lo stato stesso della materia collassava per pura
assenza di movimento!
Nessun allarme suonava.
In compenso, venne una voce da un altoparlante fuori
dalla cella. “Signor Sorenson, non solo è un’inutile, ma una pessima
idea. La bomba nell’ufficio di suo fratello non è a tuttora stata
disattivata...”
Altro sforzo di volontà. Un peccato, non potere
parlare in quell’ambiente ormai privo di aria. Era molto tentato di rivelare la
sorpresina a quel fanfarone!
“Signor Sorenson..?”
Ancora un momento...SI’!
Schiacciata dal suo stesso peso, persa ogni coerenza,
la porta indistruttibile divenne un ammasso di sottili fiocchi!
Sullo schermo, von Shtupf vide i soldati PAX aprire il
fuoco su Equinox...Così come vide il loro plasma assorbito facilmente da quel
corpo ardente, che lasciava impronte di metallo fuso sul pavimento.
Poi, Equinox fu ricoperto parzialmente dal ghiaccio,
mentre emetteva un’ondata di calore sufficiente a vaporizzare gli avversari!
Il panico iniziò a farsi strada nei lineamenti
dell’uomo. “Non deve raggiungere la cella di quel mutante...” disse a se
stesso, poi suonò l’allarme generale, senza staccare gli occhi dallo schermo.
Si voltò solo quando udì un tremendo suono di qualcosa
che si spezza! Prima ancora di vederlo, sapeva di cosa si trattava...
“Mammina.”
Infatti, il lupo era libero –solo che non era più un
lupo, ma un’allucinante creatura generata dagli incubi –un licantropo,
una figura grande il doppio di un essere umano, il pelo ispido e un muso pieno
di zanne come pugnali, deformato da un odio formidabile!
Il braccio del mostro scattò in avanti, troppo veloce
per essere visto...Ma, un attimo prima che artigli capaci di lacerare l’acciaio
potessero colpire il Barone, la creatura fu colpita alla schiena da un lampo di
plasma!
La scena sembrò fermarsi. Sia il Barone che i tecnici
e i soldati fissavano il mostro, del tutto inattaccato da quel colpo, che si era
voltato a fissare la mosca che aveva osato tanto!
Sotto gli occhi inorriditi degli altri, l’animale fece
saettare il braccio, e la testa dell’uomo saltò via come se non fosse mai stata
attaccata alle spalle!
Il Barone ne approfittò per schiacciare un pulsante
sulla cintura. Una botola si aprì sotto i suoi piedi proprio mentre un altro
braccio cercava il suo bersaglio, scavando invece un buco nel pannello di
comunicazione.
Equinox raggiunse la cella dove era detenuto Chip. Era
un’altra struttura di adamantio...
“Era ora, mister,” disse dall’interno la voce aspra
dell’’Altro’.
“Che dirti? C’era traffico. Ora stai indietro!”
Ripetere il numero dello zero assoluto non sarebbe
stato facile; il primo era stato abbastanza oneroso, ma non poteva...
I suoi pensieri subirono una brusca interruzione
all’aprirsi spontaneo della porta!
Schizoid Man venne fuori, l’ammirazione in volto.
“Davvero, ragazzino: me lo devi insegnare, questo trucco.”
Ancora un po’, e Equinox balbettava. “Io? Credevo che tu...”
Solo allora, si accorsero della luce scintillante
proprio sopra di loro.
E della femminile figurina alata che la emetteva.
“Niente ringraziamenti,” disse la Faerie, le mani sui
fianchi, “l’ho fatto solo perché il mio principe me l’ha chiesto. E ora
raggiungiamolo, o vi lascio qui!”
Nella cabina del comandante, von Shtupf osservava le
figure dirigersi verso le scale, verso l’infermeria.
“Chiudete tutti gli accessi, ogni paratia. Guidateli
alla sezione Evac-2. E’ l’unica cosa da fare.”
I militari lo guardarono come fosse uscito di senno.
Von Shtupf insistette. “Sarà rapido e indolore...per
noi. Abbiamo già subito abbastanza danni così. Meglio liberarci di quei mostri
così, che non dovere arrivare all’autodistruzione. Procedete!”
La prima paratia si chiuse davanti ai metaumani, quasi
tranciando i piedi di Schizoid Man. Contemporaneamente, gas iniziò a
fuoriuscire da bocchette al soffitto.
“Non c’è tempo per divertirsi! Di là!” fece Equinox.
E, come previsto, il gruppo continuò a deviare di
corridoio in corridoio...
“Ehi, Schiz!” fece Equinox, ad un certo punto, “Credi
che Ultra ci troverà presto? Sei ancora in contatto?”
Un grugnito. “Cosa credi che sia, un faro? Non so
neppure dove siamo!”
Altro corridoio, altra paratia sbarrata, altro gas in
attesa.
“Il principe è vicino!” disse la Faerie. Infatti,
all’ennesima svolta quasi incocciarono nel suddetto...E furono definitivamente
in trappola!
La stanza in cui si ritrovarono era sufficiente a
contenere almeno una dozzina di persone. A parte una lampada e l’immancabile
neon, era nuda come le celle. Unica ‘decorazione’, tre file di maniglie, una
per ogni parete, tranne quella di fronte ai metaumani.
Schizoid Man guardò il licantropo, ora tornato al suo
stato di lupo. “Perché ho come l’impressione che non ci sia il tempo di
presentarci?”
La parete si aprì in due...e una valanga di acqua
si riversò nella Stanza di Evacuazione.
Von Shtupf si terse gli occhi con un fazzoletto,
sinceramente commosso. “Degli esemplari in così buona salute, che spreco. Che
almeno le registrazioni della loro attività ci possano essere di
aiuto...per...”
Quasi gli venne da strozzarsi. La sorpresa divenne
rabbia, ira...Poi, con una voce quasi femminile nella sua isteria, il Barone
urlò, “NON POSSONO FARMI QUESTO!” si diresse a una consolle, spostò
bruscamente un tecnico, e schiacciò un bottone. “Vedremo se questo li
convincerà a restare morti!”
Quando Equinox aveva supposto di trovarsi in una
portaerei, in un certo senso aveva ragione.
Solo che non poteva sapere che questa portaerei era
anche un gigantesco sommergibile!
L’apparecchio stava muovendosi quasi rasente al fondo
oceanico –una pressione sufficiente a stritolare ben più di un guscio di mera
carne e ossa.
L’unica fortuna dei quattro super-esseri, era di avere
fra loro uno che sapesse reagire alla velocità del pensiero, letteralmente. E
così, quando von Shtupf aveva guardato, aspettandosi di vedere quattro masse
morte, aveva visto quattro corpi vivi e vegeti, avvolti da una sfera di energia
psichica!
Uno sforzo che Schizoid Man stava rischiando di pagare
molto caro. Già del sangue usciva dalle narici, e la sua espressione era di
sofferta concentrazione.
“Perl’amordiDiononiniziarealeccarlo!” faceva Equinox
al lupo. Come fortuna voleva, la pressione interna della bolla la stava
spingendo verso la superficie, per quanto a un ritmo da lumaca.
Il lupo inclinò la testa di lato, e gli rispose...in
un inglese impeccabile, “E perché dovrei?”
La Faerie, appollaiata fra le orecchie triangolari,
fece la linguaccia a Equinox...La cui attenzione, e quella degli altri, fu
subito attratta
dai siluri. Due, lanciati dalla poppa della
nave!
Schizoid Man, ormai in ginocchio, disse con un filo di
voce, “Non...devono...esplodere...L’onda...d’urto...”
I siluri si avvicinavano.
Il lupo alzò gli occhi alla Faerie. “Yillyni?”
Lei abbassò tristemente il capo. “Mi dispiace, mio
Principe. Sono stanca, appena uscita dal bozzolo.”
Fu a quel punto, che la figura di Capitan Ultra si intromise
fra il quartetto e la morte! La visiera del supereroe brillò, e un raggio di
energia abbagliante come il sole investì in pieno gli ordigni!
Gli ordigni esplosero, ma la forza cinetica
dell’esplosione fu letteralmente trasportata via nella furia del Raggio Ultra,
verso la nave del PAX.
L’avveniristico sottomarino fu scosso come un
fuscello. Si potevano sentire fin da lì i suoi allarmi, l’equipaggio
decisamente troppo impegnato a pensare ad altro che fermare le loro prede!
Non senza una ultra-spinta, la bolla arrivò finalmente
alla superficie, dove si infranse, lasciando quattro eroi molto a mollo e molto
seccati.
Ultra emerse fra loro. “Tutto bene, gente? Scusate se
ci ho messo tanto, ma non è facile trovare l’ago in un pagliaio come questo.”
Un momento dopo, una piattaforma di ghiaccio risolse
il problema. “Lascia stare, Cap,” fece Equinox, “E’ anche colpa nostra. Ho
deciso di farci portare fin là e risolvere il problema una volta per tutte,
invece di aspettare di essere tutti insieme. Temo che sarei un pessimo capo.”
Ultra si inginocchiò accanto al semicosciente Chip, la
cui pallida –almeno, la metà sinistra- faccia era vigorosamente trattata dalla
lingua del lupo.
Chip aprì gli occhi, e parlò con la voce dell’’Altro’.
“Sì, davvero una idea del *$&! Spero per quel ‘Barone’ che sia morto, o la
prossima volta...”
Equinox lo interruppe, chiedendo a Ultra, “Piuttosto,
mio fratello..?”
Ultra annuì con un sorriso. “Ho distrutto la bomba
prima di cercarvi, come mi aveva chiesto Chip.” Poi, a Schizoid Man, “Oh, e ho
portato le ricette che...”
Ma il mutante agitò una mano, con un sorriso strano.
“Credimi, Cap: a Chip non serviranno, per un bel pezzo. Quando ho finto che
fosse lui a dirigere le danze, lo hanno soppresso proprio con l’Hypnocil, Con
una bella dose concentrata.”
Cap si batté una mano alla fronte, e guardò Equinox
severamente. “Hai pianificato di lasciarlo libero per...”
L’Uomo Termodinamico fece spallucce. “Ehi, uomo, l’ho
detto che sarei un pessimo capo. E poi, non mi sembra così pericoloso, adesso.
Magari, tutto quello che gli mancava era solo un cucciolo.” E stava indicando
col dito
Schizoid Man, che stava arruffando la pelliccia
fradicia della schiena del lupo. E sorrideva in modo tutt’altro che ostile!
Ultra sospirò. “Capisco. Mi sa che ne avremo, di cose
da approfondire. Anche sul nostro peloso amico –che dici, Terry, lo portiamo a
casa?”
Episodio3 - Verso la prima linea!
In una località sconosciuta...
Sono passate poche ore dallo scontro fra cinque
super-esseri e le forze della misteriosa organizzazione anti-mutante nota solo
come PAX –per quest’ultima, una debacle clamorosa, costata uomini, mezzi
e quasi un’intera base mobile!
Ma non era stato tanto il fallimento in sé, che
bruciava nell’animo del Capitano Thereza Claymore da Rosetta, mentre la
donna, da dietro i suoi rayban scrutava la terrorizzata squadra di tecnici in
camice bianco e galloni militari. Non c’era bisogno di vederle gli occhi: le
sue movenze e la voce compensavano ampiamente, e tutto in lei prometteva
sangue, sudore e lacrime.
Un monitor a parete dietro la donna mostrava le scene
della battaglia fra il metaumano Equinox e un gruppo di soldati in
uniforme/armatura che invano tentavano di abbatterlo con armi al plasma. L’Uomo
Termodinamico si limitava ad assorbire l’energia e spedirla al mittente.
“Quello che mi infastidisce davvero,
lorsignori, è stata la plateale assenza sul campo dei 50 Dreadnoughts MKII
che, almeno nelle intenzioni originali, dovevano proprio provvedere a
situazioni del genere.”
Seguì un lungo momento di imbarazzo misto a terrore.
In un modo o nell’altro, tutti i presenti avevano contribuito alla creazione
dei robot –o meglio, al potenziamento delle versioni precedenti, dotandole di
moduli intellettivi ancora più avanzati di quelli installati nelle Sentinelle.
E se ne erano rimasti nei loro alloggiamenti, sordi a
ogni ordine lanciato dalla sala-comando. E nessun apparente segno di
malfunzionamento o di sabotaggio era la causa.
Il monitor si
spense. Da Rosetta batté un frustino sul palmo della mano. “Quel che è successo
è successo, signori. Ma! Entro 24 ore voglio un rapporto dettagliato sul
perché di questo tecnofiasco: se è colpa degli omini verdi, o dei formiconi
giganti o dei gremlins o del verdone mangiasassi, non importa, accetterò la
spiegazione...Ma se si ripete, prima di cambiare staff vi passerò per le armi personalmente.”
Di tutt’altro umore, la ‘riunione’ che si stava
tenendo ad Harlem, New York City.
Una qualità che rendeva Capitan
Ultra una persona di cui fidarsi a
prima vista era il suo modo di fare, spontaneo, amichevole, coronato da un
volto che, nonostante la visiera a nascondere gli occhi, era impostato al
sorriso.
Per tale ragione, era fuori di dubbio che la grassa
risata che lo stava scuotendo fosse genuina, con tanto di lacrime e tremito
diffuso per tutto il corpo. “Ihihihiiiii, hohoho...hahahaanonèpossibile!” Chi
lo avesse sentito, senza vederlo piegato in due a rotolarsi come un epilettico
sul pavimento, avrebbe sostenuto che nella stanza ci fosse stato un cavallo
sotto tortura. “Vi prego, no...hohohohoho, eheheheeeh,”
Invece, nella stanza c’erano Terry Sorenson, ovvero
Equinox nella sua identità civile, Schizoid Man, un lupo dal pelo
d’argento fra le cui orecchie sedeva una faerie dalle ali di libellula,
e Steel, il fratellastro di Terry nonché locale criminale capobanda.
Si scambiavano occhiate a dir poco perplesse. Il lupo
fissava Ultra con la testa inclinata come un cagnolino. Steel fece ruotare
l’indice intorno alla tempia. “Fratellino, non ci vedo nulla di divertente in
quello che hai detto.”
Terry fece spallucce. “Lo dici a me? Quel bianco ci
voleva usare come cavie e poi ucciderci, e mi sembrava più che serio.”
A quelle parole, Cap si mise in ginocchio, ancora
scosso da occasionali tremiti. Si appoggiò alle spalle del lupo, fissandolo con
un sorriso inquietante. “Ma certo che era serio, hihi, chissà a quali terribili
prove ti avrebbe sottoposto, per un ‘servizio’ completo, eh stallone?”
Lestissimo, l’animale si ritirò con un guaito offeso,
le orecchie piatte e la coda fra le gambe. Ultra rovinò a terra, senza smettere
di sorridere. Finalmente, si mise in piedi, incapace di mantenere
un’espressione seria per oltre un secondo. “Barone Ludwig Von...Shtupf,
hehe. Ragazzi, mi avete reso un uomo felice. Se solo lo avessi saputo prima,
gli avrei risparmiato la base –se non altro perché deve già soffrire abbastanza
con un simile cognome, Shtupf, hihihi.”
Steel incrociò le braccia al petto, fissando
solennemente Terry da dietro i suoi occhiali neri. “Lo vedi, Terry? Lo diceva
anche a me, la mamma: impara le lingue, e capirai il mondo!”
Schizoid Man puntò un indice al petto dell’uomo dal
costume molto colorato. “Non puoi cavartela così, Cap ultraspiritoso. Adesso ce
lo dici, perché sarebbe tanto divertente, questo cognome!”
Ultra gli fece ‘no no’. “Te lo scordi...Ma se proprio
ci tieni, vallo a chiedere a un qualunque altro ebreo.”
Finalmente, tutti tornarono a sedersi intorno al
tavolo al centro della stanza privata di Steel. Ai metaumani si unì il lupo,
che con un atto di volontà assunse una forma ibrida, bipede.
“Cerchiamo di riprendere l’argomento per le redini,
gente,” disse Terry. “Ridicolo o no il nome del capo, questa gente fa sul
serio!”
Ultra annuì, finalmente lucido. “Hanno mezzi e
determinazione...ma non sono come quelli del Right o di altre precedenti
organizzazioni antimutanti, che non hanno esitato a uccidere civili per
raggiungere l’obiettivo. Chip?”
Schizoid lanciò un’occhiataccia a Ultra. “Chip è bello
che addormentato e inoffensivo, chiaro? Se proprio ci tieni, chiamami Dave!”
Ultra fece un cenno di scusa. Fedele al suo
nom-de-plume, Schizoid Man era un esempio da manuale di doppia personalità. La
personalità dominante, Chip Martin, era stata involontariamente sedata e
messa in un cantuccio dai paramilitari che li avevano rapiti. “Ad ogni modo,
confermo,” continuò ‘Dave’, o l’Altro’, come era sempre stato noto, “queste
pappemolli sono roba nuova sul mercato. Tanti gadgets ma inesperti.”
“Comunque sia,” disse Terry, guardando gli altri uno
ad uno, “non possiamo restare qui un giorno di più. La prossima volta, quei
pazzi potrebbero decidere di uccidere Steel per davvero, per arrivare a noi.
Anche questo laboratorio deve sparire.”
“Non ti disturbare troppo, testacalda,” disse Steel, i
gomiti puntati sul tavolo. “Meglio che sia l’intero palazzo, a sparire.
Ufficialmente, è sulla lista delle demolizioni, e non credevo certo che mi
durasse per sempre.”
“Mi dispiace, fratellone,” disse Terry, sinceramente
mesto.
Una scrollata di spalle. “Poteva andare peggio. In
fondo, il tuo amico visopallido mi ha salvato la buccia, ed è meglio di un
calcio nei denti. E poi, avevo già perso tutti i regolari, con quell’ultima
entrata. E’ andata bene che la polizia non sia stata coinvolta.”
“Gia..!” Dave sembrò confortato da quell’osservazione.
“Se fossero stati parte di un qualche ente governativo, avrebbero avuto persino
il diritto di farti mettere dentro come fiancheggiatore in attività mutanti di
stampo terroristico o roba del genere, Steel.”
“Magnifico!” fece il nero, con un non proprio vago
accenno di sarcasmo, levando le mani al cielo. “Così, se vengo attaccato di
nuovo non potrò nemmeno chiedere aiuto alla polizia, che sarebbe troppo lieta
di avere una scusa per dare un’occhiata in casa mia.”
Cap dribblò quella discussione, rivolgendosi al
giovane uomo-lupo. “Ehmm, e tu che ci dici? Non è che sappiamo molto di te...”
L’ospite annuì, e rispose in tono educato, in un
inglese accentato di qualche lingua nordica europea, “Io sono Hrimhari,
Principe del Popolo-Lupo, e lei è Yllyni, e veniamo da Asgard la
Magnifica...” e qui, chinò mestamente il capo. “Anche se temiamo che non sia
più così, ormai.
“Yllyni mi ha salvato da morte certa, quando le armate
del dio egizio Seth hanno invaso la nostra bella terra. Portavano la
distruzione totale, e persino i più potenti fra i nostri Dei nulla potettero.
Io guidai il mio popolo alla pugna, ma venimmo falciati come insetti impotenti.
Persino il Valhalla ci sarebbe stato negato, ché il mostro era diretto financo
alla conquista di Hel.”
Di tutti i presenti, solo Capitan Ultra sembrava stare
capendoci qualcosa. Gli altri erano troppo occupati a non fare tanto
d’occhi...Poi, Ultra disse a Hrimhari, “Principe...Io ho avuto l’onore di
combattere insieme a Thor contro un demone, e...” vide che alla menzione
dell’Asgardiano del Tuono, il giovane lupoide aveva drizzato le orecchie, gli
occhi accesi da una nuova luce “...E mi chiedevo, dato che Thor è un
membro dei Vendicatori, se potremmo cercare di contattarlo attraverso di loro.
Voglio dire, quello è più tosto di Superman, e...”
Ma Hrimhari scosse la testa. Sulla sua testa, la
Faerie fece altrettanto. “Se Thor o Padre Odino fossero vivi, non mancherebbero
di farcelo sapere. No, Asgard è caduta. Non sento neppure i richiami del mio
popolo...”
Il triste momento di silenzio che seguì fu spezzato
dallo stesso Hrimhari, che guardò gli altri con rispetto. “Ma sto comportandomi
senza gratitudine: senza il vostro aiuto, io e Yllyni saremmo morti. E non vi è
dubbio che i vostri nemici sono anche i nostri.
“Perciò, se vorrete accettare questo umile principe
senza terra fra le vostre file, combatterò con voi come farei per il mio
popolo. Vi devo la vita, e Hrimhari di Asgard non lo dimenticherà mai.”
Un rapido scambio di occhiate, poi Schizoid Man
allungò una mano a grattargli il collo! “Splendido! Per me...Youch!!” Una
scarica elettrica dalla faerie gliela fece ritratte di scatto.
“Un po’ di educazione con il mio principe, mortale!”
L’indignazione di Yllyni suonava comica, pronunciata con la sua vocina
squillante.
Terry sogghignò. “Lo volevi tanto, un cagnolino,
Dave?”
Il mutante, massaggiandosi la mano, disse, “Ne avevo
uno, che assomigliava moltissimo a Hrimhari. Si chiamava Lucky...” e non
aggiunse altro, ma la sua espressione divenne più ostile.
Fu lo stesso Hrimhari, a ricambiare la carezza del
mutante. “Non prendertela, Dave: Yllyni non è sgarbata, ma solo molto
protettiva. E anche se non sono un cane, sento che il tuo affetto è sincero, e
lo accetto volentieri.”
La Faerie fece uno sbuffo, accendendosi
d’indignazione. Terry disse, “Per me...Ma devo ammettere che è un mezzo
miracolo, vedere Dave così calmo senza l’ausilio di una tonnellata di Prozac.”
Poi, a Steel, “Ascolta, abbiamo tutti una proposta di lavoro per la Talon
Corporation, e forse riusciamo ad infilarci anche te, fratellone...Che ne
diresti di saltare sul treno? Non ci sarebbe opportunità mi...”
Steel scosse una mano, un sorriso ironico. “Un
gangster come me? Nahh, già sarà un casino per voi con quel matto mutante...E
poi, fratellino, non devo essere io, a rendere orgogliosa la mamma, ma tu.
E in quanto a te, Cap...” e qui il tono di Steel si fece minaccioso. “Se gli
succede qualcosa, a Terry, me la paghi, chiaro?”
Circa un’ora dopo, fatta una chiamata dall’ufficio di
Steel, una limousine di quelle degne di un Presidente degli USA sfrecciava
verso l’aeroporto JFK.
A bordo: Terry, Dave Martin, Capitan Ultra/Griffin
Gogol e Hrimhari nella sua forma di lupo vicino a Dave. Tutti indossavano le
tute bianche e verdi a molecole instabili della Talon, gallonato e con il
simbolo dell’aquila in picchiata ad ali spiegate appoggiata al globo
terracqueo. Hrimhari portava un elegante collare con gli stessi colori e
simbolo sulla medaglia. La Faerie, per conto suo, era invisibile.
Con il gruppo, stava Kristen Palmer, la
segretaria particolare dell’uomo che aveva permesso quel trasporto, e il futuro
lavoro del quartetto. La donna, una bionda da urlo che il doppiopetto e gli occhiali
a strettissima montatura sembravano rendere ancora più femminile, guardava il
lupo d’argento con un’espressione clinica non dissimile da quella di un medico
di fronte a un caso molto interessante. Se le dava fastidio vedere l’animale
seduto su un sedile coperto del più fine velluto, non lo dava a vedere, ma
muoveva una penna elettronica sul suo inseparabile notepad elettronico.
“Uhm, ecco, mi dispiace di non avere avvertito di
questa aggiunta...” tentò Griffin, che come i suoi compagni si sentiva passato
ai raggi X da quegli occhialetti. Kristen gli rispose con una breve occhiata
che lo mise a tacere. “Signor Gogol, sono sicura che il nostro comune Principale”
lo pronunciò come fosse un titolo regale “saprà apprezzare questa specifica
aggiunta di organico, soprattutto se il lupo saprà dare un contributo attivo
alle operazioni.”
Nessuno volle commentare su quell’osservazione. Gli
ospiti tornarono a concentrarsi sullo schermo TV, che mostrava un servizio
della CNN dall’Italia -Il gruppo di supereroi internazionale ONU, il Worldwatch,
aveva sgominato con successo un’organizzazione mafiosa dedita al traffico di
clandestini dall’Albania, anche se permanevano le tensioni fra i due paesi per
la questione degli immigrati illegali...
“Speriamo di non doverci ritrovare a gestire un simile
casino, nello Zilnawa” disse Terry. “Come potremmo prendercela con dei
poveracci che hanno la sola colpa di cercare un po’ di fortuna altrove?”
“Nu?” fece Griffin. “Il mio popolo ne sa
qualcosa, della ricerca di una terra...Anche se non sarebbe giusto farne una
scusa per trasformarsi da vittime in oppressori.”
“Per quanto mi riguarda,” fece Dave, grattando dietro
un orecchio di Hrimhari, “la miseria non è una scusa per l’accoglienza a go-go.
Se non ci sono le strutture per ospitare decentemente questa gente, sono solo
le mafie che ne approfittano. Ci sono clan che stanno cambiando nazionalità,
con queste ‘nuove leve’.”
“Si potrebbe cominciare con un po’ di deviazione di
risorse,” fece Terry, scaldandosi. “Invece di sprecare...”
“Signori,” disse Kristen. Lo fece senza alzare la
voce, ma fu ugualmente come avere schioccato un colpo di frusta. Le diedero
attenzione incondizionata. “Una volta in volo, avrete tutte le spiegazioni
possibili sulla situazione economico-sociale dello Zilnawa e del vostro
incarico. Nel frattempo, vi prego di calmarvi. E un’altra cosa: non importa se
il lupo si è ancora...liberato. Abbiamo a bordo le strutture adatte anche per
le sue necessità.”
Hrimhari fece un curioso brontolio.
La corsa proseguì su un minibus privato. Un tempo, si
sarebbe potuti entrare con la macchina, ma le nuove misure di sicurezza
imponevano non solo un rigoroso check-in, ma anche il cambio di veicolo,
veicolo che doveva essere guidato da personale militare. E non c’era bustarella
che tenesse!
Per questo, un sorpreso Terry chiese a Kristen, “E come
diavolo ha fatto, a farci passare?? Di noi, solo Griffin ha dei documenti.”
“E li avete anche voi,” rispose Kristen, porgendo a
tutti loro dei passaporti e tessere elettroniche nuove di zecca. “Da oggi,
siete cittadini dello Zilnawa a tutti gli effetti, nonché membri delle locali Forze
Speciali di Difesa Nazionale. Il lupo riceverà il microchip identificativo
ed ogni altra certificazione una volta giunti a destinazione.”
L’autobus si fermò davanti a un 747 modificato
scintillante, con la bandiera dello Zilnawa sulla timoniera –una ‘V’ nera in
campo rosso, e tre stelle intorno alla lettera. E sul dorso dell’aereo stava la
modifica: una specie di Space Shuttle, ma in scala più ridotta.
Scendendo, Dave fece un fischio. “Un Air Force One,
con tanto di scialuppa...Si tratta bene, il capo!” Seguirono tutti Kristen
sulla scaletta.
Giunti a bordo –com’era prevedibile, gli interni erano
una replica di quelli dell’aereo del Presidente USA- la donna indicò la
piattaforma che portava al soffitto. “Noi andremo lì: raggiungeremo il Quartier
Generale a bordo della navetta.”
Ce ne sarebbero state, di domande, ma tutti si
concentrarono invece sulla figura in avvicinamento del
“Console Raawa!” disse Terry, già stendendo la
mano, che il giovane politico nero strinse calorosamente. “A nome del mio
popolo, signor Sorenson...signori tutti, grazie per essere qui. Vi chiedo
scusa, ma ora ho da fare...Sono sicuro che Alex sarà un anfitrione migliore di
me.”
Raawa si allontanò verso un terminale elettronico,
dove un operatore stava indicando qualcosa su una mappa. Il Console sembrava
preoccupato da ciò che vedeva.
Il gruppo salì sulla piattaforma.
Nessuno fiatò dal momento del decollo, fino a quando,
una volta che il 747 ebbe raggiunto l’oceano Atlantico, il Capitano annunciò
dall’altoparlante, “Attenzione a tutto l’equipaggio e i passeggeri: tra cinque
minuti, avverrà il distacco dell’X-101. Allacciare le cinture, prego.”
I passeggeri si affrettarono ad obbedire. Hrimhari fu
fissato da Kristen a una parete con una cinghia speciale. “La nostra base si
trova in mezzo all’oceano?” chiese Griffin.
Kristen gli rivolse un’occhiata del tipo
‘basta-domande’, e Griffin obbedì.
Cinque minuti dopo, il distacco avvenne senza
scossoni, a mezzo di un repulsore magnetico. La navetta si diresse in alto,
verso un fitto banco di nuvole. I passeggeri si scambiarono occhiate
incuriosite, ma ancora nessuno commentò...
Fino a quando non raggiunsero la base.
“Per la miseria!” fece Terry. Dave e Griffin dovettero
solo annuire. Persino Hrimhari e Yllyni, che conoscevano la gloria delle guglie
di Asgard, rimasero ammutoliti.
“Signori,”
disse Kristen, con allucinante distacco, “vi presento lo StarGlider 1000,
l’Air Force One dello Zilnawa.
L’apparecchio era una fortezza volante, nera, a dir
poco colossale, di dimensioni da fare del B-52 un nanerottolo, dotato di
quattro propulsori a razzo sulla fusoliera, e di ali a geometria variabile.
Addirittura, la prua stessa dell’apparecchio aveva le forme di un apparecchio
autonomo.
“Fa anche il caffè?” chiese Dave.
La navetta si diresse verso una piattaforma scorrevole
alla coda dell’aereo, e fu inghiottita come Giona dalla balena.
Scendendo dalla navetta, in un hangar le cui pareti
erano tappezzate di mini-caccia individuali dalle forme innovative, la donna
proseguì nella spiegazione. “E’ l’unico esemplare esistente, funge da trasporto
presidenziale e QG mobile della FSDN. Può raggiungere Mach 8 e quota
sub-orbitale. La propulsione è nucleare, i sistemi di mantenimento ad energia
solare, ed è dotato di quanto basta per la produzione e il riciclaggio di cibo
e acqua per dodici mesi.”
All’interno, l’attività era intensa, ma ordinata,
ognuno al proprio posto e nessuno apparentemente curioso sui nuovi arrivati. Il
gruppo si accomodò all’interno di una specie di bolla trasparente su rotaia,
che, una volta chiusasi il portello, si avviò con un lieve ronzio.
“Deve essere stato utile, un simile bestio, nella Guerra
dei Mondi,” disse Dave, Hrimhari seduto al suo fianco.
Kristen non staccò lo sguardo dal notepad. “In realtà,
l’SG1000 non è stato utilizzato nel conflitto. Era in attesa di omologazione,
al momento dell’invasione. Solo con la fine della guerra, le pratiche
burocratiche sono state accelerate.”
“Regolare,” fece Terry, mentre il veloce ‘uovo’
raggiungeva la sua destinazione.
Il gruppo scese. Kristen disse, indicando con la testa
la porta davanti a loro, “Lui vi aspetta. Raggiungeremo la nostra
destinazione in 6 ore e 30 minuti.” E si allontanò verso un’altra porta.
La porta si aprì, e il quartetto si trovò di fronte a
un salotto degno della Corte di Re Sole, broccato di colori caldi, tendaggi e
arazzi armoniosamente disposti, e velluto dappertutto. Il soffitto, per contro,
aveva un modernissimo lampadario fatto di quarzi di varie lunghezze saldati fra
loro, con una lampada all’interno che sembrava una fiamma.
Alexander Thran,
nel suo gessato disegnatogli addosso, sedeva dietro a una scrivania in stile
antico ma corredata di ogni strumento da ufficio dell’ultimissima generazione.
Il volto dai tratti orientali del CEO della Talon Corporation si distese
in un sorriso. “Benvenuti!” Si alzò in piedi, e tese la mano, che a turno i
suoi ospiti si affrettarono a stringere. “Sono così felice che abbiate deciso
di accettare questa offerta di lavoro! Sedetevi, prego. Useremo questo viaggio
per discutere ogni clausola vorrete apporre al contratto.”
I quattro si accomodarono su un divano. Di fronte, avevano
un tavolino con un mini-buffet principesco. Ai piedi del tavolino, c’era una ciotola
con il meglio che un cuoco potesse offrire a un lupo.
“Dunque,” fece Thran, contemplando l’animale, mentre
questi si metteva a mangiare dopo una annusata di controllo. “Non mi presentate
questa stupenda creatura? C’è qualcosa che dovrei imparare su di lui, signor
Gogol...A proposito, al telefono mi ha detto di essere stato designato come
teamleader e rappresentante, giusto?”
Griffin annuì. Per lui, non c’era rappresentante di
corporazione che non fosse un serpente, nel cuore –quando un cuore c’era.
Tuttavia, la presenza di Thran era...imponente. Quello non era il tipo da
pugnalarti alle spalle, ma un toro che se facevi incavolare, ti incornava e poi
ti schiacciava fino a ridurti a una pappetta! “Sì, giusto. E il nostro nuovo
compagno è, be’...E’ molto più di quello che sembra appena avrà finito di
strozzarsi, ecco.”
Al sentire il suo nome, il lupo deglutì l’ultimo
boccone, si leccò i baffi, e disse, “Domando scusa per le mie maniere, lord
Thran...Il mio nome è Hrimhari.” Non disse il suo titolo, e nessuno osò
aggiungerlo.
Thran spalancò gli occhi. “Un lupo che parla
l’inglese! Una meraviglia, in quest’era delle Meraviglie...Ad ogni modo, Mr.
Gogol, sono sicuro che la sua scelta di includerlo nel gruppo sia più che
giustificata...Ah, stiamo partendo.”
Griffin disse, indicando la porta con un pollice.
“Infatti, la sua, ah, segretaria, ha detto che provvederà a...”
L’aereo accelerava. “Kristen? E’ proprio vero: dietro
un grande uomo c’è una grande donna, ma credo che lei sia contemporaneamente
tutt’e due. Non so come vivrei senza di lei...Ma dovevamo parlare delle
clausole, giusto?”
Griffin stava andando nel pallone. Fu Terry a salvarlo
dal trance. “Kristen ci ha detto che siamo stati ‘assunti’ in questa
FSDN...Ora, non che non ci piaccia un lavoro fisso, ma non sarebbe stato il
caso di chiedercelo, almeno? Non sappiamo neanche in cosa
consista questo lavoro! E perché noi?”
Alexander non perse un atomo di compostezza. Si mise
seduto su un divano di fronte al loro, un bastone dal pomolo d’argento fra le
gambe. “E’ molto semplice: lo Zilnawa è la più recente delle neonate
democrazie, nata perfino dopo la crisi Bosniaca in Europa. Non occupa una posizione
strategica speciale, ma si trova nella zona più fertile e ricca di minerali di
tutto il Sud Africa.
“I bianchi che un tempo governavano il Sud Africa ora
sperano di reinstaurarsi nello Zilnawa. Se riuscissero, potrebbero riportare
l’intera area in uno stato di caos, dal quale loro trarrebbero il massimo
profitto, a spese della libertà e del mercato mondiale.
“Le FSDN esistono per prevenire problemi come questo:
devono contemporaneamente proteggere lo Zilnawa e rimuovere le ‘minacce speciali’
che solo un gruppo di paranormali può gestire...Ammetto, in tale senso, di
avere scelto voi proprio per due ragione: primo, siete pressoché sconosciuti, a
parte Capitan Ultra, del quale i media possono al massimo trasmettere
l’immagine di una ‘recluta’ nel mondo dei super-esseri, ma una recluta dalle
buone intenzioni. E nessun media potrà ricamare su di voi più di tanto.
Secondo, la vostra eterogenicità catturerà le simpatie dei media e quindi del
pubblico. Altre domande?”
Griffin disse, “La nostra libertà di azione. Cosa
dovremo e non potremo fare? Perfino i Vendicatori sono stati costretti
a...”
Thran fece un cenno secco con la mano. “Tranne lo
stupro e il saccheggio, avrete totale libertà di azione. Voi sarete i Campioni,
i campioni di questo Stato e della gente comune, dell’uomo della strada. Avete
la mentalità giusta e l’entusiasmo: se avessi voluto dei mercenari, avremmo
contattato gli Eroi a Pagamento o la Symkaria. Tuttavia, quando
lo Zilnawa dovesse essere impegnato in un’azione militare, voi dovrete scattare
al comando del Presidente o di chiunque lo rappresenti legalmente. E tutte le
volte che decideste di intraprendere delle ‘crociate’ personali, ricordate che
in tali frangenti rappresentate solo voi stessi. Quanto alla paga: 1 milione di
Euro all’anno a testa, e tutto spesato per quanto concerne iniziative ed
operazioni governative.” Tre fischi all’unisono salutarono l’ultimo annuncio.
“In...in tutto qu-questo,” balbettò Griffin, che
improvvisamente si vide proiettato alla fascia-weekend-ai-Caraibi, “La, ah,
Talon, che ruolo ha?”
Thran si fece di colpo serio, l’uomo di affari. “Lo
Zilnawa non sarebbe nato senza la Talon, e questo è un fatto: anzi, le tensioni
tribali minacciano ancora la popolazione dentro e fuori i confini. Ci vorrà
tempo, per ottenere un consolidamento del regime democratico...Ma se anche lo
Zilnawa è uno stato ‘privato’, non ho intenzione di interferire con la
sua politica. Lo Zilnawa mi è più utile come appoggio, che come marionetta.”
Dave. “Le FSDN sono una tua creatura?”
“Una forza privata, sì. Tuttavia, si tratta di forze
registrate presso l’ONU e approvate dal Consiglio di Sicurezza. Un
uso...improprio ci costerebbe l’appoggio della comunità internazionale; ecco
perché la necessità della vostra incondizionata obbedienza nei casi
summenzionati.”
Thran si fregò le mani, di colpo nuovamente l’ospite
gioviale. “Altre domande? Bene, in caso di dubbio, vi presenterò il contratto
da firmare a fine viaggio. Intanto, sarà meglio che incontriate le ultime due
aggiunte al vostro gruppo.”
??
Ma Thran si stava già dirigendo verso la porta.
“Naturalmente, l’idea delle FSDN precede la vostra
scelta.”
L’uovo di cristallo stava percorrendo un binario a un
livello diverso.
Thran proseguì. “Si era pensato, inizialmente, a una
struttura più...militare, con membri specificamente addestrati ed armati. Ho
dovuto fare molte pressioni sul CdA, per rendere la struttura un po’
più...flessibile.”
L’uovo si fermò, e scesero. Ad accoglierli, trovarono
un uomo...quasi un ragazzo, ad essere onesti, con indosso un’uniforme bianca e
verde. I galloni, come spiegò brevemente Thran, identificavano l’uomo come un
Tecnico.
“Signore,” disse il tecnico con un inchino, “siamo
onorati di averla a bordo. Il Professor Giapeto si scusa per non averla
ricevuta personalmente, ma deve supervisionare una batteria di esperimenti.
Sarò io il vostro accompagnatore.”
“Un italiano?” chiese distrattamente Griffin, mentre
si avviavano. Il tecnico indicò loro delle piastre su cui fermarsi, e si
assicurò che il lupo sedesse sulla sua. Poi, le piastre si mossero.
“Sì,” rispose Thran. “Un paese davvero strano,
l’Italia: anche adesso, può produrre degli autentici geni, per poi lasciarli o
marcire o prede di imprenditori senza scrupoli come me.”
Qualcuno nel gruppo tossicchiò discretamente. C’erano
rumori di corridoio, voci da tabloid, che la Talon avesse raggiunto la
posizione di stella grazie al saccheggio di risorse appartenute alla Roxxon
e al Maggia...
Poi, i pensieri furono messi da parte. Erano arrivati all’hangar
centrale, una specie di alveare dove uomini e droni lavoravano febbrilmente
come formiche intorno al gigante sdraiato sulla schiena...
E che gigante! Un titano d’acciaio di 30 metri,
un mostro così finemente elaborato da sembrare vivo. Massiccio, elegante con le
sue due piastre scarlatte pettorali simili ad ali di drago spalancate, e le
affilate pinne degli avambracci terminanti in propulsori. La testa era dotata
di un enorme paio di corna dorate laterali ad ‘L’, la sommità del cranio aperta
in due placche che ne circondavano la cavità.
Thran fremeva di orgoglio. “Mazinkaiser. Il
culmine della tecnologia terrestre in fatto di super-robot. Un arsenale mobile
pilotabile da un uomo solo.”
“Gesù,” fece Terry. “Con quello, avreste potuto
demolire i Marziani in un batter d’occhio. Scommetto che si prende Red Ronin
e ne fa stuzzicadenti.”
Thran sospirò. “Ahimè, i Marziani sono arrivati prima
che Mazinkaiser fosse dichiarato operativo...Ma, almeno, sarà un ottimo
supporto per la pace dello Zilnawa.” Un suono di passi alle loro spalle, e il
gruppo si voltò. “Ah, ecco il suo pilota e vostro teammate: Robert Takiguchi.”
Robert era un ragazzo, praticamente appena arrivato ai
18 anni, un giapponese dai tratti delicati e i capelli neri ribelli. Indossava
una tuta imbottita che riproduceva in modo stilizzato le sembianze del
Mazinger. In un braccio, teneva un casco. Robert fece un inchino. “Sono onorato
di incontrarvi,” disse in un inglese perfetto.
Accanto al ragazzo, stava una figura umana che avrebbe
potuto essere sia uomo che donna, sotto il costume bianco nel perfetto stile
del ninja. Di lui/lei si vedevano solo gli occhi e le sopracciglia, e si poteva
solo intuire che fosse un orientale. Anche la figura si esibì in un breve
inchino, ma non disse nulla.
“Il Ninja Bianco,” disse Thran. “Specialista
dei Servizi Segreti. Insieme, tutti voi rappresentante i tre rami delle FSDN.
Vi affido al Dottor Stone, io ho da terminare alcuni affari.”
Allontanatosi Thran, il gruppo riprese il tour. Terry
chiese a Stone, “Chi ha progettato Mazinkaiser? Non sembra neanche un prodotto
terrestre...”
Stone annuì. “Oh, lo è, anche se per la sua concezione
abbiamo usato quanto rimase degli Shogun Warriors, dopo che furono
distrutti.”
“Mi pare di ricordarli,” fece Griffin. “Non erano anche
loro tre super robot, che se la fecero contro un certo...Dottor Demonicus?”
Stone disse, “Proprio loro: Raydeen, Danguard A e
Combattler V...Purtroppo, la storia ha provato che, presi individualmente,
potevano essere un facile bersaglio. Fu sufficiente seppellirli sotto la
roccia, per distruggerli. Mazinkaiser, invece, è un campione perfino in questa
categoria: la lega in cui è realizzato è seconda solo all’adamantio per
resistenza. Ed ha molte più armi a disposizione. Inoltre, con questa base
mobile di appoggio ed alloggiamento, nessun attacco a sorpresa può
raggiungerlo, e può essere riparato in un batter d’occhio.”
Dave indicò Robert con un pollice. “Yea, e il moccioso
qui riuscirebbe a pilotarlo? Ha più l’aspetto di intendersi di Nintendo che
di...”
Stone redarguì il mutante con un’occhiata di
disapprovazione. “Takiguchi ha molta più esperienza ed elasticità mentale di
quanto lei possa immaginare: durante l’affare Godzilla, è stato l’unico
a tentare di avvicinare il mostro per comunicare, invece di uccidere. E’
arrivato a pilotare il Red Ronin, per tale scopo. Senza contare che sono
i suoi tracciati mentali, ad essere inseriti nel Mazinger; nessun altro
potrebbe pilotarlo.”
Griffin avrebbe voluto mettersi le mani nei capelli.
Decisamente, avrebbe dovuto fare un discorsetto a Dave..!
“Prego, proseguiamo,” disse Stone, rimettendosi la sua
maschera di cordialità.
Nella maggior parte del tempo del viaggio, fu un
autentico sovraccarico di informazioni! Visitarono tutto: i laboratori dove gli
esperimenti venivano fatti in RV con una precisione superiore a quella usata
con cavie e oggetti reali; il Centro Informazioni, un ‘orecchio’ che avrebbe fatto
molto comodo alla NSA americana. E poi, il Centro Elaborazione Dati, il vero
cuore informatico dell’SG1000. L’osservatorio spaziale, un occhio collegato a
tutti i centri di ricerca in Rete sulla Terra. Il ‘giardino’, in realtà una
fila di serbatoi idroponici, alcuni dei quali letteralmente fabbricavano
la carne con processi di clonazione, rimuovendo così la necessità di
allevamenti. Il Centro Armamenti, che fra le sue disponibilità comprendeva
droni umanoidi da combattimento...
Quando, finalmente, furono introdotti alla loro
residenza –una vasto monolocale che in un solo volume comprendeva tutto quello
che avrebbe avuto un appartamento a più stanze- avevano più calli che piedi, e
la testa era ridotta a un calderone ribollente. Ninja e Takiguchi esclusi, che
invece squadravano i loro compagni con aria di compatimento.
Dave si buttò su un letto che lo avvolse come una benedizione,
ma riuscì a dire, “Non ci godere troppo, moccioso. Scommetto che la tua prima
volta non è stata diversa.” Hrimhari si sdraiò pesantemente al suo fianco.
Griffin, dal suo giaciglio, disse, “un peccato, non
avere potuto incontrare il Prof. Giapeto. Che tipo è, Bob?”
“Un tipo tutto chiesa, te lo dico io,” fece Terry,
sprofondato a faccia in giù nel cuscino. Sembrava di guardar parlare un
cadavere. “Dio del suo Olimpo tecnocratico, inavvicinabile, burbero e con 60
anni per gamba...Be’, com’è che siete tutti ammutoliti? E’ arrivato il babau?”
“Desideravo solo potervi incontrare in privato, senza
dovervi distrarre dal vostro primo giro qui,” rispose la voce maschile dalla
soglia.
I quattro Campioni esausti saltarono sull’attenti con
inaspettata energia.
Simone Giapeto
venne avanti, le mani giunte dietro la schiena e un sorriso amichevole sulla
faccia. Era un pezzo d’uomo che, senza l’uniforme e i galloni, sarebbe stato
meglio dietro il bancone di un bar del vecchio West che dietro un computer. Il
volto era mediterraneo, pronunciato, abbronzato con due ampi occhi neri.
“Comodi, signori. Anche se Stone vi avrà certamente detto che qui a bordo io
sono la massima autorità, non è una ragione per inutili salamelecchi. Siete
giustamente stanchi, e vi ruberò poco tempo. Il tempo necessario per dettagliarvi
della prima missione che vi attende.”
Episodio 4 - Prima linea!
T: ora. Una giungla africana, 30 Km a nordest dalla
capitale dello Zilnawa.
Si muovevano in silenzio, veloci, su un veicolo a repulsione
di nuova concezione –un gentile dono degli ‘sponsor’. Il manto erboso della
giungla scorreva sotto di loro, innocuo. Poche manovre erano sufficienti per
evitare gli alberi e le rocce più alte.
La squadra a bordo, di sette elementi, era tranquilla.
Fino a quel momento, le nuove tecnologie stealth avevano protetto il veicolo
dalle intrusioni dei satelliti americani, europei e russi.
Il commando alla guida si affidava interamente all’HUD
direttamente collegato al computer di bordo, senza dovere spostare lo sguardo
dal panorama. “Nessun segno di detenzione. Fase B fra sessanta secondi.”
Il veicolo si fermò come previsto un minuto dopo, in
un’area dalla vegetazione così fitta da potersi perdere in un metro quadro di
spazio. La squadra scese; avrebbero potuto essere robot, per la sincronia con
cui si muovevano, asessuati nelle loro uniformi integrali, dalle proprietà
camaleontiche che le rendevano quasi perfettamente invisibili. Il loro
equipaggiamento era racchiuso in robusti zaini alla schiena.
Il teamleader, sceso per ultimo, controllò il
cronometro. Perfetto! Erano addirittura in anticipo sulla tabella.
Come ombre, i membri della Squadra Sincronizzata
si mossero.
Poco dopo, furono in vista del loro obiettivo.
Il ponte era una delle nuove meraviglie
dell’ingegneria moderna, una struttura sospesa sulla giungla, acciaio e
plastivetro, in cui i veicoli potevano muoversi senza disturbare il mondo
sottostante.
La squadra sincronizzata si divise in due coppie,
ognuna per un pilastro, il settimo di copertura.
Un attimo prima di arrivare a portata di campo degli
scansori, unità di induzione di immagine ‘trasformarono’ i Sincronizzati in
neri in mimetica, con mitra a tracolla e zainetti laceri.
Poche cariche ben piazzate, e una nuova crisi
internazionale sarebbe esplosa più in fretta che a dire ‘tombola’. Nelle menti
e nei cuori della Squadra non c’era altro –persino la ricompensa che li
attendeva era ben poca cosa, di fronte alla prospettiva di riuscire nel lavoro
assegnato. Riuscire perfettamente, come il loro addestramento richiedeva, e
come le apparecchiature di cui disponevano concedevano.
Un ‘click’ metallico annunciò il piazzamento della
carica. I ‘guerriglieri’ si guardarono, annuirono e corsero via. Tra poco,
sarebbero stati molto ricchi.
T: -60 minuti e 27 secondi, sui cieli del Sudafrica
Lo StarGlider-1000 era letteralmente l’ultimo
ritrovato in fatto di basi mobili aeree. Dove, indubbiamente, la famosa elifortezza
dello SHIELD era una struttura era una città mobile, ma goffa, lenta, l’SG-1000
era un mezzo veloce, e miracolo di compattezza.
Doveva essere il meglio, in quanto non solo Air Force
One dello Zilnawa, ma anche quartier generale mobile delle Forze
Speciali di Difesa Nazionale, la prima organizzazione ‘a tutto campo’ di questa
neonata democrazia.
Un’organizzazione che trovava il suo fulcro nel team
paranormale dei Campioni.
Simone Giapeto
venne avanti, le mani giunte dietro la schiena e un sorriso amichevole sulla
faccia. Era un pezzo d’uomo che, senza l’uniforme e i galloni, sarebbe stato
meglio dietro il bancone di un bar del vecchio West che dietro un computer. Il
volto era mediterraneo, pronunciato, abbronzato con due ampi occhi neri.
“Comodi, signori. Anche se Stone vi avrà certamente detto che qui a bordo io
sono la massima autorità, non è una ragione per inutili salamelecchi. Siete
giustamente stanchi, e vi ruberò poco tempo. Il tempo necessario per dettagliarvi
della prima missione che vi attende.” Ignorò i salaci borbottii dai suoi
‘ospiti’, e si avvicinò al tavolo centrale. Attivò una specie di scatolina al
centro, e sulla superficie di plastica apparve una tastiera da computer!
“Immagino che
vi aspettaste un briefing in qualche bel salone dedicato,” disse Giapeto,
digitando sulla ‘tastiera’. “Ma, poiché il resto del personale è già stato
informato...Ecco. Osservate.”
L’intera superficie della tavola, tastiera esclusa, si
animò e divenne una mappa tridimensionale a colori reali dell’area che l’SG
stava sorvolando. La città/stato di Zilnawa faceva la sua bella figura
all’interno di una immensa depressione naturale che arrivava a toccare la più
vicina Pretoria.
“Lo Zilnawa è nato al centro del Vredefort, il
più ampio cratere da impatto conosciuto sulla Terra. Sulla scia di quella
distruzione, è rimasta una impressionante quantità di preziose risorse
minerarie, fra qui abbondante iridio e nuove leghe metalliche naturali –leghe
che fra parentesi sono state applicate nella realizzazione del Mazinkaiser.
“Fortunatamente, tali giacimenti sono sempre stati
sottovalutati dai vari governi sudafricani. Oro, uranio e altre risorse erano
–e sono- già disponibili a costi più accessibili.
“Come saprete, la Talon Corporation ha creato
la propria fortuna assorbendo le tecnologie avanzate di aziende fallite per
eccesso di pionierismo in un mercato sordo al progresso senza profitto
immediato. Fusione nucleare, antimateria, energia solare, propulsione a
idrogeno...La gente che ha lavorato su questi sogni e che ha perso contro la realpolitik
ha accettato con gioia di saltare sul treno della Talon. Le risorse naturali
del Vredefort e investimenti oculati hanno fatto il resto. A tutt’oggi, lo
Zilnawa è la Latveria del Sud Africa.
“Naturalmente, un simile sviluppo è stato possibile solo
perché i nostri ‘vicini’ e ‘alleati’ hanno lasciato che noi scalassimo la vetta
per primi.”
“E adesso che le nuove risorse sono disponibili,”
disse Schizoid Man, la bocca piegata in un sorriso nel lato nero del
volto, “è giunto il momento di reclamare tutta la torta. Senza fare troppo
rumore, naturalmente.”
Giapeto annuì. “Non tutti. Abbiamo un gioco di
alleanze che vi illustrerò meglio in seguito. Comunque, è vero che le borse di
tutto il mondo sono impazzite, nella nuova corsa all’oro. La Talon è un consorzio,
e stanno cercando di strapparne i rami...Ma è questo, il nostro vero problema.”
Giapeto puntò un dito sulla mappa. Sensibili campi elettromagnetici
interpretarono il comando, trasformando la rappresentazione in una visione
ravvicinata dell’area fra Pretoria e lo Zilnawa. Puntini rossi brillavano in
mezzo al verde della giungla.
“Basi militari. Pretoria, ufficialmente, è preoccupata
dalle montanti ondate di disordini nel Sudafrica fin dalla fine dell’Apartheid,
e le fazioni di guerriglia filoislamica sono solo la ciliegina sulla torta dei
pretesti. Poiché lo Zilnawa non ha mai espresso una chiara posizione nel quadro
politico africano, Pretoria intende tutelare la propria sicurezza. La comunità
internazionale storce il naso, ma le pressanti questioni mediorientali
Israele/Palestina costringono a guardare altrove, per ora.”
Il leader del gruppo, Capitan Ultra, digrignò i
denti. Lui stesso era ebreo, e quell’assurdo conflitto era una ferita nella sua
anima. Aveva potere sufficiente a volare fin nel campo di battaglia, afferrare
per la collottola Sharon e i leader terroristici e metterli in galera...e non
sarebbe servito a niente, se i popoli stessi non avessero prima trovato
il coraggio di cercare la pace, rovesciare i loro incapaci ‘leader’...
Giapeto stava parlando, e Ultra si scosse. “Chiedo
scusa?”
“Stavo dicendo,” disse Giapeto, “che l’attività nelle
basi, in questi giorni, ha subito un incremento. Stanno preparandosi a
muoversi.
“Non oseranno attaccare direttamente la città, ma
useranno guerriglieri e terroristi come scusa per arrivare agli impianti
minerari, fabbricare prove, screditare in un colpo solo lo Zilnawa e la Talon
che ne ha appoggiato la nascita.”
“Stiamo per entrare in guerra, insomma,” disse Terry
Sorenson.
Giapeto non perse una virgola della propria formalità.
“Non ufficialmente. Se a Pretoria sono furbi, ordineranno delle manovre di
commandos, una ‘black op’. Senza prove di ‘coinvolgimento’ dello Zilnawa con i
terroristi, non possono sparare neppure un colpo a salve. Combatteremo astuzia
per astuzia. Se anche usassero dei metaumani, con voi siamo coperti.”
“Limiti?” chiese Ultra.
“Nessuno, finquando vi scontrerete all’interno dei
confini Zilnawani. In caso di coinvolgimento di civili, occupatevi prima di
questi ultimi senza indugio.”
Uno dei Campioni emise un brontolio, e tutti si
voltarono a guardarlo con curiosità –era Hrimhari, il principe-lupo di
Asgard. Era uno splendido esemplare, nel pieno della forma e dal manto
argenteo. Stava sdraiato per terra, regalmente, le zampe anteriori incrociate.
Parlò con una voce profonda e ricca del suo accento nordeuropeo. “Tre dei
mortali di Midgard qui presenti mi hanno salvato da fine certa, e combatterò al
loro fianco come fossero membri del mio branco. Tuttavia, non finirò mai di
sorprendermi di fronte alle energie che la vostra gente sa profondere per
l’accumulo di ricchezze materiali. Il ‘progresso’ dell’uomo non sta che
avvelenando la terra da cui trae sostentamento.”
Giapeto sorrise, per nulla a disagio di discutere di
simili argomenti con una creatura ritenuta dai più ‘inferiore’. “Più che una
democrazia, lo Zilnawa è un esperimento, Hrimhari.
“Noi possiamo dimostrare che le nuove tecnologie sono
a portata di mano, e a costi rapidamente riammortizzabili. Mentre parliamo,
stanno preparando il lancio dell’ultimo componente del nuovo satellite a
trasmissione energetica. L’energia solare sarà convogliata in un laser e trasmessa
ai ricettori a terra; questo, da solo, proverà che il carbone e il petrolio
sono obsoleti, e da tempo.
“Se lo Zilnawa cadesse nelle mani sbagliate, la Terra
perderebbe la sua ultima speranza di frenare la distruzione dell’ecosistema. I
paesi del terzo mondo vogliono e hanno diritto allo sviluppo, ma non si può
permettere che passino per gli stessi stadi delle nazioni occidentali, o
l’atmosfera sarà avvelenata senza scampo e la desertificazione diventerà
inarrestabile. Fra undici mesi, quando inizierà il nuovo summit sullo sviluppo
mondiale sponsorizzato dall’ONU, dovremo essere in grado di provare che le
nuove tecnologie sono applicabili a tutti gli effetti. Domande? Capitano, lei
non mi sembra ancora convinto.”
Fra sé, Ultra si impose di praticare meglio la faccia
da poker. Per quel che ne sapeva, stava aiutando un gruppo di industriali senza
scrupoli a fondare una elite pericolosa per il mondo libero...Ma qual’era
l’alternativa? Ripensò ad Israele, all’Afghanistan...A quei territori che un
tempo erano parte della ‘mezzaluna fertile’, la ‘terra del latte e miele’ della
Bibbia. Posti meravigliosi, degni del Giardino dell’Eden...fino a quando
l’esplosione demografica e la conseguente estensione di agricoltura e pascolo
non avevano causato la desertificazione di quelle terre!
No, si sarebbe riservato almeno di vedere da vicino la
vita nello Zilnawa. Dopo, avrebbe deciso se tirarsi indietro o no.
“Solo una,” disse alla fine. “Quando si comincia?”
T –40m, 55s. Impianto di estrazione 23, 12Km a nord
della capitale, Vredefort Crater
Il velivolo, simile ad uno space shuttle in miniatura,
atterrò docilmente sulla piattaforma. Un attimo dopo, sotto un sole impietoso,
ne scesero cinque dei sei Campioni.
Ad accoglierli, trovarono il direttore dell’impianto
in persona. Era questi un nero brizzolato in maniche della più abbagliante
camicia bianca mai vista, intonata al suo largo, perfetto sorriso. “Sono Richard
Zana. Felice di incontrarvi, signori. Il signor Thran ci ha
dettagliato sulle vostre funzioni, ma spero proprio che non ci sia bisogno del
vostro intervento. Di qua, prego.”
Si diressero all’ascensore, che consisteva di una
struttura interamente in plastivetro, con una panoramica sull’intero impianto.
Durante la discesa, Zana lanciò un’occhiata incuriosita al lupo e al minuscolo
essere umano seduto sulla sua testa. “Con tutto il rispetto...In che modo un
animale può cavarsela in un eventuale combattimento armato?”
“Può cavarsela meglio di te, mortale,” disse la
faerie, con la voce chiara di una persona dalle normali dimensioni.
“Cosa estraete qui?” chiese Terry, che per unanime
consenso non avrebbe assunto la sua modalità da combattimento in qualunque
ambiente angusto se non necessario. Era da molto tempo che non si trovava a
guardare dal vivo un simile dispiego di tecnologia. La presenza umana era
letteralmente ridotta al minimo, di fatto gli operai erano robot, delle
più strane forme, ognuna specializzata nel proprio campo. Sciamavano per
l’impianto come laboriose formiche. “Non avete problemi con i sindacati?”
Zana era visibilmente orgoglioso. “Qui estraiamo
iridio e Starlega. Questo impianto è di fatto la linfa vitale dello
Zilnawa e delle industrie di mezzo mondo –come sapete, l’iridio è il più raro
dei metalli, insieme al Vibranio. La Starlega è ancora più rara, e
quella che troviamo è conservata in un deposito a prova di bomba a fusione
pura. Prima di immetterla sul mercato, sarà indispensabile analizzarla e
scoprirne le potenzialità...”
“Il Professor Giapeto ha detto che è già stata usata,
per il Mazinkaiser,” intervenne Ultra.
“Vero, ma è stata usata una tale quantità di energia, da
rendere quel robot, per quel che ne so, il più costoso macchinario del mondo.
Pochissimi potrebbero usarla, mentre il nostro governo ha intenzione di
renderla disponibile alle più ampie fasce di mercato possibile.” L’ascensore
arrivò a terra, e mentre uscivano, il direttore proseguì. “Quanto ai sindacati,
no, nessun problema. Vedete, la ricchezza viene ridistribuita equamente fra
tutta la popolazione, in un sistema di welfare pubblico che segue il 100% dei
bisogni, senza ingerenze da privati. Di fatto, sono pochi specialisti a dovere
lavorare, nello Zilnawa. I lavori pesanti sono tutti svolti dalle macchine.”
“Mary Shelley crepa d’invidia,” disse Schizoid Man.
Zana fece un cenno di ‘lasciamo stare’. “Noi siamo più
seguaci di Arthur Clarke che di una paranoica di una cultura che dovrebbe
essere morta e sepolta. Nello Zilnawa, crediamo che il giusto buon senso possa
prevenire qualunque ‘ribellione’. Ogni robot è assolutamente e specificamente
programmato per una sola serie di funzioni. Le sole intelligenze artificiali
veramente sviluppate sono presenti nei laboratori di ricerca, non sul campo.”
Passando vicino a una sentinella nera, armata con un
fucile come mai si era visto sul mercato ufficiale, Hrimhari non poté
trattenersi da un’annusata volante. “Come mai le guardie sono umane? Queste
vostre meravigliose macchine potrebbero impedire un inutile spreco di sangue.”
Zana quasi inciampò sui suoi passi, gli occhi a palla.
Quando Thran gli aveva detto che il lupo era un esemplare...insolito, non aveva
assolutamente accennato alla parola. Ma lo stupore durò un istante, poi
tornò il sorriso –per quanto leggermente sbiadito. “Err, le variabili impazzite
sono troppe, per quanto concerne la sicurezza. Un robot può essere
rubato e riprogrammato contro di noi, la sua tecnologia copiata...senza contare
che i danni a un robot costano molto più da riparare –quando non si parla di
sostituire l’intera macchina- di quanto costi curare una guardia umana.
Inoltre, la fedeltà di questi uomini non è solo ideologica, ma basata su solidi
guadagni e servizi pubblici pagati. Un nemico dovrebbe rovinarsi a colpi di
bustarelle solo per uno dei nostri uomini o donne. Senza contare che le guardie
non hanno ‘passepartout’ per i sistemi di sorveglianza. Abbiamo abbastanza
ridondanze da fregare qualunque tentativo di doppio gioco.”
Entrarono nel palazzo della direzione, un cubo a tre
piani tutto bianco. Dentro, l’attività era a dir poco frenetica; piacevole caos
umano, dopo il relativo silenzio degli operai robot.
“Con tutto il rispetto,” disse Zana, “nessuna macchina
saprebbe ancora cavarsela nel caos burocratico. E’ incredibile quante
scartoffie possano sopravvivere all’informatizzazione, non è vero? Per me, è la
naturale ritorsione. Sistemi così precisi richiedono un controllo umano sempre
più accurato e documentabile su carta. Riciclata, s’intende.”
Entrarono nel suo ufficio, un luogo apparentemente
spartano, quasi claustrofobico nonostante il finestrone.
“Niente piani alti e piante di ficus?” fece Schizoid
Man. Si accomodarono su una enorme poltrona in similpelle, Hrimhari seduto ai
piedi del mobile.
“Dati i vostri dispositivi di sicurezza,” chiese
Terry, “dov’è che interverremmo, noi?”
Zana fece spallucce. “E’ un tirare a indovinare. I
servizi segreti, nella loro eterna paranoia, sono convinti che l’attacco
avverrà qui, ma di più o non sanno o non vogliono dire. Voi cosa sapete?” Ma
ebbe la risposta appena vide le loro espressioni sconsolate. “Ad ogni modo,
quanto al lusso...” digitò un pulsante della tastiera incisa nella scrivania.
L’intera stanza si trasformò nello spaccato di una
verdeggiante foresta! Persino odori e temperatura erano perfettamente simulati,
tanto che il lupo iniziò a guardarsi intorno, e poi verso un tronco caduto dove
uno scoiattolo era appena fuggito.
“Spero la troviate un’applicazione pratica, per l’home
entertainment,” disse Zana. “Ci servirebbe, un po’ di pubblicità, per quando
immetteremo sul mercato questi dispositivi. La scelta di scenari è pressoché
infinita.”
Una vespa passò davanti al Ninja Bianco, che
fino a quel momento se ne era rimasto in disparte, presente come un fantasma
più che una persona. Solo per prova, il guerriero fece scattare due dita contro
l’insetto, che fu distrutto come fosse stato reale, fin nel minimo dettaglio.
Hrimhari, apparentemente, perse interesse per quella
simulazione degna della Stanza del Pericolo. “Capitano,” disse, “siamo
in pericolo. Lo sento.”
Zana reagì istintivamente a quel tono che non
ammetteva dubbi, e spense la simulazione. “Ma è impossibile...Non è stato
segnalato nemmeno...” In quel momento, fu interrotto dal cicalino
dell’intercom. “Direttore,” disse la voce di un’impiegata, “abbiamo appena
perso tutti i monitor e gli scansori del Livello G1!”
“Le ultime parole...,” disse Ultra, alzandosi in
piedi, “vediamo subito.” Detto fatto, attivò la sua ultra-visione, una
‘vista’ a neutrini, di fronte alla quale anche il neutronio era semitrasparente.
“Guardi in basso!” disse Zana, “Al primo piano
sotterraneo.”
Ultra obbedì. Un attimo, e, “E’ lì! E ha una specie di
bomba! Me ne...” si guardò intorno, costernato. “Ma dov’è finito il Ninja?” Le
sue parole si persero nell’allarme attivato da Zana.
Il sicario, del guerrigliero o del sabotatore
infiltrato, non aveva onestamente nulla –ed era per questo che si era
assicurato di potere lavorare in perfetta privacy. Le solide porte antincendio
erano sigillate alle pareti con resina metallica. E senza scansori, le autorità
Zilwanane avrebbero solo potuto esaminare, come prova, quello che sarebbe
rimasto del cadavere vestito da guerrigliero che il mercenario si era portato
dietro.
Il mercenario, una figura vestita da un costume
interamente bianco, con un cappuccio e occhialoni anch’essi bianchi, stava ora
programmando un ordigno apparentemente troppo piccolo per i suoi propositi...Ma
nel design futuristico di quello strumento giaceva un cuore di materia
superdensa. Una carica più che sufficiente a ridurre in pappa le travi
portanti del palazzo... “Eh?”
L’allarme! Stavano suonando il segnale di evacuazione!
Il mercenario sibilò una bestemmia, e inserì l’ultimo comando. Entro un
minuto... “YARRGH!”
Colpito! L’avevano colpito alle spalle! Sotto
la maschera, colui noto come il Fantasma guardò con orrore la lama della
katana uscire dal petto, il metallo percorso da piccoli archi voltaici.
La lama fu ritratta, e il Fantasma ricadde a terra. Su
di lui, torreggiava le figura del Ninja Bianco! “Un...professionista,
dunque...Pff, per quello che ti servirà...” Mancavano solo 30 secondi. Almeno,
un risultato l’avrebbe ottenuto...
“Servirà a guadagnare tempo, per cominciare,” disse,
dietro di lui, la voce
di Capitan Ultra, che reggeva in mano l’ordigno.
“Scusami la fretta, ma ci presentiamo dopo, OK?” E, come era venuto, l’eroe
fasò con la bomba attraverso il soffitto.
Una volta all’aperto, Ultra lanciò la bomba con forza,
e contemporaneamente la investì con un cono di energia Ultra dalla visiera per
ridirigere l’esplosione verso l’alto...E quasi fallì, avendo seriamente
sottovalutato la potenza dell’esplosione!
Il Fantasma si alzò in piedi, sempre sotto la vigile
lama della katana. Ancora qualche minuto, per la riparazione completa... “Tu
sei il Ninja Bianco, un perdente che l’Uomo Ragno ha messo sotto al
primo round. Eri scomparso: credevo ti fossi ritirato.”
La risposta giunse fredda, priva di emozioni. “Ho
migliorato il mio addestramento e le mie armi. Lavoro per lo Zilnawa, adesso.”
“Vuol dire che sarà il tuo epitaffio,” disse il
Fantasma, scomparendo dalla vista.
Prevedendo quello che sarebbe successo, il Ninja saltò
in aria. Un attimo dopo, il suo corpo fu investito da una tremenda scarica di
energia, e cadde, inerte.
Il Fantasma, una pistola hi-tech in mano, tornò
visibile...e sussultò. “Maledizione!”
A terra, ancora fumante per il colpo, giaceva un pezzo
di legno!
Movimento! Alle sue spalle! Il Fantasma sparò colpi in
rapidissima sequenza; ironicamente, se il suo avversario fosse stato Iron
Man, sarebbe anche riuscito a colpirlo...Ma il Ninja non aveva scherzato,
dicendo di essere migliorato. Si stava già muovendo, nel momento in cui il Fantasma
premeva il grilletto, e ogni colpo arrivava a segno con un attimo di ritardo!
Nel correre, il Ninja ripose la katana dietro la
schiena. Arrivato al muro, semplicemente, vi proseguì la corsa come fosse stato
un piano orizzontale! Un rapido movimento del braccio, e una pioggia di shuriken
volò verso il Fantasma! Le temibili stelle appuntite di metallo erano sature di
energia, sufficienti a penetrare il corpo del Fantasma come proiettili. E lo
penetrarono, infatti...ma solo perché a quel punto il corpo del nemico era
intangibile!
“Peccato, bianco, sarà per un’altra volta. Ci si
vede!” E il Fantasma sparì attraverso il pavimento.
In mezzo a un capannello, Equinox aiutò Ultra a
rimettersi in piedi. “Tutto bene, Cap?”
L’eroe si stava massaggiando la testa. “A parte il mal
di testa e l’orgoglio, sì...credo...Oy, volevano veramente darci dentro.
Qualcuno sa cosa è successo al Ninja?”
In risposta, il Ninja stesso apparve dal nulla in un
vibrare di energia, facendo sobbalzare la folla. Subito, il guerriero fece un
inchino marziale. “Il Fantasma è fuggito. Domando perdono.”
“Il chi?” domandò Schizoid Man.
“Un mercenario specializzato in sabotaggi industriali.
E’ particolarmente feroce contro tutto ciò che riguarda le imprese Stark.”
“Faceva meglio a continuare a prendersela con loro,”
disse il mutante. “Adesso ci sono abbastanza prove da affossare Pretoria
davanti a qualunque...”
“Prove del tutto insufficienti,” disse Zana,
sconsolato. “Per quanto ne può sapere qualunque corte internazionale, il
Fantasma è solo l’ennesimo pazzo in costume impegnato in qualche personale
crociata. La sua bomba è distrutta,” e qui lanciò una breve occhiataccia a
Ultra. “Insomma, abbiamo solo perso tempo.”
In quell’istante, suonò un cicalino nella cintura dei
Campioni –nel collare, per Hrimhari. La voce di Giapeto era allarmata.
“Campioni, ci hanno preso in giro! I dispositivi di sicurezza al Km 199 del Ponte
del Dalai segnalano attività di sabotaggio dei guerriglieri! Vogliono
colpire il Presidente K’Auna! Fate presto, vi trasmetto le coordinate!”
Ultra disse, “Io vi precedo. Raggiungetemi con l’X-101,”
e prese il volo. Un assordante bang sonico e una fiammata di attrito
atmosferico annunciarono l’immediato raggiungimento della velocità di fuga.
A bordo dell’SG-1000, il sesto Campione misurava la
sala di controllo a falcate da tigre in gabbia, lanciando occhiate nervose al
maxischermo che occupava un’intera parete. Su di esso,
si vedeva la rampa di lancio di Cape Laika, così chiamato in omaggio al
primo animale lanciato nello spazio; l’RMSV Skywolf I stava entrando nell’ultima fase dei
preliminari al lancio. In distanza, una folla di gente si agitava come un unico
organismo –a Robert Takiguchi ricordavano un’ameba oscena, desiderosa di
inglobarsi la preda. Una finestra dello schermo mostrava l’ameba come composta
di uomini esaltati, urlanti, ipnotizzati dalla propria rabbia, mentre
brandivano striscioni e cartelli –solo che, insieme alle ben note diciture razziste,
facevano mostra di sé deliranti slogan anti-tecnologici...E, come temuto, fra i
manifestanti c’erano le familiari tuniche bianche col sole infuocato dei Luciferi.
Simone Giapeto sedeva al centro della stanza,
circondato da una propria consolle. Levò gli occhi dal suo lavoro giusto il
tempo di rivolgersi al giovane giapponese. “Robert, so che vorresti essere lì,
a garantire la sicurezza personalmente, ma non si tratta di un’operazione
militare, e le Forze Speciali di Difesa Nazionale non sono state
invitate.”
Robert, che indossava l’uniforme da pilota, in mano il
suo casco, si piantò davanti all’uomo che ora per lui era come un padre.
“Direttore, i Campioni sono già stati depistati per quanto riguardava i
sabotaggi. Per quanto ne sappiamo, fra quei ‘dimostranti’...”
Giapeto lanciò un’occhiata severa al ragazzo,
rimettendolo compos sui. “Quei dimostranti sono sotto continuo
monitoraggio, e nessuno di loro è un metaumano o un mutante o un sicario
hi-teche lo Skywolf I è protetto da abbastanza misure di sicurezza, che
quelli avrebbero bisogno di armi molto potenti per fermarlo...Ma su una cosa
hai ragione, ed è per questo che sei rimasto qui. Se questa volta i nostri
agenti non hanno preso un granchio colossale, la missione avrà bisogno di noi molto
presto.”
Il condensato comunicato radiotrasmesso informò Ultra
della tremenda realtà che si stava prospettando. L’auto del Presidente dello
Zilnawa era diretta verso la capitale dopo un lungo tour di visite ai vari
villaggi autoctoni sparsi fra la nazione e Pretoria. L’idea era quella di assicurarsi
proprio il supporto delle popolazioni ancora ignorate dai ricchi ‘vicini’
africani –una politica poco ben vista da Pretoria e dintorni, ma non certo
ufficialmente contrastata.
La morte del Presidente K’Auna, in quel momento a
pochissimo dal KM 199 del ponte di cristallo, avrebbe acceso una nuova
polveriera! Ultra era una palla di fuoco, concentrato su ogni centimetro
quadrato dei pilastri, e bestemmiava sordamente –fra tutti quei maledetti
strumenti, come faceva a distinguere una %£$@°!? di bomba?? Solo quella
del Fantasma sembrava un cric della navetta della Voyager!!
L’auto del Presidente era ormai al Km 199! Ma perché
diavolo non l’avevano almeno fatta fermare?
Poi, anche pensare, perse di importanza, quando gli
ordigni detonarono! La sezione danneggiata sussultò ma tenne, oscillando
paurosamente. E per quanto il ponte potesse essere una struttura flessibile, il
potente trauma ne avrebbe spezzato la coerenza in pochi istanti! C’era una sola
cosa, da fare! E, perversamente, Ultra si sentì proprio come Superman, mentre
usava il suo stesso corpo come pilastro portante!
Sentì l’auto presidenziale passare sopra di lui, ma
non per questo Ultra mollò la presa. Attivò la visione Ultra, e scandagliò
quanto possibile della giungla...Eccoli! Ultra attivò la radio. “Sono su
un hovercraft, direzione...” già! Nessuno gli aveva ancora dato lezioni di
goniometria. “Fa niente, ve lo indico con il raggio Ultra. Prendeteli, gente,
io resto qui ad aspettare le squadre di riparazione.”
Finalmente, vide l’X-101 sfrecciare nel cielo
all’inseguimento. Conoscendo gli altri, era sicuro che nessuno di loro si
sarebbe perso quest’occasione di menare le mani –però potevano almeno fargli le
congratulazioni!!
Sullo schermo, l’hovercraft si diresse verso
l’imboccatura di una caverna, passandoci a stento.
Automaticamente, il sistema operativo a fuzzy logic
del computer di bordo prevenne i desideri dei suoi padroni e mostrò una
mappa del sottosuolo in quell’area.
“Ci mancava solo questa,” disse Equinox, “un network
di caverne sotterranee! Scommetto che è la residenza estiva dell’Uomo Talpa.
Non li troveremo più.”
“Li troveremo,” disse Hrimhari. “Io sono il migliore
esploratore e cacciatore di tutte le foreste di Asgard, e quel labirinto è poca
cosa.” Il suo tono non ammetteva repliche, e la navetta fu diretta da Schizoid
Man verso l’imbocco, dove fu fatta atterrare.
“A proposito,” disse l’uomo termodinamico al mutante,
“dove hai imparato a pilotare?”
Sorriso enigmatico. “Un giorno te lo racconterò.
Andiamo!”
All’imboccatura della caverna, Schizoid Man si rivolse
a Hrimhari. “Abbiamo poco tempo, giusto? Vieni con me, forza!” e si tuffò senza
esitare in quel pozzo oscuro, seguito a ruota dal lupo...
...che atterrò, nel cono di luce dall’esterno, al
fianco del compagno, in piedi su una mostruosa manifestazione che sembrava la
versione diabolica di una manta, con tanto di zanne e artigli! La creatura era,
in realtà, puro ectoplasma mentale, generato dalla mente del mutante.
“Tu hai dei problemi, amico,” disse Equinox, entrando
a sua volta, contemplando la mostruosità.
“Da che parte?” chiese Schizoid Man, ignorandolo.
In un attimo, la forma del lupo assunse postura
bipede. Hrimhari si concentrò, diventando tutt’uno con l’ambiente che lo
circondava...Finalmente puntò un dito ad est. “Di là, ma sono molto veloci.”
“Davvero?” disse Schizoid Man, e quasi fece volare via
l’asgardiano, tanto veloce fu lo scatto in avanti della ‘manta’! Equinox
dovette darsi da fare per stargli dietro. Tutti maniaci della Formula 1,
oggi!!
Era uno spettacolo impressionante! Era davvero un
mondo a parte, là sotto, sembrava di essere in un romanzo di Verne. La scia di
plasma di Equinox si rifletteva su poderose formazioni di quarzi e stalattiti
come zanne di giganti dimenticati. Dove la luce del plasma non arrivava, brillavano
colonie di organismi fotosfori. C’era di che restare intimiditi, di fronte alla
maestà del luogo –e all’ignoranza che i Terrestri avevano del proprio mondo!
“Beccato!” disse Schizoid Man, alla vista
dell’hovercraft nemico, diretto verso nessuna direzione in particolare.
Hrimhari strinse gli occhi, il pelo sulla schiena
istintivamente teso. “Questo è il momento critico: la preda è disperata, e
proprio ora potrebbe voltarsi contro il cacciatore. State attenti!”
Sembrava proprio che a bordo lo avessero udito,
perché, senza preavviso, l’intero veicolo si trasformò in una palla di luce!
Equinox, già messo sull’attenti, fu il primo a
reagire, frapponendosi fra i suoi compagni e l’esplosione, assorbendone l’onda
termica! Purtroppo, lo spostamento d’aria e i detriti letali come proiettili
furono un’altra, e tutti ne furono investiti! Schizoid Man perse la
concentrazione, insieme alla conoscenza, e la sua ‘manta’ si dissolse.
Tutti precipitarono verso un abisso apparentemente
senza fondo...
“Ricevuto, Campione,” disse l’operatore in camice
bianco. Poi, a Giapeto, “Direttore, non abbiamo più contatti con Schizoid Man,
Equinox e Hrimhari. Il Ninja Bianco chiede il permesso di andare in
esplorazione.”
“Negativo,”
rispose Giapeto. “Digli di attendere Capitan Ultra. Tra quando sarà lì la
squadra di riparazione?”
“Venti minuti, signore.”
Più il tempo necessario a mettere su le impalcature
provvisorie... pensò l’italiano,
stringendo un pugno. Ma quella è terra ignota, e il Ninja da solo rischia di
andare al macello per niente! Come... “Cosa succede?”
Era l’allarme generale, come programmato proprio nel
caso di...E infatti, eccole! Sia sugli scansori che sul maxischermo.
Su una finestra, proprio in quel momento, stava per
decollare lo Skywolf I. E sull’altra, una formazione di Sentinelle,
che si dirigeva verso l’RMSV!
L’informazione era dunque corretta! “Robert, tocca a
te!”
Episodio 5 - Arriva Mazinkaiser!
Robert, tocca
a te!
Con queste parole nella mente, il volto del soldato
risoluto su nient’altro che la propria missione, il giovane Robert Takiguchi, vestito della propria,
colorata uniforme di pilota, stava in piedi nell’ascensore in plastivetro.
Accanto alle pareti, scorrevano i numeri dei livelli –3...2...1... Robert si
tese.
0! Il pavimento della cabina si aprì. Robert sollevò
le braccia, e si lasciò cadere
lungo il tubo telescopico che, dal soffitto del
colossale hangar, portava fino al super-robot
che vi giaceva sulla schiena. La macchina misurava 30 metri, un concentrato di
tecnologia come non si vedeva sulla Terra dai tempi degli Shogun Warriors.
Il tubo portò Robert nella cabina di pilotaggio,
all’interno della calotta cranica, che proprio sopra gli occhi si apriva in due
placche a doppia punta. Robert scivolò senza difficoltà sul sedile. Il tubo si
ritirò.
Posò le mani sul pannello di guida –di fatto, un touchpad che sostituiva l’antiquato
gioco di leve e cloche dei predecessori. Sofisticati sensori registrarono
l’impronta genetica e le onde cerebrali dal casco; richiese un microsecondo. Le
luci della cabina si accesero, la calotta si chiuse con un sibilo idraulico.
Gli occhi del gigante si accesero di giallo. Le sirene
di allarme risuonarono a titolo precauzionale, in quanto il personale era già
stato allertato di allontanarsi. Allo stesso tempo, ogni infrastruttura era già
stata ritirata in speciali alloggiamenti nelle pareti.
Il portello posteriore dello StarGlider-1000, Air Force One e Base Mobile Strategica delle FSDN,
si aprì in due per il lungo, estroflettendo una pista.
Robert attese le luci di ‘GO’...ed eccole! Diede fiato
ai polmoni, e
“MAZIINGA FUORI!”
Oggi, stava per compiersi il disastro, per la storia
del progresso umano.
A Cape Laika,
centro spaziale della neonata democrazia tecnocratica dello Zilnawa, stava per
essere lanciato lo Skywolf I, un RMSV
(Reusable Multi-Stadium Vehicle) che ospitava l’ultimo componente per una
ministazione automatizzata geosincrona. Una stazione il cui scopo era
raccogliere l’energia solare e reindirizzarla in forma di laser a una stazione
a terra, che avrebbe convertito la luce in energia. Se i costi di quel progetto
fossero stati ammortizzati secondo i piani prestabiliti, il mondo occidentale
sarebbe stato testimone di una rivoluzione, il primo passo verso il tramonto
dell’era dei combustibili fossili.
Un’ottima ragione, per le forze conservatrici, che su
tali combustibili avevano costruito fortune, per impedire che quel passo fosse
compiuto. E a tale scopo, una squadra di Sentinelle
era stata inviata a Cape Laika.
Per distruggere lo Skywolf
I.
Dalla ‘stanza dei bottoni’ di C.L., il personale
osservava con non poca trepidazione i robot in avvicinamento. Erano modelli
potenziati, inconfondibili, identici a quelli usati per la difesa dell’Africa
durante Guerra dei Mondi!
Jason Raga, Direttore di C.L., in maniche di camicia,
contemplava, tuttavia, l’imminente attacco per quello che era –una seccatura.
Era un uomo dedito alla precisione, un individuo maniacale nel rispettare la
più insignificante scadenza col massimo della precisione, e quelle lattine ambulanti
gli avrebbero rovinato il record! Il grande cronometro sulla parete segnava
–180 secondi al lancio. La finestra di lancio, su un indicatore sottostante,
regalava ancora ben 30 minuti.
Le Sentinelle ruppero la formazione. Tre di loro si
diressero senza indugio al missile; le altre si sparpagliarono ed iniziarono a
seminare distruzione su Cape Laika.
Le tre sentinelle mirarono allo Skywolf. I loro occhi laser investirono l’apparecchio, ma l’energia
fu deviata dalla corazzatura antilaser.
In sala controllo, l’entusiasmo fu intenso ma di breve
durata. Tremende esplosioni scossero il grande palazzo. Suonò l’allarme di
evacuazione.
Do riflesso, qualcuno iniziò a dirigersi verso
l’uscita, ma fu ghiacciato dalla voce tonante di Raga.
Il Direttore era una maschera di determinazione. “Il
primo che si azzarda a lasciare il suo posto prima del lancio dello Skywolf lo seppellisco personalmente
prima che lo facciano quelle macchine. Chiaro?!”
Lo conoscevano tutti, e nessuno fiatò, anche se non
poche volte si levarono sguardi pietosi al soffitto da cui cadeva polvere.
Lo Skywolf
stava per decollare.
Le Sentinelle decisero di cambiare tattica. puntarono
le mani...Prima che la testa di una Sentinella venisse letteralmente
sbriciolata, mentre due paia di mani furono troncate, di netto, da una coppia
di oggetti rotanti, velocissimi! I robot emisero un grido di elettronica
sorpresa. “Allarme! Allarme! Minaccia sconosciuta classe IV! Scanalisi,
scanalisi! Ripristinare nuovi parametri di priorità! Minaccia avvistata!
Classificare ed archiviare!”
Gli oggetti rotanti tornarono a congiungersi con le
braccia del loro proprietario, che stava in piedi, agguerrito, sopra il centro
spaziale, sospeso dai propulsori alla schiena. I pugni a lame rotanti smisero
di girare.
Robert socchiuse gli occhi, l’espressione truce.
“Archiviami questo, stronzo. Ra*”
“Che cosa credi di combinare, Takiguchi?”
Lui quasi si morse la lingua, ma non terminò il
comando. Da una finestra nell’HUD, lo guardava severamente il Direttore della base
SG-1000, Simone Giapeto.
“Signore, lo Skywolf...”
“Una macchina si può ricostruire in tempi brevi, ma
non potremo lanciare nulla se Cape Laika venisse distrutto. Ferma le altre
sentinelle, ora!”
Robert perse un secondo, durante il quale fece
saettare l’occhio sulla distruzione che le altre Sentinelle stavano apportando.
Se l’architettura non fosse stata concepita per un simile evento, ci sarebbero
state solo macerie, adesso...Ma il lancio era automatizzato comunque, Salvando
lo Sky*
Poi, Robert si accorse di un dettaglio sul pannello di
controllo. La trasmissione era in chiaro!
Nuova speranza inondò i suoi pensieri.
Su un maxischermo, in una stanza immersa nella
penombra e nel fumo di molte sigarette, un’assemblea di uomini e donne stava
contemplando lo spettacolo del Mazinkaiser che abbandonava il missile.
“Davvero,” disse uno di loro, la voce arrochita non
dal fumo ma dagli anni, “Il nostro Dottor Giapeto è uno degli ultimi ottimisti.
Quando avremo finito di sbranare le imprese della Talon Corporation, non resterà loro abbastanza denaro da mandare in
orbita un palloncino.”
Un’altra voce maschile, più giovane, puntò lo schermo.
“Sono lieto che le azioni siano la tua principale preoccupazione. Dovremmo
invece preoccuparci di quel robot, o tutti i nostri piani vanno a monte.
Propongo di usare l’unità TS Overkill
sul secondo obiettivo adesso, o faremo solo un buco nell’acqua.”
Una donna si fece sentire. “Non è una buona idea. Ci
siamo esposti a sufficienza con queste Sentinelle. Una volta schierato in campo
l’Overkill, non potremo tornare sui
nostri passi.”
“Per quello che vale la tua prudenza! Quelle
Sentinelle avrebbero dovuto fungere da diversivo,
e di questo passo resisteranno per pochi minuti al massimo. La seconda ondata
non farà una fine migliore!”
“Un peccato, lo ammetto,” disse la donna. “Ma abbiamo
comunque raggiunto un obiettivo importante: ci vorranno comunque anni, per costruire
un nuovo componente, e nel frattempo, la stazione orbitale sarà stata
distrutta. Vinciamo comunque.”
L’apparecchio stava decollando. Le sentinelle si
lanciarono contro di esso...e si lasciarono esplodere! L’RMSV si spezzò in due,
e nonostante ciò sembrò volere un’ultima volta tentare di sfidare il
cielo...prima che il carburante fuori controllo esplodesse a sua volta. Decine
di migliaia di litri di idrogeno e ossigeno supercompressi, che divennero un
piccolo fuoco atomico! Quanto era rimasto delle finestre di Cape Laika si
trasformò in aguzzi torrenti di schegge.
Mazinkaiser atterrò. Il gruppo propulsore si ritrasse nella
schiena.
Il robot diede una rapida occhiata all’olocausto,
prima di puntare sulle Sentinelle intente a cercare di demolire il poderoso
palazzo principale della ZSCA (Zilnawa Space Colonization Agency)
“Raggi
Fotonici!”
un’abbagliante coppia di laser dagli occhi fulminò come lame altrettante
Sentinelle, tranciandole di netto. I frammenti, purtroppo, non si rivelarono
tanto innocui, quando andarono a distruggere l’intero parcheggio. Poi, i
frammenti esplosero.
Il Direttore contemplò l’oscena, fiammeggiante
frittata metallica –con quello che costava
un’auto a idrogeno!
Raga si toccò il microfono dell’headphone.
“Mazinkaiser, ti siamo riconoscenti e tutto il resto...ma qui non siamo in un
cartone animato! Cerca di portarti i tuoi amichetti fuori di qui, sì?”
Robert era perplesso. Sì, era sua intenzione
distruggere ogni Sentinella...Ma queste saltavano in aria con una potenza
eccessiva per il tipo di attacco usato...Ma era roba per le squadre DC (Damage
Control).
Mazinkaiser puntò le braccia ad altrettante Sentinelle
intente contro i dormitori. “Turbosmasher Punch!”
Di nuovo gli avambracci ruotarono velocissimi, un
secondo prima che questi si staccassero come missili, roteando come due
proiettili-tornado!
Una Sentinella fu centrata allo stomaco, si irrigidì
ed esplose, lasciando di sé i soliti, pochi rottami. La seconda tentò di
evitare il letale arto...solo per scoprire che questi era dotato di un
puntatore automatico. Fu colpita al bacino, perdendo la metà inferiore del
corpo...e fu sufficiente a farla esplodere.
Altre due Sentinelle tentarono l’attacco frontale, ora
che Mazinkaiser era senza braccia.
“Missili
Perforanti!” l’interno
delle braccia si mise a ruotare come il caricatore di una mitragliatrice
vecchio stile...con la differenza che i proiettili che ne vennero espulsi erano
missili ruotanti, dal corpo affilato come la loro punta!
Le Sentinelle furono penetrate come tanti puntaspilli.
I missili esplosero, aggiungendosi alla solita esplosione spontanea.
Gli avambracci si ricollegarono al loro padrone.
Robert non aveva più dubbi, e dovette sorridere di
ammirazione –furbi, gli amici! Dispositivi di autodistruzione per cancellare le
prove! Chissà perché non gli risparmiavano la fatica, allora? Delle 12
Sentinelle inviate, 9 erano fuori gioco...Poi, capì!
“Già, volete studiarmi, giusto? Imparare come giocano
i grandi...” fece una smorfia cattiva. “Allora, imparate questo: Missile Gigante!”
Una sezione del ventre di Mazinkaiser si aprì,
rivelando il missile in questione, che fu eruttato con tutta la forza dei suoi
propulsori H/O. Un solo missile, ma sarebbe bastato –visto che questo missile possedeva una testata
multipla, che rivelò poco dopo l’apertura della calotta.
Le Sentinelle superstiti non tentarono neppure di
fuggire. Poterono solo continuare a registrare e trasmettere, mentre, una dopo
l’altra, venivano infallibilmente colpite!
Robert schioccò allegramente le dita. “Yatta! Che ne dice, Dottore? Se questo
lattine sono il massimo che possono offrire…”
Di nuovo, il mediterraneo Direttore della BMS lo
interruppe seccamente. “I trionfi a dopo, Robert. In questo momento, una
seconda squadra di Sentinelle è stata teletrasportata presso la Centrale di Ricezione.”
Non se lo fece dire due volte. “Pronti al combattimento!”
Mazinkaiser fece un breve tratto di corsa, piegò le
gambe e saltò. Il gruppo propulsore sulla schiena si allargò, e lo lanciò a
tutta velocità verso il nuovo obiettivo.
Il Direttore Raga si scosse la polvere dagli abiti e
dai capelli. Tutt’intorno a lui, nel centro di controllo, era il caos –il
personale era stordito, tanti fantasmi impolverati e doloranti, battuti dal
vento caldo dalle finestre rotte. Il pavimento cosparso di calcinacci e schegge
di vetro, lampade che pendevano dal soffitto in posizione precaria…eppure, le
apparecchiature informatizzate avevano resistito.
Il generatore di emergenza era entrato in funzione efficacemente, i case
antipolvere e antishock dell’hardware di nuova generazione avevano superato la
prova.
Raga sorrise, vedendo la sua armata tornare ai propri
posti, mentre la fiducia riguadagnava il terreno perso. La battaglia fra le
macchine era stata intensa, ma breve, e avevano ancora tempo.
Una vera fortuna, avere dalla loro un’organizzazione ricca
come la Talon –la NASA o l’ESA non avrebbero mai potuto permettersi un ‘trucco’
del genere…
Un cerchio di luci di segnalazione nel piazzale di
lancio si accese in rapida sequenza. Poi, la sezione delimitata dal luminoso
perimetro prese ad abbassarsi. Quando
l’enorme depressione circolare che si formò fu abbastanza profonda, quello che
era il portello della piattaforma iniziò ad inclinarsi, sempre di più, in un
rumoroso concerto di giganteschi ingranaggi e pulegge idrauliche.
“Sequenza finale di lancio iniziata,” disse un
altoparlante. “Tutto il personale si tenga a distanza di sicurezza. 10 secondi
al lancio. 9 – 8 – 7 – 6 – 5…” volute di vapore si levavano dal cratere,
insieme alla luce ed al ruggito delle fiamme dei propulsori “…2 – 1 – LANCIO!”
In un boato assordante, musica per i suoi costruttori
e per i tecnici della sala controllo, lo Skywolf
II partì dalla piattaforma-bunker a mo’ di ICBM!
Molte mascelle pendule seguirono la partenza, e la
promessa di disastro che essa portava alle loro infime speranze.
L’anziano suonava come fosse stato sull’orlo di un
colpo apoplettico. “Un altro…I figli di troia ne avevano un altro, ci hanno
fatto credere…”
“Non possiamo intercettarlo? Distruggerlo in volo?”
fece qualcuno, che balbettava come un ragazzino smarrito.
Il giovane arrogante di prima afferrò un bicchiere di
scotch. Sul maxischermo, lo StarGlider
stava mettendosi in rotta per seguire e proteggere l’apparecchio “La loro Base
Mobile può raggiungere quota suborbitale, e i suoi armamenti sono in grado di
coprire lo Skywolf a distanza.
Possiamo solo sperare di distruggere la loro Centrale di Ricezione, così che
quella maledetta stazione diventi solo un mucchio di costosa ferraglia
orbitale.”
Le implicazioni erano chiare. Che TS Overkill fosse o no in grado di
distruggere Mazinkaiser, era un tentativo che andava fatto! E non avrebbero
avuto altre chance, non con il costo in energia che avrebbe richiesto quel
particolare teletrasporto!
Poi le venne in mente –sì, potevano addirittura
prendere 3 piccioni con una fava, se avessero giocato bene le carte! La donna
si preparò ad esporre il neonato piano ai suoi colleghi…
Propulso oltre Mach 5, Mazinkaiser raggiunse La
Centrale di Ricezione, denominata Sun
Mountain, in pochi minuti.
L’attacco era, ovviamente, in corso –ma era appena
iniziato, e i danni alle infrastrutture erano quasi inesistenti. Sun Mountain
meritava il suo nome. Era una enorme struttura artificiale, una massiccia
piramide tronca, bianca e riccamente decorata da fiammeggianti fregi dorati, la
cui cima era l’’occhio’ destinato a raccogliere l’energia solare dalla stazione
orbitale.
Un occhio protetto da una enorme cupola geodetica,
cupola contro cui metà delle sentinelle si accanivano inutilmente –le pareti
erano state trattate, come lo Skywolf,
contro attacchi laser, e i missili la scalfivano appena.
Robert sorrise. “La ricreazione è finita, lattine. Raggi Fotonici!”
Due Sentinelle furono abbattute sul posto.
Altre cinque si lanciarono verso Mazinkaiser, mentre
le altre dedicarono ogni iota di energia contro un unico punto della Sun
Mountain.
“Volete scherzare, vero? Rust Tornado!”
Un breve lampo di luce, e dalle griglie del copribocca
partirono tre mostruosi vortici d’aria! Come uno solo, colpirono le Sentinelle,
sbatacchiandole come giocattoli, strappando loro gli arti; in aggiunta, gli
agenti corrosivi all’interno dei vortici polverizzarono in pochi secondi quanto
rimase dei robot nemici.
Gli ultimi robot cambiarono tattica. Si posarono tutti
insieme sulla cupola, disponendosi in piedi l’uno agganciato all’altro come le
facce di una colonna.
Robert era perplesso…Ma durò poco –qualunque piano le
lattine avessero nei chip, stavano per*
MOVIMENTO! Dietro di lui –ma come..? “Huuf!”
Un poderoso pugno colpì il super-robot alla schiena!
Mazinkaiser andò a sbattere contro la parete della Mountain. Non fosse stato
‘patinato’ di starlega, avrebbe
ricevuto dei danni seri. Si voltò –ma cosa
poteva colpirlo con tanta forz… “Occavoli!”
Anche i cattivi avevano deciso di giocare duro, e
avevano teleportato il loro colosso: una Sentinella, certo, ma un modello composito, grande quanto il Mazinkaiser.
Un modello che assemblava in sé 3 diverse Sentinelle. Robert la riconobbe
subito, visto che aveva fatto, tempo prima, una pubblica apparizione a New
York, solo per essere travolta da un Uomo
Ragno dotato per un breve periodo del potere di Capitan Universo.
La
Tri-Sentinella, era scesa in campo.
Insospettabilmente veloci, un paio delle 4 braccia del
nuovo nemico afferrarono Mazinkaiser per le gambe. “Soggetto immobilizzato.
Inizio procedura di disassemblaggio.” Altre due per le braccia. E iniziarono a
tirare. Le rimanenti braccia tempestarono la schiena della preda con colpi di
repulsore, ai quali si unirono raggi di energia sparati dagli occhi della testa
tricefala.
“YAARGH!” una ritorsione dell’essere cerebralmente
collegati alla sua macchina, era che Robert doveva poterla avvertire come fosse
il proprio corpo. Il che implicava il dolore,
per evitare di sovraccaricare ogni eventuale parte danneggiata.
Solo che così stavano sovraccaricando lui! Di questo passo, entro sera Robert
si sarebbe ritrovato con più lividi di un lottatore del WWF [la World Wrestling
Federation, cosa pensavate?]!
Robert serrò i denti. Tutto questo era ridicolo! Lui
era stato addestrato per situazioni ben peggiori –diamine, senza neanche un addestramento, aveva pilotato
il Red Ronin contro Godzilla!
“Soggetto dotato di resistenza superiore ai parametri
di archivio,” disse una testa laterale di Overkill. La faccia opposta aggiunse,
“Incrementare attacco a massima potenza.”
“Turbosmasher
Punch!” nonostante il violento
distacco, le mani della TriSentinella tennero la presa. Ma il super robot
nemico fu per un attimo sbilanciato, distratto. E, comunque, in quell’attimo,
Mazinkaiser era libero! Cadendo,
portò le braccia tronche all’indietro. “Missili Perforanti!”
Il torace di Overkill fu trasformato in un
puntaspilli. La TriSentinella urlò, quando i proiettili piantati nel corpo esplosero.
Barcollò, e lasciò la presa.
I pugni a razzo, liberi, volarono in avanti per un
breve tratto, compirono un arco, e, roteanti e velocissimi,
travolsero le braccia di Overkill, staccandone la
metà!
I pugni si riagganciarono a Mazinkaiser. Solennemente,
il robot sollevò le braccia, come a flettere i muscoli…E in quel momento, si
udì una voce venire dalla Mountain. Una voce umana! “Uno splendido
combattimento. Riconosciamo di averti sottovalutato, robot.”
Mazinkaiser abbassò il braccio e voltò la testa.
A parlare, era stato l’ologramma che troneggiava come un gigantesco spirito malvagio sopra
le Sentinelle. L’ologramma rappresentava un uomo –caucasico, i capelli biondi
tagliati a spazzola, cortissimi ma lunghi in nuca, dove si trasformavano in un
codino annodato fino alla schiena come uno scudiscio. Il volto sembrava
tagliato con l’accetta, con due occhi grigio metallico, naso Patrizio e la
fronte alta. La figura indossava una specie di misto fra un abito civile di
lusso, con tanto di colletto e maniche a sbuffo, e uniforme militare kaki. La
sua voce era priva di ogni accento, arrogante, di un uomo abituato a farsi
obbedire con le buone o le cattive. “E’ giunto il momento di porre fine alle
sciarade, robot. Hai un nome?”
“Mazinkaiser, delle FSDN dello Zilnawa. E tu chi sei?”
L’ologramma annuì. “Sono il Barone Maximillian von Staar, al servizio dello Stato. E sono il tuo prossimo padrone.”
“Non avete ancora trovato niente?” fece Giapeto, in
piedi davanti al maxischermo.
Un gruppo di tecnici lavorava febbrilmente ai
terminali. “Ancora niente di niente: quest’uomo sembra spuntare dal nulla. Ma
non abbiamo ancora coperto il…”
Giapeto scosse la testa. Del resto, non si aspettava
dei miracoli: se i superiori di questo ‘Barone’ erano previdenti come con le
Sentinelle rubate, di Staar dovevano avere cancellato ogni minima traccia da
ogni database anagrafico mondiale. E poi, che razza di organizzazione era,
questo ‘Stato’? L’Impero Segreto,
forse? Di sicuro, dovevano avere soldi e connessioni ad altissimo livello… “Che
c’è?” chiese un po’ bruscamente al tecnico che lo stava chiamando.
“Direttore, comunicazione dal Ponte del Dalai.”
Giapeto ascoltò il resoconto, e si preparò a lanciare
l’ordine.
“Vedi queste Sentinelle? Separatamente, non sono alla
tua altezza, certo…Ma, insieme, i loro accumulatori hanno sufficientemente
massa da generare un’esplosione atomica.”
Mazinkaiser, che si stava per lanciare contro
l’immobile TriSentinella, si fermò di colpo. “Esplosione atomica??”
Staar annuì. “Tutto o niente, Mazinkaiser. Questo è il
mio motto: la tua potenza è un ostacolo troppo grande, e non possiamo
permetterci di perdere. Siamo pronti a un gesto estremo, se necessario.”
Robert serrò i denti, poi. “Dottore, sta dicendo la
verità? Quelle Sentinelle…?”
“Non lo possiamo confermare, sono troppo bene
schermate. Ma non è un bluff che possiamo chiamare, adesso.”
“Arrenditi e consegnati allo Stato, Mazinkaiser. Se lo
farai, risparmieremo la vostra installazione. Altrimenti…be’, credo che neppure
tu possa resistere al fuoco atomico, non a questa distanza.” Staar rise.
“Cedere Mazinkaiser è fuori discussione, Robert: con
un solo esemplare, possono fare molti più danni di intere armate di Sentinelle
messe insieme. Preparati a combattere.”
“…” Robert non era abituato a che fare con uno
scienziato dalla lingua biforcuta come quella di un politico –doveva essere un
tratto tutto italiano! Era chiaro che il Direttore aveva qualcosa in mente, ma
quella sua maledetta abitudine di ingannare prima l’amico per confondere le
idee al nem*
Successe talmente in fretta, che il giovane pilota
fece un sobbalzo sulla poltrona! A 11 Km/s, la velocità di fuga, una specie di cometa bianca andò a sfondare fra le
Sentinelle in piedi.
“Scusami il ritardo, amico!” disse Capitan Ultra, già volgendosi contro le
Sentinelle superstiti. “E stai tranquillo. Se insieme erano una bomba, adesso
sono ferraglia!” La visiera del suo casco lanciò scariche di Energia Ultra, e
demolì uno ad uno i robot, che terminarono l’opera con l’autodistruzione.
Giusto il tempo di verificare che nessuna
radioattività fosse fuoriuscita dalle Sentinelle, poi il comando, “Fire
Blaster!”
Le ali pettorali si accesero, così come la ‘Z’ barrata
nel gioiello al centro di esse. Il petto eruttò una vampa infernale, un
torrente di energia termica.
La Super-Sentinella non ebbe scampo: la sua corazza
giunse al calor bianco in pochi secondi, poi iniziò a fondere come neve al
sole…
Alla fine, rimase solo un mucchietto di metallo fuso
informe.
In piedi davanti a uno schermo, Staar seguì la fine
della super-arma con un ghigno adombrato. “Goditi la tua vittoria, oggi,
Mazinkaiser: un giorno, sarai mio. E
so già come…”
“Ci hai fatto correre un bel rischio, Cap. Va bene che
alla fine era un bluff, ma…”
Capitan Ultra stava sospeso davanti alla cabina di
pilotaggio, rigorosamente coperta dalla calotta a specchio monodirezionale.
“Una cosa che si tende ad ignorare, amico mio, è che una bomba nucleare è uno
degli oggetti più delicati che tu possa immaginare. Se un paio di componenti
non funzionano, puoi avere un gran botto, ma niente superboom. Distrutte due
Sentinelle, era cosa fatta...Ma occupiamoci di cose più importanti, ora!”
Mazinkaiser annuì. “Lo so. Sono in grado di penetrare
la crosta, se si rivelasse abbastanza sottile. Se quelle caverne sotterranee[i]
facessero parte di un qualche regno sotterraneo abitato, ti sarò utile contro
eventuali cani da guardia. Pronti al combattimento!”
Mazinkaiser spiccò il volo...lasciandosi dietro un
Capitan Ultra alquanto annerito e rintronato! Spero che non lo f-f-faccia
s-s-sempre!
Episodio 6 - Tutte le strade portano sempre…
Lo odiava, quando succedeva. Ogni volta, doveva
ripassare tutto, come uno di quei poveretti che soffrivano di amnesie
ricorrenti...Già, come li invidiava, quelli.
(faceva male)
Loro dovevano solo preoccuparsi di annotarsi gli
eventi delle ultime ore, magari erano assistiti da infermiere specializzate.
Lui no.
(Dio, doveva essersi rotto qualcosa!)
Lui soffriva di personalità multipla –niente
trucchi, siore e siori, un corpo, due menti! Uno, lui, schivo e timido, e l’altro,
pronto alla violenza come lui alla pace.
E, proprio come un interruttore, quando una delle
personalità prendeva il sopravvento, l’altra andava a nanna. Il solo modo per scoprire
cosa l’altra metà avesse fatto, era di attendere il risveglio.
(Stava rabbrividendo. Aveva la febbre? Era malato?)
Forse, questa volta, non era il caso che sapesse cosa
fosse successo, al suo corpo.
Chip Martin
aprì gli occhi, realizzando di trovarsi in una stanza.
O in un sogno a occhi aperti? Non che sarebbe stata la
prima volta...ma mai con un simile scenario!
Il materasso su cui giaceva era posato su un letto di
marmo a una piazza. L’azzurro dominava nella stanza, con qualche aggiunta
decorativa di verde e pietre preziose. Drappeggi rossi coprivano l’unica
finestra.
Nonostante la fame che si fece sentire non appena si
mise seduto, Chip si alzò su gambe ancora malferme, ignorando la coppa di
frutta, uva e mele decisamente invitanti, che giaceva sul tavolino vicino.
Su una panca, giacevano il suo costume metà ocra e
metà nero e il medaglione: la roba che indossava quando era l’altro la
personalità dominante. In quel momento, Chip stava indossando una genuina toga
bianca e rossa, tenuta ferma alla spalla. Ma le domande che gli affollavano la
testa avrebbero aspettato. Doveva scoprire una sola cosa, per ora.
Si avvicinò alla finestra. Esitò, la mano ferma a un
centimetro dal drappeggio. Tirò un respiro, e diede uno strattone secco.
Dove diavolo era finito?
Il giovane mutante faceva fatica a digerire quello che
stava vedendo: una città romana, o almeno quello che le sue scarse
conoscenze di storia indicavano come tale.
Innanzi tutto, non era tutta di marmo bianco, come
credeva, ma ricca di vivaci colori. I più curati e sfavillanti, naturalmente,
erano quelli dei palazzi e dei templi, mentre le case, alte al massimo due
piani, erano perlopiù grigie o ocra.
L’intera pianta si snodava lungo una immensa conca,
sotto la severa volta di una caverna. Da quella volta pendevano
stalattiti di tali dimensioni, che non si credeva possibile potessero restare
attaccate. Colonie di fotofori tappezzavano letteralmente pareti e stalattiti,
garantendo un’illuminazione permanente, per quanto crepuscolare e fredda.
Quattro strade, intersecate a croce, attraversavano la
città, ognuna partendo da un grande tempio –e ogni tempio era diverso
dall’altro, nei colori e nello stile...
Ma quello che faceva più paura era il silenzio:
quel posto era grande quando Manhattan, ed era praticamente vuoto. Chip
era sicuro di potere sentire l’eco del proprio respiro...
Chip smise di guardare. Era sovraccarico, sull’orlo di
un’altra crisi –e se succedeva, l’Altro avrebbe ripreso il controllo!
“Non si sente bene, signore? Desidera che chiami il medico?”
Lui sobbalzò, neanche fosse stato morto da un
serpente.
Ma non era un serpente, bensì una donna, quella che lo
guardava con occhi sinceramente preoccupati dall’ingresso. Una donna nera,
delicata, i capelli lunghi raccolti in un’elegante crocchia fasciata d’oro.
“Dove...Dove sono..?” faceva lui.
Un inchino. “Sei a Roma, la Capitale dell’Impero
di Caesaria. Sarai felice di sapere che i tuoi compagni si sono già
ripresi, e che uno di loro è venuto a trovarti.”
“Compagni..?” fece lui, mentre la donna si faceva da
parte. “Oh, no...”
Quello che entrò, di umano aveva la postura, ma finiva
lì. E lui non sarebbe mai stato amico di un simile essere –oh,
non di un lupo mannaro! La creatura era nuda, coperta di pelliccia
grigia, il muso e il resto dei tratti sufficientemente ‘evoluti’ da potervi
leggere espressioni umane.
E in quel momento, la creatura era visibilmente
incuriosita, diffidente. Poi, la creatura...parlò! “Persino il tuo odore è
diverso, Dave. Invero...”
“’Dave’?” lo interruppe bruscamente Chip. “Si chiama
Dave? Ed è tuo...amico..? Aspetta, l’ultima cosa che ricordo con la pelliccia è
un lupo, ed eri tu? Oddio..” Si mise le mani alle tempie.
Il mannaro si avvicinò. “Sono Hrimhari di
Asgard. E il resto dei nostri compagni d’arme, i Campioni...”
“Stammi
lontano!! Io non so in cosa mi avete coinvolto, cosa siano questi ‘Campioni’, e
non ne voglio sapere. Fatemi solo uscire da qui!”
Hrimhari non insistette, anche se non poté fare a
meno, istintivamente, di levare il pelo sul collo –non era estraneo a un simile
fenomeno. Ricordava bene la mortale Danielle Moonstar, in cui per
diverso tempo aveva vissuto lo spirito di una Valchiria, fino a quando
questa non aveva preso il controllo[ii].
Ma questo Chip Martin era manifestamente –almeno, ai suoi
raffinati sensi di lupo- ostile...Ma forse, era solo la paura che
ottundeva il suo raziocinio. Non sarebbe stato giusto criticarlo per questo.
La donna si fece avanti discretamente. “L’Augusto
vi sta aspettando.”
Hrimhari e Chip la seguirono mestamente. “Ci capisci
qualcosa, di questa storia?” chiese Chip.
“Il ‘Popolo’, come ci chiamiamo noi lupi, ricorda bene
la città che chiamavate Roma, e questo posto ne riflette la
magnificenza...Ma hai bisogno di stare così distante. Non hai da temere
alcunché, da me.”
“Uhm, è che non mi piacciono i...cani, e...-eep!”
Hrimhari si era fermato di colpo proprio davanti a
lui, un ringhio di avvertimento. “Sono un Principe, mortale. Neppure il
sommo Odino mi ha mai chiamato ‘cane’, sono stato chiaro?”
Chip fece ‘sì-sì’, e tacque, mentre la schiava li
conduceva alla loro destinazione...
Sotto il cielo stellato, nel mezzo della giungla
vergine, si ergeva la titanica figura di Mazinger Alfa.
Il Light Falcon, il veicolo solitamente
agganciato all’interno della calotta cranica del colosso guerriero, stava ora
ai suoi piedi.
E accanto al Falcon, su un ginocchio accanto a
un’apertura naturale nel suolo, stava il pilota, Robert Takiguchi. Il
giovane stava comunicando attraverso l’unità subcutanea alla gola. “Li hai
trovati, Capitano?”
Accanto a lui, il silente Ninja Bianco scrutava
la foresta per quelle eventuali minacce che dovessero sfuggire ai sensori del
super-robot.
All’interno di un abisso che sembrava assorbire come
una spugna la luce emanata dalla visiera del suo costume, Capitan Ultra
disse, “Neanche una traccia. E dire che sto usando la Visione Ultra.
Sono scomparsi!”
Anziché Robert, gli rispose un’altra voce –quella del
loro capo, il Professor Simone Giapeto. “Non disperare: vuol dire che
stiamo affrontando la cosa dalla prospettiva sbagliata.”
“Prego?”
A bordo dello StarGlider-1000, Giapeto stava
controllando sul maxischermo una serie di immagini dell’area interessata,
immagini che andavano dalle mappe storiche più antiche a moderne proiezioni
satellitari. Apparentemente, non c’era nulla che non andasse –sì, la caverna
era stata debitamente inserita, ma non era stata classificata rilevante,
neppure ai fini del Progetto Exodus... “La VU si basa sull’uso dei neutrini.
Non c’è letteralmente nulla che tu non possa scovare, grazie ad essa. Cosa
vedi, invece, adesso?”
Cap lanciò un’altra occhiata verso il fondo
dell’abisso. “Non vedo...nulla...”
“Esatto. Qualcosa sta interferendo con la VU.
Tenteremo un altro approccio: Robert, lancia un drone verso il fondo
dell’abisso.”
Pochi istanti dopo, un miniapparecchio volante simile
a una telecamera, debitamente programmato, fece il suo ingresso nella caverna,
impavidamente diretto verso l’obiettivo. Due paia di occhi lo seguirono
speranzosi, mentre l’oscurità assorbiva le sue luci di posizione...
“E’ scomparso da ogni scansore. Nessun segnale di
ritorno,” Ultra sentì dire Robert. “Trasmetto il punto esatto...Ecco, a 930
metri. Ultra, che mi dici?”
“Dico che mi butto!” disse il Capitano. “E’ ridicolo
che con tutto il potere che ho io non*” fu fermato di colpo dall’imperioso
Giapeto.
“Se vuoi renderti utile, adesso, inizia a lanciare
scariche del tuo potere contro la ‘barriera’, per saggiarne la resistenza.
Robert, lancia altri droni, ma questa volta cerca di determinare gradatamente
il perimetro di questo ostacolo.”
Alla fine del corridoio, si trovarono davanti a un
palazzo, che per maestosità e sfarzo avrebbe fatto l’invidia di ogni corte
passata! Chip lo riconobbe subito come uno dei Grandi Templi.
Enormi leoni di bronzo sedevano a guardia del portone
d’ingresso, bracieri ardenti nelle loro fauci spalancate. Altorilievi finemente
cesellati di figure umane –‘Divinità romane’, come le aveva classificate un
interessato Hrimhari- decoravano le pareti.
Davanti al portone, stava il terzo ‘ospite’ del
misterioso Augusto. Era un nero, un giovane dalla testa calva, ma non era
vestito da schiavo. Indossava la stessa toga di Chip, che su di lui esaltava la
pelle scura. “Grazie a Dio stai bene,” disse Terrance Sorenson andando
verso l’amico.
“Se si può dire così...” fece Chip. “Tu sai niente
di...oh, lascia perdere...”
Terry annuì. Normalmente, sarebbe stato contento della
rinnovata stabilità dell’amico, ma non poteva capitare in un momento peggiore. Mentre
tutti e tre seguivano la donna, arrivando a quella che immaginò la sala delle
udienze, si chiese se non avesse a che fare con il fatto che anche lui
stesso aveva...
Un potente squillo di tromba dai valletti nella sala
annunciò l’arrivo dell’anfitrione.
A questo punto, vederlo non fu certo una sorpresa in
sé. In fondo, l’’Augusto’ non faceva che rappresentare il folklore locale.
Indossava un’armatura interamente d’oro, con mantello e pennacchio a spazzola
scarlatti. E se per Terry e Chip quella poteva essere un’armatura da centurione
o che altro perfettamente normale,
per Hrimhari era il primo indizio che c’era qualcosa
di ancora più strano in ballo: innanzitutto, l’Augusto portava una maschera
anch’essa di metallo dorato, e le saette che si dipanavano dal disegno
pettorale non erano in concordanza con quello che sapeva lui degli antichi
mortali di Midgard..!
“Benvenuti nel mio Regno, stranieri. Sono Gaius
Tiberius Augustus Agrippa. L’Augusto Imperatore di Caesaria.”
L’essere si mise seduto su una poltrona in marmo.
“Siete impotenti per mio preciso volere. Io vi ho curato, ma non sarò
altrettanto generoso, se doveste comunque decidere di attentare alla mia
persona.
“Già in passato ho avuto a che fare con super-esseri
venuti dall’esterno del mio dominio[iii].
Li sottovalutai, ed è un errore che non intendo ripetere.”
“Mi hai cancellato i poteri..?” Chip aveva una strana
luce di adorazione negli occhi. “Mi hai liberato dell’Altro. Sono...”
“La tua gratitudine non sarà sprecata, mortale,” disse
l’Imperatore. “Ma ora, altri, più urgenti affari ci attendono. Osservate.” Un
suo cenno,
e fra lui e i suoi ‘ospiti’ apparve una sfera, che
rappresentava l’incredibile network sotterraneo. Caesaria stava proprio
al centro di uno ‘snodo’.
“Nonostante questo ed altri dei miei quattro grandi
templi vigilino su Caesaria, forze a me ostili stanno sistematicamente
minacciando il mio dominio. Avrete di certo notato l’assenza di attività, in
città: il nemico agisce su una base regolare, e regolarmente sono costretto a
un severo coprifuoco.” L’Imperatore sospirò. “Gli Dei mi hanno affidato il loro
potere, ma esso non è stato sufficiente che a chiudermi a riccio, mentre la
gloria di Roma deve essere libera di splendere ovunque. Disperavo, e gli
Dei mi hanno mandato voi.”
Nessuno osò dirgli che ben diversamente stavano le
cose: che loro stavano inseguendo un gruppo di terroristi in quelle
caverne, quando il loro veicolo era esploso a distanza ravvicinata[iv].
Erano stati fortunati ad uscirne vivi!
Quanto a Hrimhari, tacque pietosamente sulle proprie
origini: i rapporti fra le popolazioni nord-europee e Roma non erano stati
decisamente dei migliori...
“Immagino che non ci sia un contratto o roba del
genere,” disse Terry, avanzando. “Perciò, che ne dici di –Nyargh!-“
crollò a terra, colpito da qualcosa di invisibile, ma che gli aveva fatto male.
Restò in piedi, a stento, reggendosi lo stomaco in preda alla nausea.
“Per prima cosa, negro, impara il rispetto, o
quando andrai in battaglia, sarà senza la tua volontà, mi sono spiegato? Non so
perché gli Dei mi abbiano mandato un essere della tua razza inferiore, ma non
osare sfidare il loro favore!”
“In battaglia..?” chiese Chip, di nuovo ansioso.
“Io...come farò a combattere? Non ho il potere per...”
“Lo riavrai, naturalmente. Quando sarà il momento.”
“NO! Tu non puoi capire! L’Altro non deve
ripossedere il mio corpo!”si gettò in ginocchio, si piegò fino a toccare il
freddo pavimento con la fronte. “Mio signore, per favore, farò quello che vuoi,
ma non mi rimandare lì, nel buio. Non di nuovo, non ora...” singhiozzava.
La maschera di metallo era pressoché inespressiva
–pure, quando parlò, essa sembrò riflettere la contrarietà della voce del suo
proprietario. “Il tuo terrore è genuino, lo sento. E il tuo odio, nero, è
altrettanto evidente...Possibile che mi sia sbagliato? Che non siate voi i
campioni che salveranno il Regno Eterno?”
L’Imperatore si alzò in piedi. “E’ ora che vi
ritiriate nelle vostre camere. Rifletterò sul vostro ruolo e domani prenderò
una decisione.” Si allontanò in uno svolazzare di mantello e di rimbombi
metallici.
Due legionari, soldati grossi come armadi, neri come
il ferro battuto e altrettanto forti, si pararono davanti al trio, i loro volti
più impassibili della maschera dell’Imperatore.
Terry aiutò Chip a mettersi in piedi. Qualunque
battuta gli stesse venendo in mente sull’utilità di Dave quando era lui ad
essere incazzato, la dimenticò appena vide il volto di Chip. Il ragazzo era
prossimo alla catalessi, senza dubbio –che cosa strana! Dave, come Schizoid
Man, era una creatura adattabile, paziente nell’attendere il momento giusto
e capace di influenzare subliminalmente Chip per raggiungere il proprio scopo.
Chip, invece...Be’ era quasi incredibile, che fosse rimasto lui, il
dominante in tutti quegli anni! Era una cosa che meritava approfondimento...
Il gruppo si fece scortare dalle guardie verso il
proprio destino.
C’era voluto il suo tempo, ma alla fine la mappa era
pronta.
“Ma che diavolo è?” fece Robert.
L’olo-mappa mostrava l’interno della caverna
sotterranea, e il disco nero che occupava quello che, in una mappa
precedente, era il pavimento.
In una terza proiezione olografica, Giapeto si stava
strofinando pensosamente il mento. “La cosa più simile a questo fenomeno è
stato inserito nel database dei Vendicatori dal loro membro Iron Man
tempo fa. Una ‘bolla’ di questa natura era stata eretta da una comunità di paranormali
che veneravano i Fantastici Quattro. La bolla non era impenetrabile, ma
al suo interno il tempo scorreva a una velocità considerevolmente maggiore[v].”
“E allora?” fece Ultra “Torneremo con la barba più
lunga, tutto qui.”
“Non se ne parla nemmeno. Se quel fenomeno e quello
registrato nei database sono uguali, i vostri compagni là dentro sono già
sicuramente morti per vecchiaia. Parliamo di un rapporto di 1 minuto a 1
settimana! E se non sono ancora usciti avendo, dal loro punto di vista, interi anni,
allora dobbiamo darli per dispersi.”
Il Ninja Bianco socchiuse gli occhi. Robert si morse
il labbro. Ultra sgranò gli occhi. “Disp...” scosse la testa. “No, capo, non se
ne parla neppure.”
“Capitano...”
“Niente ‘ma’! L’ha detto lei stesso: c’è una similitudine
fra i due fenomeni, e solo nella forma esteriore! Se ci fosse anche la minima
possibilità, allora è mio dovere andare lì dentro e recuperarli, punt*”
Non si era minimamente accorto del Ninja, che era
scivolato come un’ombra alle sue spalle...e lo aveva colpito al collo con due
dita! Una semplice secca pressione, e un uomo virtualmente invulnerabile andò a
terra come un sacco di patate!
“Buon lavoro, Ninja,” disse Giapeto, “Tornate alla
base. Lanceremo un’operazione solo con dati certi alla mano.”
Il robusto scienziato spense la comunicazione,
scuotendo la testa. Si sentiva un traditore, ma il peggio era, che Ultra aveva ragione...in
un certo senso.
Se ci fosse stata la minima possibilità che i due
fenomeni fossero identici, non solo avrebbero perso anche tre membri-chiave del
gruppo, ma lo Zilnawa sarebbe rimasto senza difese!
E Progetto Exodus aveva la priorità su tutto!
Il silenzio della città era assordante.
Il trio era stato lasciato a sé stesso, nella grande
strada che si dipanava dal tempio dell’Imperatore.
Hrimhari osservava i quattro templi con attenzione, ma
non con i soli occhi –potevano avergli tolto il potere di cambiare forma, ma
percepire la presenza della magia, o meglio della forza vitale al Popolo nota
come Pr’ana, usata per forgiare gli incantesimi, era nella sua
natura dalla notte dei tempi come gli altri cinque sensi.
E i templi concentravano in sé una spaventosa quantità
di potere! Erano come delle spugne, e quello che prendevano veniva usato per alimentare
la falsa stabilità geologica...
Ed era sbagliato! Una simile concentrazione di
potere non poteva non andare a discapito dello strano ecosistema che fremeva
sotto la superficie!
“Comincio a comprendere la natura della ‘minaccia’ di
cui parla l’Imperatore,” disse il Principe Lupo. “E potrebbe tornare a nostro
vantaggio.”
“Buon per voi,” disse Chip, guardando verso la volta
rocciosa. “Per quanto mi riguarda, morire, a questo punto, non farebbe molta
differenza: tanto, muoio tutte le volte che ‘Dave’ prende il mio posto. Quanto
a lungo è stato, questa volta, hm? E cosa sono questi ‘Campioni’?”
Con calma, Terry glielo spiegò, senza omettere il
minimo dettaglio. Alla fine del resoconto, Chip fischiò, sarcastico. “Oh, sono
stato arruolato in un branco di supereroi? E nessuno ha pensato di chiedermi un
parere, giusto? Cosa importa, se tutto quello che voglio è un po’ di
pace, lontano da tutta questa supergente, eh?! E dire che è stato
proprio quel pazzo dell’Uomo Ragno a mettermi nei guai, e tu lo sai,
Terry! Lo sai che*”
Un grido dall’alto lo raggelò a metà parola –era un
verso orrendo, qualcosa che ne’ uomo ne’ animale avrebbe potuto lanciare!
E non era il solo!
Finalmente, videro la ‘minaccia’ a Roma: mostri,
creature di un bianco malato, le cui braccia erano enormi membrane alari. La
loro testa era cieca, con lunghe antenne flessibili che spuntavano da dove
avrebbero dovuto esserci gli occhi. Le bocche erano caverne spalancate e ribollenti.
Le gambe, come il resto del corpo, erano coperte di minacciose placche
affilate.
Volavano in cerchio, in uno stormo circolare e fitto,
ognuno di essi grande la metà di un uomo. E il loro grido era qualcosa che ti
penetrava nei nervi e nella mente, stimolando l’istinto a cercare rifugio il
più in fretta possibile. Erano i babau e gli Aliens, non maligni ma pura forza
distruttiva della natura!
Le antenne si agitavano come fruste, puntate verso il
basso. Verso le loro prede!
“Ecco, Chip: spiegalo a loro, il tuo punto di
vista,” fece Terry.
Mentre si buttavano, in formazione sparsa, Hrimhari le
vide attraversare la barriera come non esistesse neppure –e in un istante capì
che la ragione era che i mostri non erano generati da qualche rito magico, ma erano
creature naturali, immuni al potere dell’Imperatore! “A TERRA!”
Non ebbero bisogno di farselo ridire. Si buttarono
appena in tempo per evitare di essere ingolfati da quelle bocche allucinanti.
In compenso, non poterono evitare di essere colpiti dalle lame ossee sulle
gambe! Terry e Chip rotolarono fuori dalla strada, lasciandosi dietro una scia
di sangue.
Serrando i denti per il dolore, Hrimhari si rimise in
piedi. Il suo fattore rigenerante naturale stava già mettendosi in azione
–maledizione, avrebbe dovuto mangiare quantità maggiori della carne che gli
avevano offerto. Senza sufficienti proteine, rischiava di morire solo a furia
di guarirsi!
Ma adesso era compito suo fare qualcosa –i suoi
amici non potevano fare nulla.
Un mostro fece una curva a L e gli venne addosso a
rotta di collo. Adesso!
Hrimhari saltò,
ed atterrò dritto sulla schiena della creatura,
agilmente evitando le placche sulla schiena. Un paio di antenne si torsero
verso di lui, agitandosi come fruste...e cariche di abbagliante energia!
Intanto, la creatura stava riguadagnando il ‘cielo’,
urlando. Inaspettatamente, il resto dello stormo le venne dietro.
Hrimhari aveva pensato di usare le antenne a mo’ di
redini, ma era chiaro che erano anche armi offensive...Fece del suo meglio per
schivarle, allo stesso tempo restando saldamente avvinghiato alla schiena molle
con gli artigli dei piedi.
Le orecchie gli fliccarono. Rumore! Come di una
fornace a pieno regime..!
Non si guardò neppure indietro, ma si chinò a quattro
zampe, appena in tempo per evitare due raffiche di plasma che lo
avrebbero altrimenti colpito alla schiena.
Sorrise. Andava bene! Se si fossero comportati come
squali, avrebbero ucciso il loro compagno pur di arrivare alla preda –erano
gregari, predatori, ma non assassini spietati, per questo lo stavano seguendo
tutti, per salvar*
Un’antenna gli frustò il muso. Lui guaì di riflesso,
ma scoprì di non essersi fatto niente!
Ma certo! Le antenne erano simili a quelle dei
predatori degli abissi marini, esche luminose per attrarre le prede!
“Mi dispiace, creatura,” disse il Principe Lupo,
afferrando saldamente le antenne.
La creatura urlò, subito risposta dallo stormo. Si
agitava, cercando di scuotersi il fastidioso passeggero di dosso, ma un poco
alla volta comprendeva che il solo modo per ridurre il propri fastidio era di
seguire la tensione sulle antenne. E finalmente, Hrimhari seppe dove dirigerla.
“Tenete duro, amici miei,”
Sotto la sua maschera metallica, l’Imperatore sorrise.
“Dei, perdonatemi per avere dubitato del nobile lupo, la cui specie diede forza
ai fondatori della Città Eterna. E se è stato capace di rischiare la vita per i
suoi inetti compagni, sarà mio compito forgiarli perché il Vostro dono
non vada sprecato.”
Fece un cenno.
In quell’istante, Hrimhari scomparve.
Lo stormo emise un collettivo grido, e si ritirò in
fretta verso le viscere cavernose da cui erano venuti.
In basso, Terry e Chip, seduti contro la parete di una
casa, indeboliti dalla perdita di sangue, avvertirono come un’ondata di tepore
alla schiena, insieme come a un pizzicore, mentre le ferite si rimarginavano.
“Lo dicevo...che andava male...” fece il mutante,
prima di svenire.
Episodio 7 - Il valore di un’amicizia
Cosa poteva fare?
La minuscola figura si muoveva lungo un corridoio di
tenebre a malapena illuminate da organismi fotofori. Alla sua terribile
stanchezza, si aggiungeva la sinistra disperazione istintiva di ritrovarsi al
buio, lontana dalla luce del sole e dal profumo dell’aria fresca.
Lei non apparteneva a quel mondo di tenebre
sotterranee, quell’oscurità l’avrebbe uccisa presto!
Lei era Yllyni, ed era una Faerie, una
fatina. E stava volando a memoria, in quell’incubo di caverne sotterranee.
Nonostante le dimensioni, circa una mano umana di altezza,
era una creaturina potente...Ma aveva bisogno della luce del Sole, per
esercitare al meglio il suo potere. E la maggior parte dell’energia conservata
nel suo corpo era stata quasi interamente usata per impedire la morte dei suoi
amici da una caduta altrimenti fatale[vi].
Le era venuto naturale, di orientarsi in cerca della
luce del Sole, la luce che poteva venire solo dalla stessa apertura da cui
erano giunti in queste tenebre...Ma Yllyni era debole, e i fotofori
l’ingannavano crudelmente, costringendola a perdere tempo...
Ma doveva farcela, avvertire gli altri. Ed aveva così
sonno. Ormai, persino i fotofori sembravano abbastanza caldi e vivificanti...
Roma: Capitale d’Italia.
Roma: Centro della più potente Chiesa Monoteista del
mondo.
Roma: Metropoli ostile, ipertrofica, soffocante, brillante
di gloria riflessa dal suo glorioso, lontano passato.
Roma: Nome che ancora desta meraviglia, fra i pellegrini
ed i turisti affamati di cultura. Politicamente, si suggerisce il velo pietoso.
In una stringata sintesi, questa è la città che ancora
si fregia dell’appellativo di ‘Eterna’. Ha subito guerre, invasioni, epidemie,
saccheggi...ma l’uomo della strada potrà contare sulla sua presenza, faro di
perseveranza, nei secoli a venire.
Ma cosa potrebbe pensare, l’uomo della strada, se
sapesse che al mondo c’è un’altra
Roma?
Non la capitale di una nazione, ma di un Impero.
Il Centro di un potere che non deriva dalla fede, ma
da una terribile scienza aliena.
Una metropoli meno grande, ma splendente di monumenti
marmorei nei colori immaginati oltre 2.000 anni prima.
Un nome che desta meraviglia e timore fra i forestieri
che vedono in essa un importante punto di riferimento per scambi culturali e
commerciali. Abbastanza importante, politicamente, da giustificare una guerra
per il dominio dei territori circostanti.
Una guerra segreta,
combattuta nelle viscere della terra dove Roma e i suoi nemici giacevano...
“Credevo che ci avrebbero come minimo dato in pasto ai
leoni o che...Invece, ci stanno trattando da principi. Io dico che ‘sto Augusto è ciclotimico.”
Si trovavano su un ampio terrazzo, circondati da una
serra di piante tropicali, con una vista diretta sulla nuova Città Eterna, la
Capitale dell’Impero di Caesaria. La
città occupava una specie di immensa conca naturale, sovrastata dalle ‘colline’
che erano i quattro Grandi Templi.
Oltre alle piante, un nutrito gruppo di schiave dalla pelle bruna e toga bianca
si occupavano con ogni premura dei bisogni dei tre speciali ‘ospiti’
dell’Impero.
Gli ‘ospiti’ stavano sdraiati sul ventre su soffici
strati di cuscini su lettini marmorei. L’autore di quell’apparentemente
irriverente commento era un ragazzo di pelle appena più chiara di quella delle
schiave, ed era calvo come una palla da biliardo. Terry Sorenson allungò una mano verso dei panetti al miele, e
inghiottì con un’espressione di delizia. “Ma fin quando serve questa roba,
quasi gli perdono di averci quasi fatto ammazzare.”
Una schiava pettinava i capelli castani di Chip Martin, che lanciava occhiate di
fuoco all’amico. Quello che gli bruciava di più era di sentirsi come abbandonato –per la prima volta nella
sua vita, aveva l’opportunità di vivere una vita senza l’opprimente presenza
nell’ombra di Dave, l’altra metà
della sua personalità. In qualche modo, l’Imperatore
era riuscito a rimuovere i suoi poteri mutanti, e con essi Dave.
In realtà, l’Imperatore voleva solo assicurarsi di non
avere problemi con i suoi prigionieri,
mentre presentava loro l’opportunità di combattere per lui o morire per sua
mano!
Se avessero accettato, avrebbe ridato loro i poteri. E
Chip sarebbe tornato ad essere Schizoid
Man. E non doveva succedere! Mai più!
Per qualche folle ragione di fede, l’Imperatore era
convinto che loro tre fossero giunti dalla Superficie per essere i suoi campioni contro un rivale nel
dominio del sottosuolo[vii].
Per provarlo, in un atto di logica perversa, li aveva mandati senza i loro
poteri contro dei ‘rappresentanti’ della fauna locale.
Ne erano usciti vivi solo grazie alla prontezza di Hrimhari, il Principe-Lupo di Asgard –che in quel momento, si stava
godendo i massaggi alla schiena delle ancelle. Aveva un’espressione beata,
scodinzolava e ogni tanto, appena lo tastavano su un punto sensibile, si
metteva a grugnire e agitare la gamba sinistra.
Discutere di piani di fuga era fuori discussione.
Erano guardati giorno e notte, ed erano certi che ogni loro frammento di
conversazione fosse riferito all’Imperatore…
In altre parole, bisognava pazientare, subire e
attendere il momento giusto, per darsela a gambe.
Sotto di loro, la città di Roma vibrava di attività,
tutto il contrario della città fantasma che avevano trovato al loro arrivo. La
gente si accalcava a grappoli nei mercati, camminava per le strade, facendosi
disciplinatamente da parte al passaggio di carrozze tirate da cavalli o da
soldati in armatura.
E quasi tutti si stavano dirigendo verso uno dei
Grandi Templi.
Tutto questo vedeva Hrimhari, grazie alla sua vista,
che già normalmente ben più acuta di quella umana, era ulteriormente potenziata
dalla sua natura magica.
Così come vedeva che i Romani erano esattamente gli
uomini e donne mediterranei, bassi e lontani dal modello caucasico moderno.
L’Imperatore doveva avere poteri ben più terribili di quanto avesse immaginato,
per potere ricostruire non solo una città, ma anche quel ceppo razziale vecchio
di migliaia di anni!
Le sue considerazioni furono interrotte da un suono
ritmico, metallico.
Il suono dei passi dell’Imperatore, Gaius Tiberius Augustus Agrippa, vestito
della sua armatura dorata e l’immancabile maschera metallica, decorato da un
ampio mantello scarlatto e il pennacchio pure rosso sull’elmo. Era accompagnato
da un uomo che sembrava avere molto in comune con un orco, con le sue
sopracciglia cespugliose, la stazza da montagna umana, le vene sporgenti sui
muscoli e un cipiglio di occhi d’acciaio. Puzzava di stalle di qualcos’altro
che era meglio non identificare.
“Avete riposato abbastanza,” disse l’Imperatore,
freddo come il metallo che indossava. “Siete nutriti e guariti dalle vostre
ferite per mia munifica concessione. E ora, Sorenson e Martin, voi due andrete
incontro al vostro nuovo destino. E il lanista Carius sarà la vostra guida.
“Quanto a te, nobile Hrimhari, messaggero della
volontà divina,” e qui il suo tono si era improvvisamente riscaldato di rispetto,
“Avrai l’onore di fare parte delle mie legioni per la conquista del dominio del
mio nemico.”
Hrimhari si alzò dal lettino, ed eseguì un perfetto
inchino. “Sarà il mio dovere ed il mio onore, Augusto.”
Terry e Chip rimasero al loro posto. Terry sfoggiò il
suo migliore sorriso sarcastico, e disse, “E noi, Ciccio? Con ‘sto lanicoso che ci dovremo fare? AllenamUNGH!”
terminò la frase piegandosi in due ed accasciandosi sul pavimento. Si reggeva le
tempie pulsanti dal dolore, sudore freddo imperlargli la fronte.
Dall’alto del suo potere, l’Imperatore poteva
permettersi di non mostrare ira. La sua voce era piena di disprezzo, come un
padrone con un cane da bastonare senza rimorso.
“Un tempo, avevo l’abitudine di rendere muti i Nigra come te. Non forzare la mia clemenza. Sei uno schiavo, e tale
rimarrai…fino a quando non avrai conquistato la tua libertà nell’unico modo da
me concesso. Nell’arena.”
A quel punto, l’Imperatore sembrò accorgersi del tremante
Chip, che non osava fiatare. “Ho visto i martiri Cristiani mostrare più
coraggio di te, giovane. Ma visto che il lupo garantisce per te, avrai la
stessa opportunità del tuo amico. Lanista, provvedi a che siano pronti per i
Giochi. Seguimi, Hrimhari.”
I due giovani videro l’Imperatore e l’Asgardiano
allontanarsi, un attimo prima che la figura di Carius si parasse loro davanti.
L’omone emise un grugnito, e fece loro cenno di seguirlo. Chip appariva
rassegnato al suo destino, mentre Terry si chiedeva se il suo peloso amico non
fosse caduto sotto una qualche influenza mentale. docile com’era
diventato…Sicuramente, non avrebbe deciso di sacrificare loro due per salvarsi
la vita. Vero..?
“Ammetto di essere curioso, Augusto,” disse Hrimhari,
mentre procedevano lungo un corridoio corredato di busti degli illustri
predecessori dell’Imperatore. “Possiedi un potere di per sé divino. Perché hai
invocato gli Dei, per venire aiutato nella tua impresa?”
Continuando a guardare davanti a sé, l’Imperatore
disse, “Per un certo periodo, io stesso ho creduto di possedere un potere di
origine divina…Ma non era così.
“Acquisii il mio potere sottraendolo, insieme alla sua
vita, a una creatura venuta dalle stelle lontane. Ma, come Icaro che pagò con
la vita la sua presunzione di raggiungere il Sole, io pagai la presunzione di
gestire il potere con la mia sanità mentale.
“Nella mia convinzione di ricostruire la gloria di
Roma, creai poco più di un macabro simulacro, abitato da selvaggi muti che osai
definire ‘Cittadini’. Peggio ancora, ero così vanaglorioso da credermi
invincibile –e una straniera, una donna,
riuscì a sconfiggermi con irrisoria facilità.
“Ma da allora sono maturato, ho studiato le gesta dei
miei predecessori, e ne ho messo a frutto la saggezza. Il legionario ignorante
che ero un tempo non è più. E quando avrò annientato lo stolto che mi si
oppone, Roma diventerà il nuovo centro del mondo sotterraneo.
“E quando il mio regno sarà effettivamente
invincibile, mi muoverò alla conquista della superficie. La Gloria di Roma
tornerà a splendere legittimamente sotto il Sole che la vide nascere.”
“Stai scherzando, vero? No, non stai scherzando.”
Sotto lo sguardo implacabile del lanista, Chip e Terry
si misero le mezze armature da gladiatore; di fatto, per quanto pittoresche, quelle
tenute erano fatte solo per colpire l’occhio. Bastava colpire le gambe scoperte
nel punto giusto e zac, servito e dissanguato!
Erano stati degradati al rango di agnelli sacrificali,
e lo sapevano. Fra loro due, Chip era il solo ad avere studiato a sufficienza
da sapere quanto sanguinari fossero i giochi romani, la forma più estrema di
catarsi collettiva.
Quando ebbero finito di vestirsi, almeno non
sembravano dei manichini, anche se si sentivano comparse a un remake di Spartacus.
La loro vita li aveva aiutati a mantenere un certo tono muscolare. Chip era
armato con un tridente e una rete, Terry con spada e scudo.
Il lanista indicò la porta ad arco. I due vi si
avviarono.
Quando l’ebbero attraversata, si trovarono in
un’arena. Il fondo non era coperto di sabbia o paglia, ma di scivolosa e
acuminata ghiaia che ti scricchiolava sotto gli stivali. Cadere qui,
significava andare incontro a una serie di brutte ferite!
Non che al pubblico sarebbe interessato. La tensione
nelle tribune era alle stelle, le urla della folla eccitata fuse in un unico,
rabbioso coro.
Hrimhari sedeva accanto al folle Imperatore, cercando
di ignorare la sensazione di venire sommerso da quell’ondata di pura emozione.
Doveva concentrarsi, approfittare di quei momenti in cui
Augusto era concentrato sulla sua audience per cercare di comprendere la
verità –perché un essere così potente aveva bisogno anche di un solo
estraneo, per combattere contro un nemico che richiedeva un esercito?
Perché un essere di tale potenza non era in grado di
eliminare una minima minaccia come quegli ‘mostri’ volanti che Hrimhari, armato
del solo proprio corpo, era riuscito a gestire?
Se l’Imperatore aveva pensato di avere bisogno di Chip
e Terry, perché sacrificarli, adesso..?
Lo stadio sembrò improvvisamente esplodere,
quando altre porte ad arco si aprirono, e nuovi gladiatori ne usci... –no, non
gladiatori. Non quelle due cose ruggenti!
Chiamarli ‘mostri’ sarebbe stato un bel complimento!
Creature dalla pelle di pietra, i musi irti di zanne, gli artigli di diamante,
erano provviste all’altezza dell’addome di quattro braccia snodate simili a
quelle di un ragno, terminanti in punte acuminate.
Le creature erano visibilmente prive di occhi, ma non
sembravano avere problemi nel tenere sott’occhio le loro prede con una
determinazione inequivocabile!
“Mammina,” fece Terry, lanciando una rapida occhiata
alla spada, che sarebbe potuta benissimo essere uno stuzzicadenti! “Chip,
stammi accanto e fai esattamente quello che ti dico...” Ma, accanto a lui, Chip
scuoteva la testa, ancora incapace di accettare la realtà della situazione, il
volto rigato dalle lacrime. Mormorava qualcosa a sé stesso, e Terry fu sicuro
di sentire almeno una volta il nome di Dave –Dio, Dave, se puoi, vieni fuori
di lì subito! Pensò Terry, mentre le creature avanzavano,
a testa bassa, sicure di sé, assaporando il pasto imminente...
La folla urlò ancora più
forte.
Improvvisamente, Hrimhari capì il perché di quella farsa!
Lui doveva fare uno sforzo fisico per non essere travolto dall’empatia degli spettatori,
mentre accanto a lui l’Imperatore, in piedi, le braccia distese ad abbracciare
i suoi sudditi, era come un vuoto vivente, un buco nero che di quelle emozioni
violente si stava nutrendo!
Come ogni lupo, Hrimhari
era altresì capace di vedere l’aura del Pr’Ana, il ‘Mana’. E quella dell’Imperatore stava
diventando sempre più luminosa ad ogni secondo..!
I mostri spalancarono la
bocca e saltarono! All’unisono, ognuno contro un bersaglio.
Terry riuscì, all’ultimo
secondo, a spingere via Chip e a saltare di lato a sua volta. Un braccio
snodato quasi gli troncò un braccio.
Terry agì per pura
disperazione, e piantò la spada nel cranio della creatura...almeno, ci provò,
perché la lama si spezzò
come vetro sulla carne di pietra!
I mostri si prepararono a
sferrare il colpo di grazia.
L’Imperatore poteva anche
sembrare indifeso e a tiro dei suoi artigli, ma poteva benissimo trovarsi nel
più lontano dei Nove Mondi! Hrimhari non poteva neppure passare alla sua ‘forma
estrema’, e senza di essa non poteva penetrare l’armatura. Era impotente!
Come ebbe solo pensato
quelle parole, successero due cose allo stesso tempo!
“Arrivo, mamma,” disse
Terry, mentre il braccio snodato calava su di lui –almeno, non avrebbe dato a
quel mostro decerebrato la soddisfazione di tremare di paura...
Un raggio di luce
abbagliante, da dietro il mostro, falciò quel braccio come uno stelo d’erba!
Con la coda dell’occhio, il giovane afroamericano vide Chip salvato dal proprio
fato, mentre un altro raggio inceneriva il corpo del suo mostro dal bacino in
giù!
“Tutto bene, laggiù?” fece Capitan Ultra, dalla sua posizione a
mezz’aria! “E scusate il ritardo!”
L’istante successivo, più
veloce dell’occhio, Ultra si gettò addosso al mostro ‘dimezzato’, e afferrò uno
dei suoi bracci articolati. Potenziato dalla propria ultra-forza, lanciò il
mostro contro il suo simile,
mandandoli entrambi a
sbattere contro la fiancata dell’arena! All’impatto, le creature finirono in
inerti briciole di ghiaia.
L’ira della folla cessò di essere
come una candela improvvisamente privata dell’ossigeno. Fra gli spalti, fu
tutta un’esclamazione di sorpresa mista a borbottii confusi. L’animale-folla
era stato abbattuto.
Tuttavia, non fu quel
brusco cambio di umore collettivo, a sorprendere l’Imperatore...
...Quanto la curva lama di
una Katana che gli spuntava dal
cuore! “Questo...è...assurdo...” borbottava l’Imperatore, che non poteva vedere
il Ninja
Bianco in
modalità ‘invisibile’!
Hrimhari ne approfittò per
attaccare! Saltò addosso all’Imperatore, e la maschera metallica. Tirò con
forza...e non successe nulla!
In compenso, l’atto fu
sufficiente a scuotere l’Imperatore dal suo trance! Afferrò Hrimhari per la
gola come se pesasse niente. “Miserabile animale! Ma credevi veramente che
qualcuno potesse ripetere questo ridicolo espediente con me?!”
Hrimhari sferrò un calcio,
assicurandosi di colpire con gli artigli l’addome dell’essere, solo per vedere
nient’altro che qualche scintilla lasciata dal contatto! E intanto, già
cominciava a vedere le prime ‘stelle’...se non fosse stato per la sua forza,
sarebbe già morto..!
Un sibilo, e la lama
energizzata della Katana tranciò di netto il braccio corazzato all’altezza del
gomito!
Hrimhari cadde a terra,
tossendo, mentre il Ninja Bianco proseguiva l’attacco, con un fendente
orizzontale all’altezza della gola!
L’Imperatore puntò il
braccio amputato, parte di un’armatura vuota, e un getto di energia colpì in pieno il
mutante orientale!
“Patetico,” fece l’essere,
ignorando il braccio caduto. Un atto di volontà, e un braccio nuovo apparve al
proprio posto!
Solo a quel punto,
l’Imperatore si accorse di stare guardando non al cadavere annerito del
nemico...ma a un pezzo di legno!
Subito dopo, un potente
getto di energia Ultra lo investì in pieno!
Prima che potesse rialzarsi,
una mano colorata afferrò la sua armatura per il collo, piegando il metallo
come tessuto. Ultra lo gettò nell’arena, dove l’impatto con la ghiaia generò
una scia di scintille. Ultra lo seguì al volo.
La folla era nuovamente in
delirio, invocando ripetutamente il nome dell’Imperatore con toni esaltati!
Lo stesso Augusto sembrò
rianimarsi di fronte a quella manifestazione. L’armatura brillò, e tornò come
nuova. Un paio di gesti, e l’essere si liberò dell’elmo e del mantello. “La
loro devozione mi rinforza, come vedi. Fra poco, mi implorerai di risparmiarti,
come il tuo debole amico ha già inutilmente fatto.”
“Perché non ci lasci andare
e basta, invece?” chiese Ultra. “Qualunque piano tu avessi in mente per i miei
amici è fallito, non costringermi a usare le maniere forti!”
In risposta, l’Imperatore
tese una mano verso l’eroe...e non successe niente!
Ultra chinò la testa di
lato, incuriosito.
Ripetizione del gesto, con
sfarfallio della mano. Nisba.
“..?”
Doppio braccio teso, pugni
contratti! Nix.
Ultra sbadigliò.
“Non è possibile! Il mio
potere supremo non mi ha mai deluso!”
“C’è una prima volta per
tutto, lingottino!” e detto ciò, Ultra gli appioppò un gancio da demolire un
muro! Di fatto, l’Imperatore volò fino all’altro lato dell’arena!
Assordato da una folla
isterica, Ultra fu raggiunto da Chip e Terry. “Ma come diavolo hai fatto?”
chiese Terry, quasi urlando per farsi sentire. “A noi ha spento i poteri come
lampadine!”
Ultra annuì. “Allora, lo
costringerò a riaccenderli. Lasciate questo gioco a papà, bambini!” Detto
fatto, si gettò a tutta velocità contro il nemico, il pugno già pronto...
Capitan Ultra non coprì la
metà della distanza, che si manifestò il familiare bagliore dorato. Subito
dopo, una specie di barriera arrestò bruscamente il suo volo! Una barriera che
all’impatto non si infranse, ma si avvolse tutt’intorno a lui, come...un...ameba!
Fregato!
L’Imperatore si avvicinò.
“La farsa è durata abbastanza, terrestre! Ora, guarda!” Fece un cenno.
Il suolo accanto a Chip e Terry
sembrò prendere vita, mentre assumeva la familiare forma dei mostri di pietra.
L’alieno fissò Ultra. “Se
sei abbastanza potente da resistere al mio effetto nullificatore, lo sarai
abbastanza per quello che ho in mente per te. Ora, giurami fedeltà incondizionata
o ucciderò i tuoi inutili compagni adesso!”
Hrimhari seguì lo scontro
non solo con gli occhi, ma anche con le sue raffinatissime orecchie, non
perdendosi una parola del vanaglorioso Imperatore...E, finalmente, l’atteso,
preziosissimo indizio arrivò!
Aveva una mezza idea, ma
doveva chiedere conferma...Il mezzolupo si rivolse al Ninja, che si limitava ad
osservare, al solito impassibile. “Presto. Sai come ha fatto Ultra, ad avere i
suoi poteri?”
“Gli sono stati donati da
una razza aliena.” Telegrafico. Sufficiente!
Hrimhari saltò nell’arena,
finalmente conscio di non avere mai perso i suoi poteri!
Come provò la sua
trasformazione nella ‘forma estrema’ –200 Kg di pura furia e muscoli densi come
il ferro, zanne e artigli capaci di spezzare gli incantesimi oltre che
l’acciaio!
Ringhiando, Hrimhari
atterrò esattamente dietro ai due mostri di pietra. Quelli si voltarono,
preparandosi a contrattaccare...
Non furono abbastanza
veloci! Per loro, bastò un singolo colpo inferto come una sciabolata, e si disintegrarono...
...Per riformarsi l’istante
successivo.
Non c’era timore, nel cuore
del Principe, ma solo furia primordiale –era giunto su Midgard, la Terra, sfuggito per un
soffio all’eccidio portato dal maledetto Seth e le sue orde[viii].
Asgard la Magnifica era perduta; persino il legame mistico con la sua terra era
stato troncato. Qualunque cosa fosse successa, non aveva modo di conoscerne il
fato, che doveva essere stato terribile! E da quel giorno, Hrimhari non aveva
ancora avuto modo di sfogare la terribile ira che bruciava in lui.
Fino ad ora. E i mostri di pietra cadevano altrettanto
velocemente di quanto si formassero.
Il che tendeva a generare un ovvio problema.
L’Imperatore aveva ancora abbastanza energie per mantenere il suo ‘esercito’ a
pieni effettivi.
Hrimhari stava invece esaurendo le forze, per quella
modalità concepita per un uso a breve termine!
Era solo una sua impressione, o l’alieno d’oro
sembrava stare vacillando?
Ultra guardò verso gli spalti. Oi, la folla era
meno entusiasta. Di fatto, l’intera prima fila era semisprofondata in uno stato
di letargia!
L’eroe ebreo guardò verso l’Imperatore. A questo
punto, o la va o la spacca...
La visiera azzurra si illuminò, prima di emettere
energia Ultra a piena potenza! La ‘bolla’ teneva, come c’era da immaginare, ma
si deformava.
L’Imperatore, com’era altrettanto prevedibile, si
distrasse per contenere l’inaspettata eruzione di energia. Col solo risultato
di spingere Ultra a ingranare la 5°. Tale potenza raggiunse la sua emissione,
che l’intera testa sembrò andare a fuoco!
Il bello era che Ultra non aveva mai dato fondo alle
sue riserve –era sempre stato sicuro, e temeva, di potere distruggere una
città, con tutto quel potere scatenato. Una riprova di ciò fu che di colpo ogni
singolo spettatore cadde in stato apatico o privo di sensi, la sua mente prosciugata
fino al collasso.
“No...Non così vicino...” mormorò l’Imperatore, un
attimo prima di venire colpito da un potente colpo di energia!
La ‘bolla’ era stata infranta così repentinamente, che
Ultra non poté impedire che il colpo investisse l’alieno, di fatto facendo a
pezzi il suo corpo!
Cosa l’eroe si fosse a quel punto aspettato, rimase
deluso. Sì, vide i mostri di pietra sbriciolarsi, ma niente di più.
Il silenzio tornò padrone, e Roma era ancora in piedi
–a proposito dei quali, Ultra vide che solo pochi frammenti di armatura erano
rimasti a terra a testimonianza del suo nemico...E l’eroe si sentì intristito
da quei miseri resti.
Era giunto perché Yllyni lo aveva avvertito, e lui si
era precipitato, ritrovando i suoi amici grazie ai posizionatori dei
comunicatori subcutanei. Si era precipitato in quella lotta per salvare i suoi
amici, non per sterminare chicchessia...Non senza una ragione. Una molto
valida. E persino la pazzia non...
“NO!”
Voltò la testa di scatto, a quel grido carico di
angoscia, di paura...
E fece in tempo a vedere Chip inginocchiato a terra,
in preda ai tremori, stringersi come in preda a un terribile dolore. “No...Non di
nuovo, non voglio andare via...Ti prego...” e subito, si rispose con la voce
aggressiva e determinata di Dave, “Ma taci, bamboccio viziato! Dipendesse da
te, saremmo morti e sepolti. E io, alla buccia, ci tengo.”
Quando smise di tremare, il giovane si alzò in piedi,
e il suo corpo era per metà coperto di nero/blu, l’impronta di Schizoid Man.
“Qualcosa da ridire, caffè?” fece a Terry. “Scusami tanto, se sono stato
‘spento’ contro la mia volontà!”
Terry, ora nuovamente Equinox, l’Uomo Termodinamico,
fece spallucce. “Oh, niente, pensavo solo alla cavalleria e robe del genere, di
quelle che...”
“Non è colpa sua,” disse
Hrimhari. “Tardivamente, ho compreso che il potere dell’Imperatore agisce sulle
mutazioni, che siano avvenute per
eredità o per accidente. Il mio potere venne concesso da Odino in persona, come quello
del Capitano fu dono di una razza di gente delle stelle lontane. L’Imperatore
mi ingannò per farmi credere di essere debole, ma solo finquando la sua
persuasione occludeva il mio spirito. Allo stesso modo, il potere di Dave era
stato negato dalla preponderanza di Chip imposta dall’Imperatore.”
Tre paia di occhi fissarono
il mezzolupo con sommo stupore. “Un momento solo,” disse Schizoid Man, “Vuoi
dire che il mio potere non è di origine...”
“Qualunque cosa voglia
dire,” intervenne Cap, “ne discuteremo dopo essere usciti da questa specie di
parco a tema...Oh, quasi dimenticavo, Principe: Yllyni sta bene, solo...”
Hrimhari annuì. “Questo lo
sapevo già, amico mio. Speravo infatti che ce la facesse, quando si è
allontanata per cercare te e il Ninja.”
Al nome, Cap si fece cupo
–già, il Ninja e Robert...Doveva fare quattro chiacchiere, con quei due
furboni, sulla fretta di lasciare un compagno nei gua*”
Nessuno andrà via di qui!
La voce rimbombò per l’intera
caverna. La voce dell’Imperatore!
Veniva da ovunque, come se
un immenso fantasma aleggiasse sopra Roma. Nessuno
lascerà il mio Impero, senza il mio permesso! E voi non andrete via, senza
avere portato a termine il compito che ho per voi, terrestri!
Episodio 8 - Fra incudine e martello
Prendete un gruppo improbabile, composto di:
-
Un ebreo, forse non molto ortodosso, ma
dotato di un grande potere e privo della necessaria esperienza per gestirlo
appieno.
-
Un mutante dalla duplice personalità,
giovane, intossicato da farmaci sperimentali fin dalla prima infanzia.
-
Un altro mutante,
un dichiarato mercenario abituato a
fare i lavori ‘sporchi’, e poco socievole.
-
Un altro giovane
mutato, risultato di un bizzarro incidente di laboratorio, dall’infanzia a dir
poco difficile e nel cui curriculum spiccano furto con scasso e diversi
istituti psichiatrici.
-
Un lupo mutaforma, un Principe fra la sua
gente, una creatura benedetta dal grande Odino
in persona e spinto dai più nobili ideali del suo mondo, Asgard.
Ora, considerate che questa formazione, definita dei Campioni, 1) ha ben poca esperienza come
gruppo e 2) si trova adesso a gestire una situazione che spaventerebbe persino
professionisti come i Fantastici 4,
che a loro tempo quasi furono sconfitti dall’entità che ora questi neofiti
stavano affrontando...
“Nessuno lascerà il mio
Impero, senza il mio permesso! E voi non andrete via, senza avere portato a
termine il compito che ho per voi, terrestri!”
La rabbiosa voce risuonava ovunque, con una intensità
da rendere sordi, nella immensa caverna naturale che ospitava la favolosa città
di Roma, capitale di un nuovo Impero
sotterraneo. La voce discorporata di colui che si autoproclamava l'Imperatore…
“’Terrestri’?” fece Equinox, l’Uomo Termodinamico. “Ciccio è diventato un megalomane, o
è solo una mia impressione?”
“Potrebbe esserci un’altra risposta,” disse Hrimhari, rivolgendosi al resto del
gruppo, tenendo le orecchie di lupo appiattite sul cranio per non essere
assordato. “Ho avuto modo di notare che l’aura di Augustus, durante il nostro scontro con lui, era…instabile, come se
al suo posto, ogni tanto, apparisse qualcun altro. Invero, solo una volta ho
assistito a qualcosa di simile, ed è stato quando Danielle Moonstar è stata posseduta da una Valchiria e da un demone[ix].”
Schizoid Man si fece avanti, gonfiando il petto, poi si rivolse
all’aria, “OK, grand’uomo. Dicci cosa vuoi e facciamola finita! E vedi di non
fare il furbo: se c’è uno qui che se ne intende di personalità multiple, sono
io!”
In risposta, tutti e cinque i super-esseri caddero in
ginocchio, le mani premute contro le tempie, i volti contratti dall’agonia!
Un momento dopo, la pressione cerebrale cessò. Le
orecchie di Hrimhari fliccarono in direzione di un nuovo suono: passi, passi di
piedi calzati di sandalo sulla ghiaia dell’arena.
Gli spettatori, che fino a pochi minuti prima avevano
esaltato e nutrito l’Imperatore col proprio tifo e le proprie emozioni, erano
ancora inconsci, immersi in uno stato semicomatoso, svuotati di quasi ogni
energia. Era come se un bioterrorista fosse riuscito a spargere i propri semi
di morte, era uno spettacolo agghiacciante.
Eppure, uno di quegli spettatori era cosciente, e
avanzava con passo fermo e sicuro. Giunto davanti al gruppo, rivolse loro uno sguardo
lucido e intenso. “Come potete vedere, terrestri, non sono del tutto indifeso,
nonostante le limitazioni del mio corrente stato.
“Il mio nome non ha importanza, in quanto per i membri
della mia specie, gli Zeloti, si
tratta di inutili formalità.”
“Complimenti,” fece Equinox, massaggiandosi una
tempia. “E chi sarebbero questi ‘Zeloti’? Sembra una marca di auto.”
L’uomo, che non si poteva certo definire imponente
–era robusto, forte, ma basso come un suo connazionale della vecchia, vera
Roma- fece una smorfia. “Porta rispetto, terrestre, o potrei decidere di non
lasciarvi vivere, una volta terminato il vostro compito.”
“E di cosa si tratterebbe?” chiese Capitan Ultra, avvicinandosigli.
L’uomo annuì.
“Seguitemi.”
Tutti gli indicatori erano sul verde. La ricarica
delle batterie solari era completa, quella delle nucleari al 99.3%. Il
carburante nelle Armi a Propulsione oltre la metà. Il Gruppo a Propulsione
Fotonica avrebbe potuto portarlo ancora in Europa. Il numero dei missili
disponibili sufficiente a buttare giù la Kennedy.
A un movimento della fronte, il visore si sollevò. Robert Takiguchi guardò dalla cabina del
Light Falcon verso il buco nel
terreno, 30 metri in basso.
Attraverso quella finestra naturale, stava una
trappola che aveva già inghiottito cinque dei suoi compagni d’arme. E lui se ne
stava lì a guardare –no, non a guardare, ma ad obbedire agli ordini!
E gli ordini erano di impedire che un’arma unica come
il super-robot Mazinkaiser finisse
nelle mani sbagliate, quando il suo compito era di vigilare non solo sullo
Zilnawa, ma anche sulla riuscita del Progetto
Exodus…
Sulla spalla sinistra di Robert, stava seduta una
creaturina saltata fuori dritta da una fiaba: una faerie, una fatina, una minuscola donna alta 15 centimetri, dalle
ali di libellula e permanentemente avvolta da una delicata spolverata di
scintille.
Yllyni era stata la prima a riemergere da quel buco, più di
24 ore fa. La sua presenza era stata prova sufficiente per escludere che la
‘barriera oscura’ in fondo alla caverna naturale dietro al foro fosse una
distorsione spaziotemporale.
Il problema era che anche Capitan Ultra e il Ninja Bianco (quest’ultimo
‘amichevolmente’ persuaso), una volta infilatisi in quel budello, non ne erano
ancora tornati. E Ultra era un pezzo da 90, anche se un dilettante.
Mazinkaiser poteva essere armato come un fortezza
ambulante, ma se fosse rimasto intrappolato a sua volta…
Robert strinse i denti. Tante domande, tanti ‘se’…In
fondo, lui era stato addestrato per correre rischi, Cristo! L’intero gruppo era destinato ad azioni
pericolose, non a passeggiate!
Robert scambiò una breve occhiata con Yllyni. Lei da
sola non ce l’avrebbe fatta, questo era chiaro. Solo il giungere alla
superficie l’aveva quasi uccisa…
Il giovane
pilota Giapponese non avrebbe mai voluto deludere il Professor Giapeto, l’uomo che aveva dato un nuovo, vero scopo alla
sua vita, questo era certo…
Di tutt’altro avviso era la figura maschile intenta
allo schermo che inquadrava il super-robot.
L’uomo era l’incarnazione della perfezione militare,
un esemplare degno del sogno Ariano, con il volto squadrato dai capelli biondi
a spazzola e lunghi posteriormente in un codino simile a uno scudiscio, occhi
grigio metallico e naso patrizio. La sua uniforme era un misto di stile civile
da pirata e kaki militare.
Maximillian Von Staar, in piedi al centro della sala comando, era pensoso.
Una finestra dello schermo mostrava quello che, ufficialmente, si trovava sotto
i piedi del Mazinkaiser. E a parte una vasta caverna sotterranea, priva di
minerali e inutilizzabile come base sotterranea, non c’era proprio nulla che
potesse spingere quei paranormali a un simile comportamento...
Von Staar sorrise, un sorriso sinistro con le sole
labbra. Comunque fosse, era almeno un’ottima occasione per sbarazzarsi di quasi
tutto il resto di quei ‘Campioni’..! “Armamenti. Se le Sentinelle Hyrgan
e Devaston sono pronte, attivatele. Bersaglio, Mazinkaiser.”
Von Staar
credeva nell’efficacia di una strategia semplice. In questo caso, tenere
impegnato Mazinkaiser, mentre il gruppo veniva decapitato.
Ancora una volta, si ritrovarono nella sala dei
ricevimenti dell’Imperatore. Le guardie e l’intero personale si erano mostrati
deferenti nei confronti del ‘cittadino Romano’ come se avesse indosso la sua ormai
distrutta armatura dorata.
Il gruppo procedette fino in fondo alla sala, dove
un’intera parete era occupata da una carta del globo assolutamente perfetta in
ogni dettaglio.
L’Imperatore toccò un quadrato cristallino sotto la
mappa. Un cursore puntiforme scorse fino alla zona Sudafricana dove si
trovavano in quel momento. “Qui. Non molto distante, fra queste maledette
caverne, è sepolta l’astronave con la
quale giunsi su questo maledetto pianeta centinaia di rivoluzioni fa.
“Era una missione semplice: verificare l’idoneità di
questo mondo alla colonizzazione. Il primo incontro con dei locali della più
potente ‘civiltà’” quasi la sputò, quella parola, “si era risolto con la loro
eliminazione…Eppure, nonostante il mio potere, i miei superiori mezzi, il mio
corpo ospite fu facilmente ucciso da una lama del più vile acciaio.
“Come previsto in una simile situazione, usai la
tecnologia dell’elmo che conteneva la mia essenza per spingere quel selvaggio a
divenire il mio nuovo ospite…Purtroppo, fu un errore: quel terrestre era uno
dei vostri mutanti, e la sua volontà
era tale da riuscire a sopraffare la mia. I sistemi di sicurezza dell’elmo
causarono una stasi, che perlomeno impedì all’idiota di fare ulteriori danni.
Il computer di bordo portò il mio veicolo al sicuro, in attesa del mio
risveglio.
“Ma ancora una volta, la sorte mi fu sfavorevole.
Quest’area geografica era popolata da
una specie ominide geneticamente deviante, ed essi ebbero ragione delle difese
esterne della nave. La nave, avendo ancora il dovere di difendermi, nonostante
la mia condizione, svegliò il mio ospite, e gli insegnò il modo di usare i
poteri acquisiti, e i devianti furono messi in fuga.
“Da quel momento, il terrestre utilizzò il mio potere per ricostruire la ‘gloria’
di Roma, per fare rivivere il suo ridicolo sogno. Persino la sua prima
discorporazione non fu sufficiente a vincere la sua volontà. Quando la nave
recuperò l’elmo, ero ancora prigioniero…Fino ad oggi. E la mia gratitudine non
è poca cosa, terrestri.”
L’uomo si voltò di nuovo verso la mappa. “La nave non
è molto distante da qui. I soldati che l’’Imperatore’ ha mandato per
recuperarla sono stati regolarmente annientati. Ho faticato non poco per
convincerlo subliminalmente a non esporsi personalmente, spingendo sulle sue
paranoie di una possibile invasione.
“Se voi riuscirete dove lui ha fallito, vi indicherò
il modo per uscire di qui, in pace, liberi di portare via questi inutili
primitivi con voi. E non sentirete più parlare di me o del mio popolo.” E su
questo, era assolutamente sincero! Attraverso la nave, aveva imparato
abbastanza sui super-esseri di questo pianeta da evitare un qualunque confronto
diretto…Questa gente era stata capace di respingere due esseri come Galactus e la Fenice. L’intero pianeta Terra avrebbe dovuto essere perfettamente
isolato, non conquistato, e non avrebbe certo raccomandato gli Zeloti per un
simile incarico, nel suo rapporto!
I cinque si
scambiarono una rapida occhiata. Alla fine, l’idea aveva funzionato –il pollo
si era sbottonato, e sapevano cosa fare. Avrebbero naturalmente potuto
andarsene dal momento in cui era chiaro che la strana ‘barriera’ nera che
nascondeva Roma non era un ostacolo invalicabile. Di aiutare quell’alieno non
avrebbe potuto importar loro di meno, ma di salvare quelle migliaia di
innocenti era un altro paio di maniche. E, una volta giunti a bordo della nave,
avrebbero potuto, con un po’ di fortuna, contattare Robert...
“Hai deciso?” fece Yllyni, che finalmente aveva
recuperato tutte le sue forze. “Perché se non ci vai tu, la sotto, ci andrò io.”
Robert scosse mestamente la testa. Alla fine, non poteva.
Le conseguenze potevano essere tali da risultare in ben più di un gruppo di paranormali
perduto, molto di più..!
La Faerie emise un trillo secco, le sue luci corporee
intensificate fino all’abbaglio. Fece per uscire dalla cabina di guida...un
attimo prima che la cabina stessa venisse scossa come sotto un terremoto! Allo
stesso tempo, il suono di un’esplosione rimbombò assordante.
Robert reagì meccanicamente. Abbassò la visiera, e diede
vita a Mazinkaiser,
che era sotto l’attacco di due Supersentinelle
volanti! Due modelli corazzati in modo elaborato, che solo vagamente
ricordavano le macchine antimutanti prodotte in serie. Persino i loro volti
erano più morbidi, ‘umani’.
Uno, disegnato come una femmina, lanciò da un’unità
sulla schiena una serie di missili rotanti contro l’apertura della caverna. In
sequenza, le armi trasformarono quella che era un’apertura sufficiente per
un’utilitaria in un varco adeguato al robot nemico.
Prima che la SS Hyrgan entrasse nell’apertura verso
cui era diretta, Mazinkaiser levò il braccio destro. “Turbos...Ehi!”
Si trovò bloccato da un viluppo di catene!
Un attimo dopo, violente scariche elettriche saettarono
lungo le catene. La SS Devaston tirò a sé il robot delle FSDN Zilnawane.
Spalancò una bocca irta di zanne, e ne espulse un soffio di plasma.
La testa di Mazinkaiser ne fu avvolta, e la cabina del
Light Falcon sarebbe stata distrutta sull’istante, non fosse stato per la
corazzatura in Starlega. L’urlo di dolore che emise non era,
apparentemente, giustificato,
non fosse, però, che Robert era legato psichicamente
alla macchina, avvertendo ondate di dolore ad ogni colpo come fosse stato il
suo corpo ad essere attaccato! Una misura purtroppo indispensabile per impedire
che il pilota spingesse il Mazinkaiser oltre i limiti causati da un danno
serio. O che potesse causare danni a forza di spingere.
Per conto suo, Yllyni, non costretta dagli stessi
vincoli, non perse tempo e uscì dalla cabina fasando attraverso la calotta.
Una volta fuori, considerò le sue opzioni. Ci mise
poco –il suo Principe veniva prima, naturalmente. Che quell’arrogante guerriero
Midgardiano se la cavasse da solo!
Si trasformò in un raggio di luce, e si gettò dietro
alla Hyrgan.
Robert serrò i denti –decisamente non aveva voglia di
verificare i limiti di resistenza della Starlega, no!
Si concentrò, i muscoli contrarsi di riflesso nei
movimenti che doveva solo immaginare...
Mazinkaiser afferrò le catene...E diede un violento
strattone! Devaston, che decisamente non si aspettava un simile sviluppo, fu
trascinato in avanti come un giocattolo! Il suo flusso di plasma andò
completamente fuori traiettoria.
“Fire Blaster!” Le piastre pettorali
scarlatte brillarono per un attimo di luce bianca, mentre le microunità
cristalline che le coprivano convogliavano l’energia delle batterie pettorali.
Un attimo dopo, un unico fascio scarlatto
investì in pieno Devaston.
Il robot, vedendo il brillare pettorale, si era già preparato, e quando il
fascio laser/termico colpì, a soffrirne fu la metà inferiore del corpo,
che fu consumata come una palla di neve all’inferno, trasformandosi quasi
istantaneamente in una poltiglia rovente.
Spinta da potenti razzi alla
schiena, la parte superiore della SS spalancò il petto e ne espulse una raffica
di missili!
Mazinkaiser cercò di evitarli, ma si trovò di nuovo bloccato dalle
catene, dalle quali non si era ancora liberato! E fu colpito in pieno.
Hyrgan, come prevedibile,
era ferma davanti alla barriera nera. E per quanto i suoi sensori si
sforzassero su ogni frequenza conosciuta, non ne riceveva che un’immagine di nulla.
La Supersentinella non era
strutturata per considerare la luce una minaccia, non se la luce in questione
era su una frequenza innocua. Di conseguenza, quando la sfera luminosa fasò
all’interno della sua schiena, non scattò nessun allarme.
Finalmente, giunse il comando, e Hyrgan scattò in avanti.
Capitan Ultra ringraziò
mentalmente i localizzatori inseriti nei costumi (e nella cute di Hrimhari), o
non avrebbe mai potuto trovare i suoi compagni in quel labirinto sotterraneo!
Il gruppo volava per
l’immenso network sotterraneo, orientandosi alla luce dei fotofori naturali e
seguendo la strada realizzata dall’Imperatore. Hrimhari e Schizoid Man stavano
in piedi su una ‘manta’ di energia psichica generata dal mutante. Ultra ed
Equinox volavano autonomamente, fianco a fianco. Sulla strada, a intervalli
regolari, come un’illusione, appariva la figura del Ninja Bianco in corsa.
La strada si snodava come
un’oasi serpentina su un fondo irregolare irto di stalattiti. Le stesse
stalagmiti che pendevano dal soffitto costituivano un ostacolo non
insignificante, soprattutto visto che molte di esse andavano a fondersi con le
stalattiti in solidissime colonne...
Improvvisamente, la strada
si interruppe, tagliata da un’invisibile mannaia. Solo i resti del cantiere
restavano a muta testimonianza della vanità degli sforzi Romani.
Il gruppo si fermò su quel confine.
“Io dico che siamo vicini,” disse Equinox. “Voglio dire, abbiamo fatto almeno
10 chilometri, e non c’è altra ragione perché si interrompa proprio qui,
right?”
“E credo anche di sapere chi
sia il responsabile,” disse Hrimhari, annusando prima il pavimento e poi
l’aria. Istintivamente, la sua criniera si era leggermente sollevata. “Questo è
lo stesso odore delle creature che ci hanno attaccato la prima volta che siamo
giunti a Roma[x].
Ed è presente ovunque; il loro nido è invero vicino.”
“Che bello,” fece Schizoid
Man. “Capitano tutte a noi. Perché diavolo poi dovrebbero dei mostri volanti
nidificare vicino a un’astronave aliena...”
“Lo scopriremo presto,”
disse Cap, attivando l’Ultravisione. Adesso, dietro un angolo, vedeva come un
faro le emissioni radioattive della nave –e capì che c’era qualcosa che non andava.
Fosse dipeso da lui, si sarebbe assicurato di avere il sistema di
alimentazione, il serbatoio o qualunque altra cavolo di cosa ci volesse su un
vascello alieno, ben schermato, non a perdere energia in quel modo.
“Cap..?”
Non badò neppure a Equinox,
continuando a osservare la ‘perdita’, e di come i fotofori
sembrassero...assorbire...Ma certo! I microrganismi erano stati mutati
da quelle radiazioni! Ecco perché erano così potenti in confronto ai loro
‘fratelli’ più in alto!
“Cap?”
“Cosa?” sbuffò Ultra,
spegnendo l’Ultravisione. Era sempre un’esperienza, vedere nel microscopico, e
gli ci voleva un attimo, prima di tornare alla visione normale... “Oy.”
Il cielo sotterraneo era
letteralmente pieno dei mostri volanti albini, dai corpi coperti di
placche affilate, e le bocche/caverne ribollenti di plasma, grandi a
sufficienza da inghiottire un uomo intero.
Poi, il cielo si riempì
delle loro grida, mentre la formazione che veniva dal nido si disponeva in
cerchio per l’attacco.
“Proprio quello che pensavo anch’io,” disse Equinox.
Gli occhi di Devaston
brillarono, e raggi crionici andarono a colpire il braccio di Mazinkaiser, teso
a proteggere la cabina di comando. Il metallo fu coperto da un solido strato
cristallino.
Subito Devaston spalancò la
bocca. Il plasma
colpì il braccio congelato,
vaporizzando il ghiaccio e sottoponendo la Starlega a uno stress termico che,
se fosse stato marcato da parametri ben più estremi, avrebbe anche potuto funzionare...Invece,
Mazinkaiser puntò il braccio in questione, e “Turbosmasher Punch!”, lo fece partire. Irto di
lame, come un missile rotante, l’arma andò a colpire la spalla destra, da cui
partiva una parte delle catene, disintegrandola.
Mazinkaiser annuì. “Ora si
fa sul serio! Preparati!” Il gruppo propulsore spuntò sulla schiena, e
Mazinkaiser decollò.
Devaston fece un’espressione
terrorizzata, e se la diede a gambe –almeno, ci provò. Dietro di lui,
Mazinkaiser disse, “Fire Blaster”
La supersentinella fu investita dall’onda termolaser,
e a quel punto entrò in funzione il programma automatico di autodistruzione.
Una sfera di fuoco, e del robot nemico restarono pochi frammenti che non
sarebbero stati di utilità alcuna a rintracciare i costruttori.
Robert schioccò le dita. “Beccati questo, rottame! Ed
ora...”
Mazinkaiser
puntò verso la caverna. A questo punto, aveva la scusa perfetta: se il nemico
si fosse impadronito di qualcosa di utile a danneggiare Progetto Exodus, era
dovere di Mazinkaiser fermarlo!
Sperò solo di
essere in tempo...
Dove cavolo era, la cavalleria, quando serviva?
Ultra era fortunato, lui era abbastanza veloce da
evitare facilmente gli attacchi di quelle creature, e il costume era abbastanza
resistente per le loro lame –non il mantello, già ridotto a uno straccetto.
Almeno, a lui bastava una scarica ottica a sistemarli.
I loro attacchi erano prevedibili, visto che miravano, alla fine, a inghiottire
la preda, diventando perfetti bersagli.
Purtroppo, Ultra era anche stanco. Era già da
oltre 1 giorno che non dormiva, e iniziava a sentirlo –o meglio, se ne accorse
quando una bolla di plasma lo colpì in pieno alla schiena! L’eroe si trovò
sbattuto contro la parete, lasciandovi la sagoma.
La sola fortuna di Equinox, che stava scontando la sua
mancanza di allenamento nell’elemento aereo, era dovuta alla sua durissima
pelle di ghiaccio e la capacità di assorbire il calore dei colpi di plasma, o
sarebbe già morto. Questi mostri erano saette viventi, dotate di un’agilità che
era il sogno bagnato di un ingegnere aeronautico.
E le creature, per giunta, erano gregarie. Come
squali, attaccavano per sfinire, dandosi il cambio, in attesa del colpo di
grazia...*
L’idea gli venne subitanea, azzardata e geniale
proprio come piaceva a lui.
Equinox si mise immobile, limitandosi a farsi
propellere dal proprio plasma. Una dozzina di creature affamate si buttarono su
di lui, affamate, agitando le antenne-radar per essere sicure di non trovare
ulteriori ostacoli...
“NO!” fece Ultra, vedendo l’orrendo banchetto in
procinto di compiersi...
...un momento prima che l’intero stormo si
trasformasse in una palla di fuoco! Equinox emerse dall’olocausto un attimo
dopo.
A terra, il Ninja Bianco era l’unico a non sudare sette
camicie. Gli squali volanti attaccavano, e lui fingeva e colpiva con la katana.
La lama vibrante affettava arti ed ali con facilità irrisoria,
con grande irritazione di Schizoid Man e Hrimhari, che
stavano rapidamente consumando le forze. Il mutante materializzava tentacoli e
mostriciattoli di energia psichica dalle bocche fameliche, ma era come
contenere una marea montante.
Il Principe-lupo poteva solo evitare di farsi
affettare. Inutile sprecare energie per la sua forma estrema: non poteva
neppure afferrare quelle cose senza rischiare l’amputazione. Avrebbe voluto
replicare il trucco della ‘cavalcata’[xi],
ma da come evitavano di volare basso per consentirglielo, era chiaro che erano
abbastanza intelligenti da scambiarsi le informazioni... “Yip!”
Una bolla di plasma gli esplose ad un passo,
strinandogli la pelliccia. Istintivamente, si fermò, in tempo solo per vedere
l’enorme bocca spalancata davanti a lui, fornace promettente una morte
orrenda...
La creatura si ritirò all’ultimo istante con un grido.
Le orecchie lupine percepirono un tono diverso, non aggressivo, ma simile a
quello usato dallo squalo che lui aveva usato come cavalcatura...
Paura!
Una serie di sibili, suoni assordanti e brevi, si
sovrappose a quelli del carnaio. Un attimo dopo, varie esplosioni scossero la
caverna! Poi, giunse il suono come di un razzo, uno grosso!
Hyrgan fece il suo ingresso, usando ogni componente
del suo arsenale per liberarsi di ogni bersaglio mobile. Purtroppo, la sua
programmazione non aveva contemplato la possibilità di una presenza massiccia
di quelli che i suoi parametri consideravano super-esseri non meno pericolosi
dei Campioni. E, con i contatti con i suoi padroni tagliati, il robot agì alla
cieca, per giunta disturbato dalle radiazioni emesse dalle bocche degli squali
volanti.
Hrimhari vide una luce staccarsi dalla schiena della
macchina, per dirigersi verso di lui. “Yllyni!”
La Faerie si posò sulla sua testa, e gli abbracciò un
orecchio con trasporto. “Miosignoreseivivo! O come sono felice, sono...”
Ma l’Asgardiano si stava
già dirigendo verso Ultra e Equinox, appena atterrati. “Bisogna soccorrerli!” disse, trafelato, e
indicando chiaramente lo stormo.
Fu ricambiato da più di
un’occhiata sgranata. “Prego?” fecero 4 bocche all’unisono.
“Sono abbastanza intelligenti
da scambiarsi informazioni, lo so. Se li aiutiamo adesso, potrebbero decidere
di non considerarci più una minaccia per il loro nido!”
4 paia di occhi guardarono
verso il colosso corazzato. “L’idea è carina,” fece Ultra, “Ma ho paura che
abbiamo di fronte un grosso problema da risolvere, prima. Che dici?”
La risposta non venne ne’
da Hrimhari ne’ da un altro componente del gruppo...o meglio, dall’ultimo che
si aspettavano di vedere laggiù. “Raggi Fotonici!”
Una coppia di strisce
abbaglianti colpirono in pieno l’unità propulsiva di Hyrgan! Queste esplosero,
e il robot precipitò
Per il gruppo a terra, la
prima preoccupazione fu impedire di essere investiti da getti di carburante
infiammato e schegge letali. Preoccupazione risolta al volo da Equinox ed uno
scudo gelido.
Mazinkaiser atterrò ed
afferrò la SS per le gambe. “Ehh...” La fece girare come un peso olimpico un
paio di volte, e “Ooopp!” la scagliò via come per una gara dell’olimpiade
robotica.
La macchina non aveva
finito di atterrare, che “Missile
Gigante!” Mazinkaiser la centrò con uno dei suoi ordigni
ventrali. Il meccanismo di autodistruzione fece il resto, accendendo un nuovo
sole sotterraneo.
Gli squali volanti,
saggiamente, si tenevano a rispettosa distanza. Le loro lunghe antenne
alternavano movimento e lampeggiamenti secondo uno schema preciso. “Stanno
valutando la situazione,” disse Hrimhari, ammirato. “Si scambiano
informazioni...”
Lo stormo si ritirò,
sparendo dietro l’angolo.
Capitan Ultra decollò verso
la testa di Mazinkaiser. Arrivato all’altezza della cabina, incrociò le braccia
e disse, “Se ne avessi il tempo, mesuggah d’un ragazzo, ti farei passare un brutto quarto
d’ora. Ma visto che ci hai salvato la buccia, il minimo che puoi fare, adesso,”
e con un pollice indicò la direzione, “è andare a dare un’occhiata là dietro.
Pensi di riuscirci?”
In risposta, Mazinkaiser
iniziò a camminare verso l’angolo. Inutile chiedere spiegazioni, a questo
punto... “Cosa dovrei trovarci, fraparentesi?” si limitò a chiedere, voltando
la testa nel frattempo.
“Un’astronave aliena o
qualcosa del genere. Fai attenzione, ho rilevato una perdita di radiazioni.”
Mazinkaiser svoltò
l’angolo, e sussultò. “Uh, Cap? Quando hai menzionato un’astronave, intendevi
dire un modello funzionante, vero?”
Robert si sincerò che i
registratori di bordo funzionassero.
Lo spettacolo era notevole:
centinaia di Squali Volanti erano
ammassati intorno a quello che ormai era un relitto. Era chiaro che le parti mancanti
del lucido metallo erano state sbranate, lasciando scoperto il sole artificiale che era il
‘motore’ della nave. E intorno a quel cuore di energia, giacevano strati di uova dai riflessi metallici.
Robert descrisse lo
spettacolo nei minimi dettagli ai suoi compagni, ottenendone qualche sorda
imprecazione in risposta...
“Per questo attaccavano
Roma,” disse l’Asgardiano. “E’ da lì che venivano gli invasori della loro
tana.”
“Va bene, ma adesso che
facciamo?” chiese Equinox. “Quel pazzo alieno non accetterà che la sua nave sia
diventata un nido per gli squali.
“Su questo hai ragione,
terrestre,” giunse la voce dello Zelota. “Dunque, si direbbe che sono
intrappolato su questo mondo, fino a quando non avrò trovato un modo
alternativo per lasciarlo.
“Avete adempiuto alla vostra parte dell’accordo e tanto mi basta. Ora
sparite, e che le nostre strade non si incontrino un’altra volta.”
Tutt’intorno al gruppo, le pareti della caverna si dissolsero...
I Campioni riapparvero nel
bel mezzo della giungla.
“Bel trucchetto,” disse
Schizoid Man. “Torna comodo, se arriva un ispettore del Fisco.”
Hrimhari si avvicinò a
Ultra. “Cosa ne sarà dei mortali prigionieri là sotto? Dovremmo...” ma Cap lo
interruppe con un cenno stanco. “Principe, con tutto il rispetto, non sappiamo
neppure ‘dove’ sia Roma, laggiù. Senza localizzatori, potremmo impiegarci mesi
prima di ritrovarla, ed abbiamo problemi più urgenti di cui occuparci, adesso.”
“Non potrei essere più
d’accordo,” disse Robert, la calotta corazzata sollevata, strizzando gli occhi
e guardando in tutte le direzioni nella vana cerca di un punto di riferimento
familiare. E anche il radar concordava, purtroppo, coni suoi timori.
Ovunque fossero, erano
decisamente lontani da casa.
Episodio 9 - Errare umanum est, perseverare…
Immaginate una splendida mattinata assolata africana.
La temperatura è ancora gradevole, per quanto umida. I grandi predatori si
preparano ad un sano turno di riposo dopo una notte passata a cacciare con
alterne fortune. Gli uccelli hanno da poco iniziato a demarcare i propri territori
con armoniosi avvertimenti. Un elefante barrisce in distanza.
“COME AVETE FATTO A FINIRE LI’,
PEZZI DI IDIOTI?!?!”
Echeggia per chilometri. Gli elefanti tacciono. Gli
uccelli scappano a razzo. Molti predatori rispondono con un ruggito di sfida a
quell’intrusione vocale.
E quello è il minore, dei problemi che i
destinatari di quella sfuriata dovranno oggi sopportare...
La voce apparteneva a Simone Giapeto, Direttore
delle Forze Speciali di Difesa Nazionale dello Stato tecnocratico dello
Zilnawa. Forze di cui il super-gruppo dei Campioni era parte integrante.
L’uomo, un esemplare mediterraneo che sarebbe stato decisamente meglio nella
parte di un burbero oste in qualche saloon del 17° secolo, sembrava ora volere
esplodere attraverso lo schermo nella cabina di comando del Mazinkaiser.
“Lo sapete dove siete, adesso? Ti è venuto in mente di usare il GPS installato appositamente
per situazioni del genere?”
Robert Takiguchi si schiarì la gola. In effetti, lì per lì, appena riemersi dal regno
sotterraneo del folle Imperatore, non ci aveva pensato per niente...E
quando si era deciso, gli era venuto quasi un accidente. Purtroppo, a quel
punto non poteva evitare di contattare la base.
Giapeto sospirò come un toro di fronte a un torero
tonto. “Lasciamo stare: il punto è che ora siete in Kenya, per giunta in
un’area particolarmente delicata. Spediscimi immediatamente il rapporto delle
ultime ore, e approfittatene per lasciare quel posto adesso, prima che a
qualcuno all’ONU venga un coccolone. Quei burocrati scaldasedie sono capaci di
sospendere tutti i contratti dello Zilnawa se solo si immaginassero una
nostra ingerenza militare nei loro affari interni. E se discuti, ti mando a
pilotare i carrelli di servizio.”
Robert deglutì. Era sicuro che il capo avrebbe
mantenuto la parola. Attivò il comunicatore. “Sentito il boss, gente? Leviamo
le tende, e...”
La cabina fu scossa da una potente esplosione!
30 metri più in basso, ai piedi del super-robot, Hrimhari
stava annusando l’aria. Le orecchie lupine gli fliccavano in varie direzioni.
“Sono vicini. Da quella parte.”
“Chi..?” Il teamleader, Capitan Ultra, seguì la
direzione indicata dalla mano impellicciata di argento. L’eroe attivò
l’ultra-visione, e bisbigliò un “Oh-oh.”
Un momento dopo, due missili volarono dal fitto
della foresta verso la testa del Mazinkaiser!
Ultra reagì d’istinto. Dalla visiera del suo casco
partì una scarica di energia, che distrusse uno dei missili. L’altro,
purtroppo, arrivò a bersaglio. In compenso, all’indistruttibile strato di Starlega
che copriva la macchina, non fece neppure un graffio.
“MaccheCristo..?!” fece Equinox, l’Uomo
Termodinamico, parandosi istintivamente gli occhi.
“SAM,” disse Schizoid Man, guardando
verso la vegetazione da cui il colpo era partito. “Unità portatili, roba
costosa. Non capisco, solo un esercito regolare potrebbe permetterselo...”
A quel punto, l’Asgardiano principe-lupo, che stava al
suo fianco, si acquattò e ringhiò, il pelo dritto.
I proiettili arrivarono come una tempesta, da tutte le
direzioni!
Fu lo schizofrenico mutante a salvare la situazione:
alla velocità del pensiero, eresse una cupola di energia psichica su cui i
proiettili rimbalzarono senza danno.
Robert analizzò la situazione sugli scansori collegati
direttamente al suo HUD. Annuì: gli attaccanti erano un gruppo sparso di appena
una dozzina di uomini. In compenso, le armi che avevano addosso erano roba
seria. Erano distanti, ma usavano mitragliatori di grosso calibro!
Sorrise. E, sopratutto, erano guerriglieri! Nessun
diplomatico avrebbe versato lacrime all’ONU per loro...Col cavolo che lui
l’avrebbe fatta passare liscia a dei tizi che avrebbero ucciso degli altri
esseri umani senza pensarci su due volte! “Raggi Fotonici!”
Dagli occhi romboidali del Mazinkaiser partì una
coppia di laser. Il robot li usò come una falce per spianare il terreno fra il
gruppo ed i guerriglieri.
Capitan Ultra scattò per coprire le spalle della
formazione, o meglio, l’angolo morto che la testa del Mazinkaiser non poteva
raggiungere. Giapeto li avrebbe uccisi. Meglio andarsene con stile, a questo
punto!
L’eroe si infilò a razzo nella vegetazione proprio
mentre una nuova raffica di missili terra-aria partiva all’indirizzo del robot.
Cambiò rotta quel tanto che bastava per arrivare addosso al lanciarazzi. Come
aveva immaginato, si trattava di un’unità Stinger, manovrata da un giovane che
se avrà avuto sì e no 20 anni. Ultra diede un sonoro pugno al lanciarazzi,
facendolo volare via dalla spalla del giovane –e slogando la spalla in
questione! Il ragazzo emise un urlo di dolore.
Ultra si fermò di colpo -ma che diavolo si era messo
in testa di fare?! Si chinò sul ragazzo in ginocchio, che gli lanciava occhiate
di fuoco: questo non era un qualche supercriminale, ma solo...
Che stesse male sul serio o fingesse, il ragazzo fu
assai lesto nell’estrarre una Browning con l’altro braccio. Con un solo
gesto, l’aveva puntata alla faccia di Ultra, e sparò!
La reazione del super-essere fu altrettanto
lesta...sfortunatamente per il suo aspirante assassino. Una raffica partì dalla
visiera, e investì il proiettile appena uscito e l’arma...e la mano che la
reggeva. In un attimo, il guerrigliero stava fissando con orrore un moncherino
annerito!
Diversi mitragliatori furono puntati su Cap.
<BASTA!>
Un comando mentale! Una ‘voce’ che in quella sola
parola aveva espresso la quintessenza del comando. Irresistibile. La scena fu
come congelata, ogni istinto guerriero temporaneamente soppresso. Una ‘voce’
che tutti seppero venire
da Hrimhari. “Non siamo giunti qui con intenzioni
ostili. Per favore, mortali, cessate questa follia.”
Gli altri Campioni videro che, effettivamente, i
guerriglieri erano tutti suppergiù sui vent’anni. Solo i più ‘gallonati’ di
loro, tre in tutto, erano anziani poco più che trentenni. Cap ebbe come un
malore dentro: giovani, come i kamikaze pronti a buttarsi in mezzo alla folla
con una cintura-bomba addosso, lo stesso fanatismo negli occhi...Dio, come
avrebbe voluto prenderli a schiaffoni tutti!!
Uno degli ‘anziani’ si fece avanti. Era pieno di
muscoli, non un filo di grasso. Per farlo arrivare a quella condizione, le
razioni dei più giovani dovevano essere state depredate, almeno a giudicare
dallo stato emaciato dei ragazzi. I suoi occhi erano già venati di rughe, e i
capelli brizzolati. Doveva avere pagato duramente, la sua posizione. Infatti,
le maniche arrotolate dell’uniforme mostravano braccia coperte da una ragnatela
di cicatrici. “Vi ho visti in televisione: avete sventato un attentato al
programma spaziale dello Zilnawa. Siete i Campioni.” La sua voce trasudava
diffidenza. “E cosa ci fareste qui, se siete venuti in ‘pace’?” Sulle sue
labbra, la parola suonava come un offesa.
Schizoid Man si tese, ma Hrimhari lo trattenne
gentilmente per un polso. “Ti basti sapere che non siamo qui di nostra volontà,
e che desideriamo solo di andarcene...Ma poiché la nostra ingerenza ha causato dei
feriti fra i tuoi guerrieri, permettici di aiutarti almeno a portarli al sicuro.”
Robert si batté il palmo sulla fronte. Ma chi gliel’ha
fatto fare, a Thran, di accettare quel buonista alieno nel team?!
L’uomo considerò l’offerta. La faccenda era strana,
anzi, diciamo pure assurda. Questi protettori delle ricche ‘democrazie’
occidentali sembravano sinceramente confusi...E visto che, evidentemente, un
telepate militava fra le loro fila, non aveva senso giocare ai segreti. “Il
nostro accampamento dista una dozzina di chilometri a nord...Ma non potete
raggiungerlo con quel...coso,” indicò Mazinkaiser. “Anzi, è ancora troppo
vicino. È praticamente un faro per le forze del Governo.”
“Se il vostro
accampamento è protetto da quelle colline,” disse Robert, “mi basterà dispormi
lungo un fianco. Un dispositivo-stealth mi mimetizzerà fra le rocce.
Allora, vogliamo perdere altro tempo?”
A bordo della colossale fortezza volante conosciuta
come StarGlider-1000...
“E questo è quanto. Crede che dovremmo far loro tenere
d’occhio questo ‘Zelota’?”
Dallo schermo, Alexander Thran, fondatore della
Talon Corporation, la multinazionale che di fatto aveva creato lo Zilnawa,
scosse la testa. “No. Possiamo classificarlo al massimo come minaccia ai
Campioni, ma non può avere alcun rapporto con Progetto Exodus. Di fatto,
le pedine hanno appena iniziato a muoversi...Ma la ringrazio per la
segnalazione, Professor Giapeto.
“Per ora, sposti l’SG1000 sul teatro Kenyota. Parlerò
io con il Presidente Moi. E si limiti a un provvedimento simbolico per i
Campioni. Per colmo di fortuna, l’indesiderata presenza dei nostri eroi può
avere un risvolto positivo.” Inutile sottolineare ‘per chi’, naturalmente.
Giapeto annuì
all’uomo dai tratti orientali-caucasici. Certe volte, gli ricordava un gatto
pronto sul topo. Era inquietante!
La fitta vegetazione che correva intorno alle colline
era venata da un fiume di un colore limaccioso. Sulla sua riva, un gruppo di
donne vestite in colorati abiti tribali era intento a lavare panni o delle
stoviglie.
La loro quieta attività fu turbata da una serie di
urla –era una delle sentinelle, che eccitata stava indicando verso la giungla.
L’accampamento si trovava in un’area in pendenza, e si poteva vedere bene il
gigante d’acciaio avanzare come se la giungla fosse poco più di un prato!
Pochi istanti dopo, arrivarono i mostri!
Cap fu per un momento sorpreso dalla sorpresa, no, il terrore
degli accampati, alcuni dei quali stavano decisamente scappando nelle grotte...Prima
di ricordare che da queste parti, una cosa come la TV doveva essere più
elitaria di un aereo privato!
Atterrò in una rosa di fucili puntati. Un attimo dopo,
arrivò la ‘manta’ di energia psichica di Schizoid Man, che oltre a Hrimhari
portava il leader dei guerriglieri. Equinox atterrò come una divinità, nella
sua colonna di plasma.
Per ultimo, arrivò Mazinkaiser, che portava i giovani
soldati nelle sue mani. Gli occhi dei ragazzi erano grandi come piattini. Uno
di loro lanciò addirittura un grido di trionfo, come se avesse personalmente
domato il titano meccanico!
Il leader abbaiò una serie di comandi. Terrorizzati o
no, la risposta dei suoi uomini fu lesta e disciplinata: da una grotta di
quello strano formicaio scavato nella collina emerse una coppia di soldati con
la fascia bianca e la croce rossa al braccio. Portavano una barella e una borsa
di attrezzi medici.
Subito i medici si occuparono del ragazzo ferito, che
ormai era svenuto. Lavorarono in fretta, con precisione, senza sprecare nulla
della loro scarna dotazione.
Gli eroi erano impressionati: nonostante le precarie
condizioni di vita, quella gente dava l’impressione di potere rendere il 110%.
In pochi minuti, il paziente era già diretto verso le grotte.
Una serie di ‘click’ li riportò alla realtà. Erano
ancora tutti sotto tiro dei soldati.
Passarono alcuni minuti carichi di tensione, ma
nessuno mosse più di una palpebra.
Finalmente, il leader disse qualcosa in una lingua
incomprensibile, e le armi, seppure esitantemente, si abbassarono.
L’uomo si voltò verso Capitan Ultra, e tornò
all’inglese; adesso, il volto aveva perso due gradi di burberità. “Avete
mantenuto la parola, e ve ne sono grato. Il mio nome è Sadu, e sono un
po’ il...padre di questa gente. Il vostro gigante può portarsi dove desidera, adesso.”
Robert non sapeva se ammirarlo o consigliargli uno
psichiatra. Era a dir poco surreale: se fossero stati dei nemici, i Campioni
avrebbero potuto sterminare quella gente in un batter d’occhio. Quell’uomo
doveva possedere una fiducia incrollabile, fanatica, tanto in sé quanto nei
suoi uomini.
Ad ogni modo, il giovane pilota guidò il robot verso
il fianco della montagna. Posizionato il robot, attivò il dispositivo.
Dall’esterno, tutti videro il grigio metallo cambiare colore,
assumere ogni singola sfumatura e venatura della roccia che lo circondava,
incluse le macchie di vegetazione. Ancora pochi istanti, e a tutti gli effetti,
Mazinkaiser era scomparso.
La sola prova della sua esistenza fu l’improvviso
suono di razzi all’altezza della testa. Un attimo dopo, la forma di un
minivelivolo, l’elegante modulo di comando Light Falcon, atterrò in una
piccola macchia di vegetazione, con la quale si mimetizzò prontamente.
Dopo che con un salto Robert fu fra i comuni mortali,
Sadu disse al gruppo, “Ed ora, vogliate per favore gradire la nostra
ospitalità, Campioni.”
L’atmosfera generale era rilassata. La gente era
tornata fuori dai rifugi, chiacchiere eccitate in lingua nativa riempivano
l’aria.
Mentre si incamminavano verso la più grande delle
grotte, Schizoid Man, che stava in coda insieme a Hrimhari, disse al lupo
antropomorfo, molto sottovoce, “Non ci avevi detto di essere un telepate.”
La risposta fu sullo stesso tono. “Tel-empate
renderebbe meglio l’idea. Sono emozioni, quelle che uso a questo
livello. Ogni lupo conosce questo talento. E le sto usando per convincere Sadu
a non pensare al nostro amico assente. Quindi taci, per favore. Mi distrai.”
Il mutante lo fece, non senza fare una faccia offesa
–almeno, in tutta quella storia il suo alter-ego, Chip Martin,
continuava a starsene quieto in qualche angolo remoto della sua mente, e a lui
andava benissimo!
Il paragone con un formicaio non faceva una piega.
Dentro, era come trovarsi in una cittadella! Era chiaro che le terrazze, le
‘case’ scavate nella nuda roccia, i ponti, esistevano da molto prima dei
guerriglieri. Giochi di specchi provvedevano ad amplificare con grande
efficacia la luce proveniente dall’esterno. La ‘cittadella’ si estendeva per
almeno cinque livelli, tutti razionalmente occupati. L’aria era stantia dalla
numerosa presenza umana e di alcuni animali da cortile, ma era un prezzo minimo
vista la sicurezza offerta da un posto che nessun satellite avrebbe potuto
rilevare.
“L’uomo bianco tende a dimenticare che l’Africa è
stata la culla di tutte le civiltà,” disse Sadu, compiaciuto della meraviglia
‘da turisti’ dei nostri. “I cosiddetti ‘selvaggi’ sapevano sfruttare le risorse
naturali in modi che i vostri moderni ingegneri non saprebbero neppure
sfruttare. Ma venite, prego.”
La casa di Sadu non era certo migliore o più elegante
delle altre. Il solo segno del rango dell’uomo era solo il suo eccellente stato
fisico. Quando il gruppo entrò, furono accolti da una specie di fantasma in
scuro, del quale si vedevano solo gli occhi dall’espressione rassegnata,
sfuggente.
“Musulmano?” chiese al volo Cap, simulando un tono
distratto.
Sadu annuì. “Allah ci dà la forza di vivere e
combattere. Ma prego, sedetevi.” Improvvisamente, nei suoi occhi passò un’ombra
di disapprovazione. “Il vostro animale, per favore, deve restare fuori da
questo tetto.”
Schizoid Man fu sul punto di dire qualcosa, ma una
gomitata al volo di Equinox lo fermò.
Hrimhari, da parte sua, fu ben lieto di
accondiscendere: se nessuno badava a lui, era più libero di concentrarsi in
quel luogo che per i suoi sensi ed abitudini era una prigione claustrofobica.
Passò alla forma quadrupede. Sadu non ne sembrò impressionato, se si voleva
escludere un lieve inarcar di sopracciglio.
L’Asgardiano si mise fuori della soglia, e si sedette,
sotto lo sguardo curioso sopratutto dei ragazzi e dei bambini. Qualcuno
mormorò, forse una preghiera a fior di labbra.
Sapeva che per ragioni di fede, i cani erano
considerati animali ‘impuri’; aggiungetelo al fatto che da quelle parti era già
molto se vedevano uno sciacallo, e lui doveva essere un evento ambulante.
Sospirò. Sperò che nessuno tentasse di accarezzarlo!
L’aroma dalla stanza attigua annunciò la preparazione
in corso di un caffè. Sedevano tutti su cuscini, su uno spesso tappeto privo di
polvere.
“Ammetto di essere curioso su di voi, Campioni,” disse
Sadu. “Lavorate per una potenza capitalistica, ma i vostri cuori non sembrano
essere ostruiti dalla stessa cecità dei vostri padroni.”
Capitan Ultra si schiarì la gola. “Con tutto il
rispetto, Sadu, sta sbagliando tutto su di noi. Non dico che lavorare di fatto
per una multinazionale sia il sogno della nostra vita, ma lo Zilnawa è per ora
l’unica nazione che sembra capace di mantenere una promessa di ricchezza ai
paesi del Terzo Mondo. Potremmo sbagliarci, ma il beneficio del dubbio non può
essere negato a priori...”
“Piuttosto, chi siete esattamente?” intervenne
Schizoid Man. “Il Kenya è una nazione fondamentalmente tranquilla, e voi siete
armati per una guerra. Vi abbiamo visto con della roba di lusso, che dubito
abbiate comprato rompendo i maialini.” Era un approccio assolutamente privo di
ogni tatto diplomatico, ma il giovane Martin aveva imparato una cosa, dal suo
mai abbastanza dannato padre: a volte, un attacco allo stomaco produceva
risultati migliori...se non ti preoccupavi troppo, poi, di finire sulla lista
nera del suo interlocutore.
Sorprendentemente, il volto del capotribù si distese
in un sorriso. “Ironicamente, mio irruento amico –sei Americano, vero?- devi
ringraziare i tuoi connazionali al governo, per questo...dono.
“Il maledetto Presidente Moi è stato finanziato a suon
di dollari ed armi dagli Stati Uniti. Le forze armate hanno fatto uso sapiente
di tali armi per ‘pacificare’ la resistenza in Kenya, per comprare i politici
più deboli, per asservire il meraviglioso crogiolo di culture al modello
ameboide cristiano/capitalistico.”
Ci fu un rapido scambio di occhiate. Decisamente,
quell’uomo non parlava come un povero villico. Il fanatismo straripava da ogni
sua sillaba, e combinato con una buona educazione, formava un’alchemia
pericolosa!
La moglie di Sadu venne dalla cucina, reggendo un
vassoio con delle tazzine in legno. Posò il vassoio su un tavolino al fianco di
Sadu, e tornò nel locale discreta com’era venuta, come non ne fosse mai uscita.
Cap aggrottò la fronte –difettoso o no, il modello
occidentale, persino quello Ebreo cui lui apparteneva, trattavano meglio le
donne!
Sadu allungò le mani verso il tavolino. Da un cassetto,
estrasse una specie di libro rilegato. “Le armi ed i mezzi di cui disponiamo
sono stati sottratti a un magazzino governativo, al costo di molte vite.” Aprì
quello che si rivelò essere un album fotografico. La sua voce conteneva una
nota di tristezza, adesso. “Ma, almeno, il sacrificio dei nostri giovani
servirà ad impedire che in futuro si ripeta...questo.”
Sadu passò l’album a Capitan Ultra, che impallidì
visibilmente. L’eroe lo passò subito ad Equinox, che per poco non trasformò la
sua pelle di ghiaccio in una vampata. Robert sibilò una bestemmia in
giapponese. Schizoid Man ebbe un fuggente pensiero che, in fondo, persino un
‘mostro’ come Morbius era meno di un dilettante, di fronte alle atrocità di cui
potevano macchiarsi uomini senza alcun superpotere...
L’album era una collezione a colori di orrori
indicibili! Fosse comuni, colme di uomini, donne e bambini, anziani...I più
fortunati erano cadaveri integri, morti ‘solo’ per un colpo alla nuca. Altri
avevano gli occhi spalancati, consci della loro mutilazione, prima del pietoso
oblio. Altri portavano segni di...stupro? E con cosa, per lasciare
simili cicatrici?
Improvvisamente, l’aroma del caffè sembrava quello di
acido per batterie. La bile era trattenuta a stento.
Altre foto mostravano file di prigionieri praticamente
preda dell’inedia in ginocchio, le mani dietro la nuca, costretti ad assistere
agli ‘interrogatori’ dei loro connazionali –fratelli? Amici?- sotto lo sguardo
implacabile di soldati in mimetica il cui petto mostrava il ricamo della
bandiera del Kenya.
Cap fu il primo a riprendersi. Disse a Sadu,
“Per...favore...Possiamo parlare...da soli?” quasi boccheggiava.
Sadu si alzò in piedi. Fece un breve inchino, le mani
giunte, e uscì dalla casa. Non chiamò neppure la moglie, che comunque non
avrebbe potuto muovere un dito senza il permesso di lui.
“E’ chiaro cosa ci chiederà,” disse Robert,
comprensibilmente agitato. “E noi non possiamo farci coinvolgere. Quali che
siano le ragioni, rovesciare un governo senza una dichiarazione di guerra, o
contribuire a una simile azione, è sbagliato. E trascinerebbe lo Zilnawa
in un...”
Cap levò una mano a zittirlo. “Ne so qualcosa, Robert,
credimi. I miei connazionali stanno riuscendo a farsi odiare per i tentativi di
ammazzare Arafat. E lì entrambe le parti hanno torto.”
Equinox annuì. “E Bush non è da meno, con ‘sta cazzata
dell’’attacco preventivo’ all’Iraq. Bob, siamo tutti d’accordo su questo. Il
punto è che io non me la sento di non fare proprio niente.”
Robert Takiguchi sentì come un brivido gelato lungo la
schiena. Sapeva cosa sarebbe successo...
Infatti, Schizoid Man disse, “Possiamo perlomeno
rendere difficili le cose al governo. Aiutare i guerriglieri a liberare
dei prigionieri, salvare delle vite. Mica abbiamo bisogno di Mazinkaiser,
per una simile impresa, giusto?”
“Almeno,” concluse Ultra, “il Professor Giapeto potrà
ridurci la pena, se vedrà che abbiamo disobbedito a fin di bene.”
Un bambino che non doveva avere più di 3 anni puntò il
suo ditino e sottolineò il suo entusiasmo con una risatina.
Hrimhari uggiolò –non che non gli piacessero i
cuccioli umani, anzi! Erano forse l’unico stadio della specie ad essere
amichevole con i suoi simili...Ma era comunque imbarazzante.
Sadu stava conferendo con dei suoi coetanei. La loro
lingua poteva essergli incomprensibile, ma le loro emozioni erano uno spettro
che andava dalla speranza alla crudeltà. In mezzo a quell’oceano, Sadu era un
faro saldo, un leader nato. Trasformava i loro dubbi su questi possibili
alleati in certezze, la sua fiducia era incrollabile...
Poi accadde!
Come si poteva definire? Felicità? No, decisamente non
era sufficiente.
Perché in quel contatto, in quel momento, il cuore del
Principe dei Lupi di Asgard fu imbevuto di nuova vita.
Il tempo intorno a lui era fermo, il mondo tratteneva
il fiato.
E davanti a lui stava l’imponente figura
dell’onnipotente Odino.
Il lupo d’argento si prostrò umilmente, le orecchie
piatte e la coda fra le gambe come si conveniva ad un beta davanti al
capobranco.
Odino, Signore di Asgard, Padre degli Dei, Sommo
Guerriero, sorrise. “Sono felice che tu e Yllyni siate vivi, giovane
Principe.” La sua voce, che avrebbe potuto spezzare i mondi, era gentile e
profonda, carica di saggezza. “Asgard è sopravvissuta alla terribile prova dell’invasione
di Seth e dei suoi alleati, ed è rinata più splendida che mai. I suoi
figli vivono, pronti ancora una volta a difendere i Nove Mondi da ogni male.
“Non potevi sapere della sua resurrezione, Principe,
perché io stesso ho chiuso ogni accesso fra i Nove Mondi, per impedire che
nuove minacce potessero ripetere quello che Seth ha fatto.
“Ma, adesso, una nuova minaccia, figlia di
quell’infame Teomachia, vaga per Midgard. Fenris, il
figlio di Loki, è libero[xii].
Glepnir è stata spezzata, e Valtran è in suo possesso.” Si riferiva
rispettivamente alla mistica catena che avrebbe dovuto essere indistruttibile,
concepita per contenere l’immensa forza del mostro lupino, e alla spada serrata
fra le potenti mascelle.
Hrimhari rabbrividì. La profezia diceva che durante il
Ragnarok, Fenris avrebbe ucciso Odino..! “Cosa devo fare, Padre? Parla, ed
obbedirò.”
Odino annuì. “Sei il solo, su Midgard, che possa
trovare il mostro, che in qualche modo riesce a nascondersi al mio sguardo. Io
organizzerò un gruppo di cacciatori, acciocché lo riportino su Asgard...o lo
uccidano. Conto su di te, Principe.”
La figura di Odino si dissolse come una statua di
acqua luminosa. I mortali ripresero i loro affari come il tempo non fosse
passato.
Hrimhari guardò verso la porta. Scodinzolò, indeciso.
Per quanto fosse in debito con i suoi amici mortali, era stato caricato con un
fardello molto più grave! Sospirò. Almeno, li avrebbe avvertiti...
Perso nei suoi pensieri, sconvolto dalle notizie
appena ricevute, il Principe Lupo non si accorse di avere del tutto dimenticato
di focalizzare la sua volontà su Sadu,
il quale fu improvvisamente colto da un pensiero che
per qualche ragione aveva messo da parte...
C’era un sesto Campione. Una specie di ‘ninja’
vestito di bianco, ne era sicuro!
Sotto lo sguardo incuriosito dei suoi luogotenenti,
Sadu socchiuse gli occhi, concentrandosi –doveva ammetterlo, questi giovani
potevano essere ingenui, ma non stupidi.
Ma neanche lui era un dilettante...
Episodio 10 - Gioco d’ombre
Da qualche parte nel Kenya Meridionale
‘Il mondo è bello perché è vario,’ recita il
proverbio.
Così, ci si poteva veramente sorprendere, in questi
tempi di Meraviglie, di vedere un lupo grigio europeo seduto sulla
sommità di una collina nel mezzo di una giungla Africana?
Ma la creatura non era ‘solo’ un comune Canis Lupus,
no. Questo giovane maschio aveva un nome, fra la sua gente: Hrimhari, e
dei suoi simili era il Principe, nella favolosa e remota Asgard.
Il suo sguardo intenso, di
occhi verdi come la foresta, spaziava verso l’orizzonte lontano. Da qualche
parte, oltre le montagne ed oltre il mare, camminava su Midgard una minaccia degna di
rivaleggiare con l’eroe per eccellenza di Asgard, Thor.
La minaccia si chiamava Fenris. Figlio del crudele Loki e della gigantessa Angrbode, era stato incatenato
negli abissi più profondi sotto il lago Amsvartnir, legato alla viva roccia
dall’indistruttibile catena Gleipnir, dalla quale si sarebbe potuto liberare, secondo
la profezia, solo nel giorno del Ragnarok, per uccidere Odino.
La sua prematura quanto
incredibile liberazione costituiva un pericolo orrendo per ogni mortale o
Asgardiano. Il Padre Onnipotente in persona aveva chiesto al Principe-lupo di
trovare Fenris, acciocché un gruppo dei più valorosi guerrieri potesse
catturarlo...o ucciderlo nel tentativo.
Hrimhari era stato più che
felice, di obbedire...Solo per scoprire che, in qualche modo, il nero mostro in
guisa di lupo era irrintracciabile! Ed era assurdo: Hrimhari era capace di
percepire ogni suo fratello, anche coloro che camminavano in forma umana fra i
mortali. E come poteva udire il canto delle loro anime, doveva essere in grado di
percepire la diabolica presenza...
...Solo che non ci
riusciva. Hrimhari uggiolò, sconsolato. In qualche modo, Fenris non aveva
assunto un’altra forma, ma aveva invaso il corpo di qualche mortale,
nascondendosi come un verme nel cuore della vittima.
Cosa poteva fare? Grande Odino,
cosa può fare questo tuo umile servitore da solo? Come poteva rintracciare
una pesta che non c’era..?
Seduta sulla testa di
Hrimhari, stava un esserino che solo un mortale incolto avrebbe potuto
scambiare per la Vendicatrice Wasp. Il suo azzurro corpo femminile di una manciata di
cm era illuminato da scintille, e le sue ali erano quelle cristalline di una
libellula. Si chiamava Yllyni, ed era una Faerie.
“La caccia è appena
iniziata, mio Principe, non ti scoraggiare...E poi, perché non chiedere aiuto
ai nostri stessi alleati mortali? Lo sai che è il branco vince dove il
solitario fallisce.”
Hrimhari sorrise di sé
stesso. Lei aveva ragione, naturalmente –ma lui era un Principe, doveva essere capace tanto da
solo quanto in branco!
Già. Ma da buon Principe,
doveva anche sapere quando riconoscere i propri limiti...E in questo caso, in
fondo, ne era contento: detestava separarsi da coloro che gli avevano salvato
la vita in momento di bisogno[xiii],
come aveva appena fatto.
Non avrebbe più ripetuto
quell’errore.
Il lupo saltò giù dalla rupe; a metà salto, assunse un aspetto
antropomorfo per gestire l’atterraggio. Una volta con i piedi per terra, tornò
lupo e corse verso il suo nuovo branco. Avrebbe presto vissuto di persona le
conseguenze della sua decisione, nel bene e nel male...
Paura del palcoscenico.
Fai tutte le prove, ti alleni
fino a diventare il personaggio che dovrai interpretare, nel tuo futuro vedi il
primo di una lunga serie di Oscar...E quattro coppie annoiate, che sono venute
al tuo debutto solo perché l’alternativa era spararsi nei cosiddetti dalla
noia, ti riducono il sangue in gelatina, e i tuoi sogni di gloria si fermano
sull’ingresso al palcoscenico, che ora ti sembra una bocca spalancata
sull’abisso del fallimento.
Questo il quadro in
generale.
In un certo senso, per il
supergruppo dei Campioni dello Zilnawa, la cosa non era molto
diversa: individualmente come in gruppo, nessuno di loro era un absolute
beginner.
Anzi, in diretta TV avevano fornito ampia prova delle loro abilità[xiv]!
Ma era la prima volta che stavano per commettere
un reato internazionale. Che avessero ragione o torto.
La ragione: ore fa, il team
era stato teleportato in una giungla del Kenya Meridionale dall’entità aliena
nota come l’Imperatore. Qui, avevano fatto una tutt’altro che pacifica
conoscenza con alcuni membri di un oscuro gruppo di guerriglieri, che vivevano
come selvaggi, e il cui solo lusso erano armi ed apparecchi radio per portare
avanti la loro lotta. Il leader e padre spirituale (come si definiva) di quella
comunità aveva chiesto aiuto ai Campioni per liberare un gruppo di prigionieri
politici da un campo di concentramento –una delle tante ignominie
che il regime ‘democratico’ e filoamericano del Presidente Moi nascondeva al mondo
libero. Un regime che i guerriglieri intendevano fare cadere.
Il torto: i Campioni non avrebbero mai contribuito,
attivamente o passivamente, ad abbattere un regime liberamente eletto –un
evento raro, in Africa. La presenza degli eroi, ufficialmente al servizio della
ricca democrazia tecnocratica sudafricana, non era autorizzata ne’ dal ‘loro’ governo
ne’ dall’ONU. La loro unica speranza era di potere produrre le prove necessarie
a dare una sveglia alla comunità internazionale, o erano veramente dolori!
L’unica cosa certa era che
non potevano voltare le spalle ed usare
simili scuse, non dopo avere visto le foto. Fotografie di fosse comuni, di
mutilazioni, di cadaveri di ogni sesso ed età, foto scattate alla presenza di
nutriti e curati soldati governativi, questi con i mitra in mano come se ci
fosse qualcosa da temere da quei morti!
Il palcoscenico
dell’imminente prova era il ‘campo di concentramento’ Governativo. Una
struttura semplice ed imprendibile.
Giaceva in uno spazio ben
ripulito, un attacco di sorpresa era impossibile. Il perimetro esterno era
protetto da una recinzione elettrificata di razor wire. I quattro punti cardinali
erano coperti da potenti riflettori montati su torrette in cemento. Ogni fascio
di luce trasformava la notte in giorno. Pattuglie armate e dotate di enormi
cani coprivano la zona di ‘penombra’.
Il campo era una struttura
a raggiera, i cui ‘raggi’ erano casematte fortificate. Un gruppo di baracche in
legno e metallo costituivano il ‘mozzo’. Le strutture più imponenti erano due
hangar corazzati e pieni di antenne delle più disparate forme. Erano sufficientemente grandi da ospitare
agevolmente ognuno un B-29. Solo da uno degli hangar, partiva una lunga pista
in tarmac.
Capitan Ultra, teamleader dei Campioni,
focalizzò la sua Visione-U sulle baracche. La sua vista a neutrini colse gli
interni come se le pareti non fossero esistite.
I prigionieri dormivano
tranquillamente...Ed erano tutti uomini. Niente donne, niente bambini, niente
anziani –Ultra rabbrividì, incerto fra il timore ed il dubbio.
Avevano ucciso gli
‘inutili’, e tenuto in vita gli unici capaci di sostenere gli ‘interrogatori’,
oppure..?
Ma a questo punto, esitare
ulteriormente era fuori luogo. Del resto, Cap, in fondo, non aveva voglia di
pensare più di tanto, non dopo avere udito, mentre si spostavano dal rifugio
dei guerriglieri, della morte di Sabra, l’eroina Israeliana, in seguito all’ennesimo
attentato kamikaze Palestinese[xv].
Era già molto che non si fosse precipitato a casa di Hamas a fare piazza pulita!
Cap riferì i risultati
delle sue osservazioni. Dietro di lui, il leader dei guerriglieri, l’uomo
chiamato Sadu,
annuì. Sadu era talmente scuro di pelle, che avrebbe potuto fondersi senza
problemi con la notte. Le sue braccia erano un reticolo di cicatrici che si
premurava di mostrare tenendo le maniche della camicia kaki bene arrotolate.
Non ci furono commenti
–tutto andava come previsto. I rifornimenti erano stati da poco effettuati, e
il personale del campo era immerso nella sua routine. Sarebbe stata una
passeggiata.
Capitan Ultra lanciò
un’ultima occhiata agli altri Campioni coinvolti nell’imminente attacco –Schizoid Man, mutante psichico dalla
doppia personalità, e Terry Sorenson, che su richiesta di Cap portava una maschera per
nascondere la sua identità. Hrimhari, quali che fossero le sue ragioni, era
esitante, e Cap non aveva visto ragione di coinvolgerlo per forza. Quanto a Robert
Takiguchi
ed il Ninja
Bianco,
be’...un paio di jolly avrebbero fatto comodo, se ce ne fosse stato bisogno.
Sadu fece un cenno.
Capitan Ultra partì a una
tale velocità, da creare un violento risucchio d’aria.
Se i radar lo videro, fu
giusto il tempo di un ‘blip’. L’istante successivo, Ultra passò attraverso la
torre nord, e proseguì in una perfetta linea retta a sfondare la sud. Terminato
quell’attacco, proseguì il volo schizzando verso l’alto. Si voltò, e dalla
visiera del casco partì una raffica-U. Colpì in pieno la casamatta dove
giacevano i generatori. Gli allarmi tacquero ancora prima di suonare. La
recinzione tornò ad essere un semplice intreccio di metallo.
Terry entrò in azione: il suo
corpo si trasformò nella fiammeggiante figura di Equinox, l’Uomo Termodinamico. Subito le sue fiamme
furono sostituite da solido ghiaccio, mentre lo scambio di calore concentrava
il potere nelle sue mani.
Raffiche di plasma
brillanti come comete colpirono i riflettori, riducendo vetro e metallo a un
ammasso informe.
Con il favore
dell’oscurità, i guerriglieri attaccarono, urlando come un solo uomo. Le armi
unirono presto la loro voce.
Capitan Ultra irruppe
nell’hangar corazzato che dava sulla pista. Non sapeva cosa ci facesse un Lockheed
SR-70 in
questo angolo di mondo, ma era certo che non avrebbe permesso a nessuno di
usarlo per fuggire.
Le guardie spararono senza
esitare, ma senza risultati contro l’impenetrabile aura del super-eroe. Un paio
di raffiche ottiche, e l’apparecchio fu irrimediabilmente azzoppato. Altri due
colpi, e furono le guardie a giacere inerti sul pavimento.
Senza perdere un istante,
l’eroe sfondò attraverso la parete, dentro il secondo hangar.
I guerriglieri conoscevano bene il proprio mestiere: i soldati nemici
caddero senza il minimo spreco di colpi. E mentre Equinox e Schizoid Man si
occupavano di coprire i fianchi, una parte della piccola orda si diresse verso
le baracche dei prigionieri, da dove già venivano urla di incoraggiamento e
gioia.
Una gioia ampiamente
condivisa da coloro che erano dovuti rimanere, su esplicita richiesta dei
Campioni, nel villaggio nascosto nella collina.
I più giovani, praticamente
gli adolescenti, erano ammucchiati intorno alla radio da cui veniva il
resoconto dello scontro.
Osservandoli esultare, gli
occhi accesi dalla gioia feroce dei veterani, Robert Takiguchi si sentì un
brivido –Dio, era mostruoso! Alla loro età, dovevano conoscere le gioie della
vita, non della guerra e della morte. Lui stesso sapeva cosa voleva dire
sacrificare in tal senso la propria gioventù...Ma, almeno, lo faceva per il più
alto degli ideali. Aveva potuto scegliere, mentre questi poveretti erano nati sotto una così triste
stella...
Robert guardò verso il Mazinkaiser, il super-robot, l’arma
convenzionale più potente del mondo. Non importava quanto sangue avesse dovuto
versare con il suo titanico compagno d’arme; se fosse riuscito a difendere Progetto
Exodus
fino al suo compimento, non sarebbe stata una gioventù sprecata... Hm?
La mazza si abbatté fulminea sulla sua testa.
“Sta commettendo un grave
errore, Capitano,” disse l’uomo in una divisa riccamente gallonata.
“Questo lo deciderà il Tribunale
dell’Aja,”
ribatté Ultra, tenendo sott’occhio gli scienziati ancora fermi ai loro posti.
Le guardie giacevano a terra, inerti. “Ne avrete, di infamie, da rispondere.”
Il volto rugoso del
militare dai capelli brizzolati sembrò acquisire nuove rughe, per la
perplessità. “Infamie..?”
Ultra desiderò tanto che
gli alieni che gli avevano dato il suo potere gli avessero dato anche la
telepatia. Quel tizio sembrava sincero come Giuda...ma per ragioni ben diverse
da quelle immaginate.
Cap avanzò verso di lui, le
mani brillanti di energia. “Sterminio di massa, eliminazioni politiche,
tortura...Devo continuare? Collabori, e le prometto che non le succederà nulla
fino al processo.”
Incredibilmente, un’ombra
di sollievo attraversò il volto del militare...Sollievo che durò poco, perché
in quel momento la porta si spalancò, e Sadu in persona irruppe alla testa
della sua squadra! Il leader puntò la mitragliatrice, e sparò una sola raffica
sul corpo del militare.
“NO!” Urlò Ultra, che non
poté che afferrare il corpo inerte sbattuto contro di lui.
Sadu lo fissò con severità. “Per quello che ha fatto, doveva pagare,
Capitano...Voialtri,” disse a un paio di soldati che portavano uno zaino in
spalla, “sapete cosa dovete fare. Avanti!”
Doveva concederlo: sapevano
muoversi bene, sapevano approfittare della distrazione del nemico.
Peccato che Robert, per
quanto privo di superpoteri, non fosse esattamente un dilettante! Aveva colto
il movimento con la coda dell’occhio, ed era rotolato via all’ultimo istante.
Solo i suoi capelli furono scompigliati.
Robert terminò il movimento
di evasione allungando una gamba, a colpire quella del suo aggressore. Si udì
un suono schioccante, mentre il ginocchio cedeva, ed il giovane guerrigliero
cadeva con un urlo.
Purtroppo, già altri
avevano puntato le loro pistole, e fecero fuoco.
Robert fu colpito in pieno al torace ed allo stomaco!
“I massacri erano una
montatura, vero?”
I soldati si erano
dispersi. Un gruppo di loro teneva sotto tiro il personale del laboratorio. Gli
altri si erano diretti verso l’ascensore –Cap si diede del fesso, per non avere
visto cosa conteneva il livello inferiore, dando invece per scontato che ci
fosse una sala degli interrogatori o qualcosa di simile, come gli aveva detto
Sadu.
“Non proprio,” disse Sadu,
compiaciuto. “Diciamo che non erano opera del Governo.”
Ultra si sentì male.
“Voi..?”
Sadu fece una smorfia di disprezzo. “Avevano tradito gli ideali del Corano, Capitano. Si erano
venduti ai filoamericani; la loro esecuzione doveva essere un esempio..Peccato
che il Governo fosse giunto appena in tempo per arrestare i fedelissimi ora
prigionieri.”
Il loro errore fu di
credere che la tuta di Robert fosse solo un pezzo di stoffa colorata con un po’
di imbottitura. Lo videro cadere dall’imboccatura della caverna, soddisfatti,
senza sapere che quella stoffa colorata era fatta di polimeri capaci di reggere
una raffica di proiettili calibro 45 a distanza ravvicinata.
Robert fece una capriola, e
attivò i propulsori negli stivali per frenare la caduta. Appena a terra, corse
verso il Kaiser Pilder parcheggiato lì vicino. Lo sapeva, che quelli li avevano imbrogliati fin
dall’inizio! Fortunatamente, lui era il solo e l’unico che potesse pilotare
Mazinkaiser...
I suoi pensieri furono
interrotti da un’esplosione! Robert si voltò, ammutolito.
L’intera fiancata della collina stava franando addosso a Mazinkaiser!
“Il tempo della grande
rivolta è vicino, Capitano. Ogni popolo oppresso di questo mondo si solleverà
contro i suoi sfruttatori. E sarò io a fornire il più grande mezzo per questa rivolta...” in quel momento,
un potente tremore percorse il pavimento. Sadu era raggiante. “Ahh, finalmente!”
Tre minuti dopo, le porte
dell’ascensore si aprirono. I soldati inviati da Sadu non portavano più lo
zaino, ma uno di loro possedeva una specie di scatola. Di qualunque materiale
fosse fatta, l’oggetto che conteneva possedeva una tale luminosità da rendere
le pareti trasparenti.
Il soldato porse la scatola a Sadu, che la prese e a sua volta la
allungò verso Ultra. “Vuoi vendicarti, Capitano? Ora ne hai la possibilità.”
La calotta della cabina si
aprì, e Robert saltò a bordo. Mica stupidi, gli amici! Con la sola tecnologia
del Falcon intatta, potevano ricavare lo sa Dio quanti vantaggi, e una volta
disseppellito il Mazinkaiser, sarebbe stata solo questione di trovare
l’offerente migliore...
Il sistema diagnostico
riconobbe il pilota in pochi secondi. Le luci erano verdi. I pannelli di
comando si accesero, e Robert fece partire il veicolo in una fiammata di razzi.
Il Light Falcon sorvolò il
punto della frana. I proiettili rimbalzavano inutilmente sulla fusoliera di starlega indistruttibile. Per
fortuna, aveva deciso di disattivare il dispositivo-stealth almeno per la
notte, o non ci sarebbe stata energia sufficiente, adesso, per rispondere a
questo comando, “Maziiinga Fuori!”
Luce
esplose fra i massi, un attimo prima dell’esplosione che li disperse. Propulso
dal jet-pack sulla schiena,
Mazinkaiser, le braccia lungo i fianchi, decollò verso il suo padrone.
Il
Light Falcon puntò dritto verso il cranio aperto del robot. “Aggaanciamento!”
I
retrorazzi sul muso frenarono la caduta, e il Falcon si incastrò alla
perfezione. Gli occhi di Mazinkaiser si accesero. La cabina roteò in posizione
orizzontale, e allo stesso tempo la corazzatura metallica coprì il cristallo. “Pronti
al combattimento!”
Il jet-pack si dilatò in un propulsore alato, e Mazinkaiser si diresse
verso la sua nuova destinazione.
“Hai sentito bene,
Capitano. Prova a colpirmi adesso. Distruggi la scatola e me con la tua energia.
Se sarai fortunato, potrai uccidermi e ripulirti la coscienza. E ti consiglio
di non esitare o tentare di colpire solo me, o avrai ancora molti più morti
sulla coscienza. E lo stesso vale per i tuoi amici, che credo stiano
affrontando un dilemma non dissimile.”
“Dice il vero,” fece
Equinox dal comunicatore subcutaneo. “Sono in troppi, e hanno troppi ostaggi.
Schizoid...be’, lo sai, ha già speso troppe energie per...”
“Capisco,” disse Ultra,
tetramente. Aveva visto il contenuto della scatola, e aveva una mezza idea di
quello che sarebbe successo...Perciò, aveva solo una cartuccia a
disposizione... “Obbedirò. E spero che ti farà molto male.”
Una raffica ottica di una
potenza pari a quella usata per annientare il simulacro dell’Imperatore investì
la scatola e Sadu. Indubbiamente, il guerrigliero non si era aspettato una simile potenza
cinetica, perché fu sbalzato via attraverso la parete in un’esplosione di luce
multicolorata!
Ultra approfittò della
sorpresa dei soldati, per abbatterli uno dopo l’altro. Immediatamente, si
rivolse al militare in uniforme ancora riverso sul pavimento. “Signore, sta
bene?”
L’apparente follia di
quella domanda trovò risposta nel movimento del ‘cadavere’, che si alzò in
ginocchio, seppure un po’ a fatica. “Domanda superflua, Capitano...Cominciavo a
credere che fosse impazzito, lo sa?”
Cap osservò l’uniforme
percorsa dai fori dei proiettili...proiettili che erano stati fermati sotto il
tessuto da un campo di forza-U. “Mi sono concesso il beneficio del dubbio...E
sono felice di averlo fatto, signore.”
“I miei uomini..?”
Cap sorrise come un micio
soddisfatto. “Non credo che perderanno nulla, della festa.”
La ‘rivolta’ finì nel
momento in cui Sadu uscì come una palla di cannone dall’hangar.
I soldati Governativi
‘morti’ e sanguinanti scattarono in piedi all’unisono! I guerriglieri urlarono
il loro terrore, e praticamente non fecero resistenza mentre venivano disarmati
dai ‘cadaveri’. I prigionieri liberati praticamente caddero in ginocchio,
chiedendo pietà.
Poi, sotto gli occhi sorpresi
dei prigionieri, i soldati persero le loro fattezze cadaveriche. Il sangue, i
frammenti d’osso, ogni ferita –scomparvero come non fossero mai esistiti!
Equinox batté una mano
sulla spalla di Schizoid Man. “Bel colpo, vecchio mio: non ci credevo, che
saresti riuscito a creare quelle illusioni a colori.”
Il mutante si sfregò una
tempia sudata dalla stanchezza. “Richiede molta energia. Per fortuna che
avevano fretta e non hanno cercato di sterminare tutti e subito, o non ce
l’avrei fatta.”
In quel momento, una nuova
esplosione di luce accese la notte!
Una sfera pulsante si levò
sopra il campo. Una sfera che conteneva la figura umana che una volta era stata
Sadu, ma che ora era coperta da un costume integrale bianco e nero, dai guanti
e gli stivali neri.
“Idioti!” Disse la figura. “La
vostra piccola vittoria non è niente in confronto al potere che ora fa parte di
me. Il potere del nuovo Dottor Spectrum!” Tese le mani, e manette di energia solida
apparvero intorno ai polsi di ogni singolo soldato e a quelli dei super-esseri!
“La vostra esecuzione dovrà
avvenire alla luce del sole, davanti a tutto il mondo,” disse Spectrum. “Solo
così, i veri fedeli sapranno che è giunto il momento della rivolta, che non ci
sarà nulla da temere...YARGH!”
Superpotente o no, Spectrum
era ancora un essere umano, e come tale incapace di impedire che una coppia di raggi
fotonici
lo colpisse alle spalle alla velocità della luce!
Purtroppo, era anche vero
che adesso il neo-supercriminale possedeva una ben più ampia resistenza. Reagì
velocemente, trasformando il suo pensiero in un colossale guerriero
tribale.
Robert bestemmiò, e portò
Mazinkaiser in posizione di combattimento.
Il costrutto attaccò,
lancia in testa, a velocità subluce. Di fatto, Robert non poté che incassare il
colpo: e per quanto la struttura del robot possedesse microspecchi per
riflettere gli attacchi laser, le strane frequenze del costrutto poterono
superare quasi indenni quella barriera. La lancia, in altre parole, si piantò
nel petto sinistro di Mazinkaiser!
Per la prima volta nella
sua vita, Robert avvertì un dolore tremendo, un
dolore che urlò attraverso Mazinkaiser.
Spectrum rideva. “Per Allah, che figura ridicola! E
quella sarebbe la più potente macchina da guerra dello Zilnawa? Sarà un piacere
conquistare quella nazione per pr*HUUFF!*”
“Intanto, eccoti il pugno più potente dello
Zilnawa, pazzo assassino!” fece Ultra, arrivandogli addosso come una cometa.
Spectrum fu scaraventato contro una casamatta, a una tale velocità che la
struttura si infranse in una spessa nube di polvere!
Robert ignorò il dolore –era ancora presente, il che
voleva dire, come gli strumenti confermavano, che il robot era stato
danneggiato! Se il colpo fosse andato un po’ più in basso, avrebbe preso una
delle pile nucleari..!
Il costrutto-guerriero stava tornando all’attacco...ed
esitò –o meglio, tremolò come un’immagine televisiva male sintonizzata.
“Rust Tornado!” la griglia
che era la bocca di Mazinkaiser emise un tremendo triplo ciclone al quale erano
mescolate microparticelle abrasive. Il costrutto fu spinto via come una foglia
al vento, anche se senza alcun danno apparente.
Di sotto, Spectrum emerse dalle macerie fumanti. “Non
lo volete capire, vero? Grazie al vostro amico eroe, la pietra è dentro di me!
Sono invincibile!”
“Sai come si dice, allora, no? Lasciaci sognare!” fece
Equinox, avvolgendo l’uomo in intense ondate di calore e gelo –ma era inutile,
adesso una specie di campo di energia circondava Spectrum.
Il criminale rispose proiettando un ariete di energia
sul malcapitato ex-criminale, sbattendolo via con facilità! Intorno a loro, era
scoppiata una nuova lotta fra guerriglieri e soldati. E questa volta, i morti
causati dalle armi non furono una finzione...
Schizoid Man osservava, cercando di tenersi in
disparte. Dannazione, avrebbe potuto fare qualcosa, se solo ne avesse
avuto la forza! Il potere di quel pazzo avrebbe potuto essere spento
facilmente, se si fosse riusciti a giungere alla sua mente...
“Dave?”
Quasi gli venne un infarto; in compenso, fu molto
felice di vedere “Hrimhari!”
“Avverto la tua urgenza, amico mio,” fece il lupo
umanoide, avvicinandosi, “e sento di cosa hai bisogno. Lascia che ti aiuti.”
Il mutante non fece obiezioni, quando le mani del
Principe si posarono delicatamente sulle sue tempie...
Spectrum, nel frattempo, stava scoprendo che Ultra era
davvero un osso più duro di quanto avesse sospettato. L’eroe riusciva a parare
tutti i suoi attacchi, e a rispondere colpo su colpo. Erano ad uno stallo.
Spectrum generava gli oggetti più disparati e letali, e Ultra li distruggeva
con facilità. Ultra attaccava, ma non riusciva ad infliggere un danno serio al
criminale, il quale riusciva a tenere impegnato anche Mazinkaiser allo stesso
tempo.
Robert urlò di nuovo. Questa volta, ad essere colpito
era stato il braccio sinistro, che ora pendeva inerte lungo il fianco. L’unica
fortuna –se così la si poteva chiamare- era che il costrutto disperdeva molta
energia ad ogni contatto con la copertura refrattaria e la starlega stessa...Anche
se Robert non poteva certo contare molto a lungo su tali parametri. Se Spectrum
avesse deciso di fare colpire la cabina, era la fine!
Altro attacco! Ma questa volta, la sorpresa l’ebbe il
costrutto! I suoi movimenti erano ripetitivi, prevedibili.
E Robert ne aveva approfittato per accumulare energia
in un’arma: i raggi fotonici, che colpirono in pieno il costrutto a un
millisecondo dall’impatto!
“Ben fatto, Robert. Ora, preparati al colpo di
grazia.”
Il giovane sobbalzò. “Professor Giapeto!”
Lo scienziato Italiano continuò con tono neutro. “Il
costrutto è fatto di luce solida, ed essa è un eccellente conduttore di
elettricità. Preparati.”
Robert non aveva alcuna voglia ne’ di disobbedire di
nuovo, ne’ di discutere sul fatto che comunque i riflessi di Mazinkaiser
sarebbero stati troppo lenti per colpire il costrutto per tempo...Ma se il
Professore diceva di prepararsi, lo avrebbe fatto eccome!
Finalmente, Sadu ebbe analizzato a sufficienza il
modus operandi di Ultra. E questa volta, lanciò una nuvola di sfere
acuminate contro l’eroe!
Come previsto, Capitan Ultra si gettò contro di esse a
testa bassa, la visibilità limitata in quella tempesta luminosa...e troppo
tardi si avvide del nuovo ariete, che lo colpì in pieno con tutta la forza che
Spectrum potesse generare!
Stavolta, fu Ultra a piombare al suolo come una bomba.
Spectrum gongolò. Un solo colpo ancora, e avrebbe
tolto di mezzo quell’insolente creatura inferiore dall’accento ebraico...
Fu in quel preciso istante, che un tentacolo di energia
psichica entrò nel suo cranio! Il suo corpo fu scosso da tremende convulsioni,
e se non fosse stato per il potere della pietra cosmica, sarebbe sicuramente
morto...
Il costrutto quasi perse di consistenza, il volto una
maschera di agonia identica a quella del suo padrone.
Robert ghignò. “Turbosmasher Punch”
Gli avambracci di Mazinkaiser presero a ruotare, ma
prima di distaccarsi, si caricarono di energia elettrostatica, accendendosi
come lampadine! Quando furono lanciati, trasportavano con sé abbastanza
corrente da friggere una supersentinella.
Il costrutto fu colpito in pieno! E la corrente,
attraverso di esso, attraverso il legame che lo univa alla pietra, cioè al
corpo di Spectrum...
...colpì Spectrum stesso! L’urlo di dolore del
criminale si perse nella tempesta di elettroni che lo percorse da capo a piedi.
E per quanto potesse essere protetto, già indebolito com’era dall’attacco di
Schizoid Man, fu solo un miracolo se si limitò a prendere fuoco, e a cadere,
inerte. Sconfitto.
A quella
visione, fu come se una doccia fredda avesse investito i guerriglieri ed i
prigionieri. La resa fu pressoché istantanea.
L’X-101 aspettava sulla pista in tarmac.
Un’ambulanza stava portando via il corpo di Spectrum –ustioni di terzo grado
sulla maggior parte del corpo, fratture varie...se fosse sopravvissuto, avrebbe
speso il resto dei suoi giorni nella Volta o li avrebbe terminati di
fronte a un plotone di esecuzione.
Simone Giapeto strinse la mano del comandante del
campo. “Forse non tutto è filato liscio come avremmo voluto, signore, ma almeno
la missione è riuscita, e questa gente non minerà più la democrazia Kenyota.”
La stretta fu ricambiata con altrettanta cordialità.
“Hanno recitato bene la parte, devo concederlo, Professore. Voglia Dio che un
giorno non ci debba essere più bisogno di combattere in questa nostra terra
martoriata.” In compenso, la sua espressione era finta quanto era genuino il
rancore che provava...
Poco dopo, il velivolo decollò verticalmente, seguito
dal Mazinkaiser. Destinazione, la base mobile StarGlider 1000.
A bordo, Giapeto disse, “Alexander Thran aveva
deciso di prendere due piccioni con una fava: migliorare la posizione
diplomatica dei Campioni e prevenire il programma di super-esseri del Kenya.
“La vostra posizione in qualità di ‘infiltrati’ era
stata ufficializzata, ma non siete stati tenuti al corrente perché era
indispensabile che vi comportaste in modo da causare la nascita del nuovo
Dottor Spectrum. Adesso, il Governo di Moi non oserà mai mettere un simile
pazzo estremista al proprio servizio, e la pietra cosmica non è duplicabile.”
“State scherzando?” fece Ultra, ancora massaggiandosi
una costola lesa –il potere Ultra lo aveva guarito dalla frattura, ma il livido
ahio se faceva male! “E come facevate a sapere che sarebbe andata come
avevate previsto? Avete la sfera magica?”
Giapeto sorrise. “Qualcosa del genere: si chiama Seldon,
ed è un software in grado di elaborare scenari e comportamenti con una
precisione degna delle elaborazioni del Pensatore. Inoltre, grazie al Ninja
Bianco,” aggiunse, indicando la figura silente seduta in coda, “i sistemi
informatici della base sono stati resi inutilizzabili, anche se la colpa
ricadrà su Spectrum.”
“Thran odia così tanto la concorrenza?” fece Terry,
che non godendo del fattore rigenerante di Ultra, doveva stare attento a come
respirava.
Qui, Giapeto si fece serio. Sopra di loro, già
incombeva l’SG-1000. “Moi terminerà presto il suo mandato, e dopo di lui è una
scommessa sapere chi gli succederà. Pochissime democrazie in Africa possono
vantare una genuina solidità, e non possiamo permetterci il lusso di un caos
alimentato da superpoteri...Ma per quei paesi che riusciranno a tenere la testa
sulle spalle, Thran in persona favorirà lo sviluppo di eventuali programmi di
super-esseri.”
L’X-101 e Mazinkaiser atterrarono sul ponte posteriore
della fortezza volante. I Campioni avevano avuto un primo assaggio delle scale
di grigio che facevano parte della politica in Africa...E almeno quattro di
loro si chiesero quanto altro avrebbero dovuto scoprire, di questo mondo dal
quale erano stati finora così lontani...